CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 34534 depositata il 14 luglio 2017
EMISSIONE DI FATTURE PER OPERAZIONI SOGGETTIVAMENTE INESISTENTI – TITOLARE DITTA AUTO – CLIENTI STRANIERI – FATTURE A INTERMEDIARIO – DELEGAZIONE DI PAGAMENTO – NON SUSSISTE
RITENUTO IN FATTO
1. M.A. ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Firenze ha riformato quella emessa dal locale tribunale dichiarando non doversi procedere per prescrizione per tutte le false fatture emesse fino al 30 aprile 2007 e rideterminando la pena, quanto al restante fatture, in mesi sei di reclusione.
Al ricorrente era stato contestato il reato di cui all’art. 81 c.p., comma 2 e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, comma 3, perche’, con piu’ azioni esecutive di medesimo disegno criminoso, emetteva nei confronti della “A. GMG” cinque fatture a nome della propria ditta individuale “CMB e B” per l’importo complessivo di Euro 47.580,00, e quattro fatture a nome della propria ditta individuale “A b” dell’importo complessivo di Euro 48.500,00, al fine di consentire a Mo.Ac., legale rappresentante della “A. GMG” l’evasione delle imposte sui redditi, trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti poiche’ intervenute in realta’ con altri soggetti. In (OMISSIS).
2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente articola tre motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione della legge penale in ordine alla erronea interpretazione degli articoli 156 e ss. del codice penale circa l’applicazione dell’istituto della prescrizione del reato (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).
Assume che la data di consumazione del reato, trattandosi di reato istantaneo, deve ritenersi cristallizzata al 7 giugno 2007, giorno in cui il ricorrente ha posto in essere l’ultima condotta asseritamente delittuosa, cosicche’ sarebbe maturata la prescrizione in data anteriore all’emanazione della sentenza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso lamenta l’illogicita’ e l’erroneita’ della motivazione con conseguente violazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).
Osserva il ricorrente che, sulla base delle stesse ragioni per le quali la Corte di appello e’ pervenuta alla declaratoria di prescrizione di alcuni reati relativi ai fatti contestati, anche i rimanenti, in considerazione del fatto che il tempo necessario a prescrivere e’ stato fissato correttamente in anni sette e mesi sei, dovevano essere dichiarati estinti per intervenuta prescrizione, posto che, anche considerando l’unico evento sospensivo, la prescrizione sarebbe maturata prima della pronuncia della sentenza impugnata.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso lamenta l’erronea applicazione della legge penale in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, commi 1 e 3.
Osserva il ricorrente che il vizio di fondo che inficerebbe il ragionamento del Giudice d’appello e’ da individuarsi nella erronea qualificazione giuridica della condotta attribuita aghi rispetto a quella in concreto realizzata, posto che quella che e’ stata una delegazione di pagamento da Mo.Ac. in favore di esso ricorrente, e quindi una modalita’ di pagamento perfettamente lecita anche sul piano fiscale, e’ stata invece qualificata come illecito penale.
Sostiene a tal proposito che dal combinato disposto del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, commi 1 e 3, risulta necessaria congiuntamente:
a) l’emissione di documentazione fiscale per operazioni soggettivamente inesistente;
b) il dolo specifico inteso come fine di consentire a terzi soggetti l’evasione delle imposte.
Nessuno dei due suesposti requisiti sussisterebbe nel caso di specie ed in cio’ sarebbe ravvisabile l’errore nel quale e’ incorso il giudice di merito.
Infatti, quanto al primo profilo, l’istruttoria dibattimentale avrebbe fatto emergere in modo chiaro come le operazioni contestate fossero realmente intercorse sia sul piano soggettivo che oggettivo.
Oltre a cio’, nessuna prova sarebbe stata raggiunta dall’accusa in ordine al richiesto elemento soggettivo del reato, consistente nel dolo specifico di consentire a terzi l’evasione delle imposte dei redditi o sul valore aggiunto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
2. I primi due motivi di ricorso, essendo tra di loro strettamente collegati, possono essere congiuntamente esaminati.
Premesso che il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 8, comma 2, considera il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti come reato unico, anche nel caso di rilascio di una pluralita’ di fatture nel medesimo periodo di imposta, il termine di prescrizione del reato inizia a decorrere non dalla data di commissione di ciascun episodio ma dall’ultimo di essi (Sez. 3, n. 10558 del 06/02/2013, D’Ippoliti, Rv. 254759).
Facendo applicazione di tale principio e considerato che l’ultima fattura contestata e’ stata emessa in data 7 giugno 2007, il termine di prescrizione non puo’ ritenersi maturato alla data di emanazione della sentenza impugnata perche’ il ricorrente non calcola tutti gli eventi sospensivi del corso della prescrizione e riduce erroneamente a sessanta giorni la sospensione della prescrizione dovuta a due rinvii del processo (dal 23 ottobre 2012 al 9 aprile 2013 e dal 9 luglio 2013 al 12 novembre 2013) per l’adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze proclamata dagli ordini professionali.
Invece, in tema di sospensione della prescrizione, il limite di sessanta giorni previsto dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, non si applica nel caso in cui il differimento dell’udienza sia determinato dalla scelta del difensore di aderire all’astensione collettiva dalle udienze indetta dalle associazioni forensi di categoria, con la conseguenza che, in tal caso, il corso della prescrizione e’ sospeso fino alla data della successiva udienza e, quindi, per il tempo, anche maggiore di sessanta giorni, ritenuto adeguato in relazione alle esigenze organizzative dell’Ufficio procedente (Sez. 3, n. 11671 del 24/02/2015, Spignoli, Rv. 263052).
Identico principio si applica tutte le volte in cui il provvedimento di rinvio del processo e’ disposto dal giudice su istanza e per esigenze della parte richiedente che da’ sempre luogo alla sospensione dei termini di prescrizione per l’intera durata del rinvio, a prescindere dalle ragioni poste a fondamento della richiesta, salvo che esse consistano in un legittimo impedimento della parte o del suo difensore, poiche’, in tal caso, la sospensione ha una durata massima di sessanta giorni (Sez. 7, n. 8124 del 25/01/2016, Nascio, Rv. 266469).
Da cio’ consegue che anche il rinvio disposto a richiesta della difesa (dall’udienza del 9 aprile 2013 a quella del 9 luglio 2013) comporta la sospensione della prescrizione per l’intera durata del rinvio, cosicche’, sommando tutti i periodi sospensivi, la prescrizione e’ decorsa in data 27 dicembre 2015 e pertanto successivamente all’emanazione della sentenza impugnata (del 10 luglio 2015), circostanza che, in presenza di un ricorso inammissibile, preclude l’operativita’ della causa estintiva reclamata.
3. Anche il terzo motivo e’ inammissibile per manifesta infondatezza e per la genericita’ della sua proposizione, atteso che il ricorrente non ha tenuto in alcun conto le ragioni per le quali i giudici del merito hanno escluso l’esistenza di una delegazione di pagamento da Mo.Ac. in favore del ricorrente.
3.1. Il tribunale, nel motivare la decisione sul punto, aveva osservato che dall’esame testimoniale dell’ufficiale di polizia giudiziaria che aveva svolto le indagini e dalla documentazione acquisita (copia delle fatture emesse dalle due ditte dell’imputato a carico della ditta “A. GMC” di Mo.) – risultava che il ricorrente aveva venduto le autovetture di cui alle predette fatture a clienti residenti in Spagna, i quali lo avevano regolarmente pagato con bonifici bancari a favore delle sue ditte.
Tuttavia il ricorrente, invece che fatturare agli acquirenti spagnoli, fatturava le vendite delle auto alla ditta del Mo., che aveva solo fatto da intermediario, consentendo cosi’ a quest’ultimo, mediante tale interposizione soggettiva, di ridurre i ricavi mediante l’indicazione di costi conseguenti a tali (false) fatture. Sulla base di cio’ il tribunale respingeva la versione difensiva con la quale si sosteneva che si fosse in presenza di una delegazione di pagamento, sul rilievo che le auto vendute agli spagnoli erano state precedentemente intestate alla ditta del Mo., per cui quest’ultimo era stato l’effettivo acquirente delle stesse e il pagamento delle auto alla ditta del M. era avvenuta in base all’istituto della delegazione con causa lecita.
3.2. La Corte territoriale ha poi ribadito, in conformita’ alla ratio decidendi che aveva informato la decisione del tribunale, come la prospettazione del ricorrente fosse del tutto sfornita di prova, (prova che andava posta a suo carico, una volta dimostrata dall’accusa la fittizieta’ della intestazione delle fatture al Mo., nella misura in cui tali fatture risultavano pagate dagli acquirenti spagnoli). Da nessun atto di causa, infatti, risultava che le auto fossero state precedentemente volturate e intestate alla ditta del Mo.; ne’ che alcun pagamento delle fatture da parte di quest’ultimo fosse avvenuto, posto che invece le auto, di cui alle fatture in questione, erano state vendute direttamente dal ricorrente ai clienti spagnoli, i quali, a loro volta, le avevano pagate con bonifici a favore di quest’ultimo.
In altre parole, i dati acquisiti dalla Guardia di Finanza, contrariamente a quanto apoditticamente sostenuto dal ricorrente, provavano, con la dovuta certezza, che il rapporto di compravendita delle auto fatturate si svolse esclusivamente fra il venditore M. e gli acquirenti spagnoli, onde le fatture di vendita andavano intestate a costoro e non al Mo., del tutto estraneo al rapporto di compravendita rispetto al quale aveva fatto solo da intermediario.
La giurisprudenza di legittimita’, da tempo e senza oscillazioni, ha chiarito come il negozio giuridico di delegazione abbia una struttura unitaria, essendo composto di un rapporto unico con tre soggetti e due rapporti sottostanti, con la conseguenza che debbono sussistere, per l’integrazione degli effetti delegatori, due condizioni, e cioe’ che il delegante sia creditore del delegato e debitore del delegatario, e che il delegato abbia assunto l’obbligo di pagare a quest’ultimo il debito del delegante. E’ pacifico, infatti, che la delegazione passiva puo’ avere ad oggetto sia una promessa di futuro pagamento (delegatio promittendi, con funzione creditoria), sia un pagamento immediato (delegatio solvendi o dandi, con funzione solutoria); e puo’ assolvere, quindi, sia alla finalita’ di predisporre un futuro adempimento e di rafforzare il rapporto obbligatorio, aggiungendovi un nuovo debitore (delegato) con posizione di obbligato principale accanto al debitore originario (delegante), la cui obbligazione diventa, peraltro, sussidiaria (delegazione cosiddetta cumulativa), sia alla finalita’ di rendere possibile l’adempimento, in atto, di un’obbligazione gia’ scaduta, ad opera di un terzo (delegato) anziche’ ad opera del debitore (delegante), con funzione immediatamente solutoria (Cass. Civ., Sez. 1, n. 676 del 12/03/1973, Rv. 362822 – 01).
E’ vero che la formazione del negozio giuridico di delegazione puo’ essere anche progressiva e non contestuale, senza che cio’ faccia venir meno la unicita’ del rapporto ma gli elementi costitutivi della fattispecie delegatoria, allorche’ siano tali da escludere il fine di evasione delle imposte, vanno rigorosamente provati, non solo assertivamente allegati, da colui che ne invoca la sussistenza, perche’, in tema di delitto di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, quando risulti provata dall’accusa la fittizieta’ della intestazione delle fatture in relazione ai soggetti tra i quali il rapporto contrattuale e’ intercorso, spetta all’emittente della fattura fittizia provare la corrispondenza tra il dato fattuale, inerente ai rapporti giuridici che si ipotizzano effettivamente intercorsi, e quello documentale, attraverso il quale detti rapporti siano stati attestati.
Nel caso di specie, i giudici del merito, in presenza di un comprovato rapporto contrattuale tra il ricorrente e terzi, hanno ritenuto totalmente assente la prova della vendita delle autovetture da parte del M. nei confronti del Mo., che si e’ procurato, in tal modo, costi non realmente sostenuti, in forza di una consapevole condotta dell’emittente finalizzata a consentirgli l’evasione delle imposte, conseguendo da cio’ anche l’integrazione dell’elemento soggettivo del reato contestato.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2000, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.
Cosi’ deciso in Roma, il 21 aprile 2017.
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