La sentenza n. 24379 depositata il 30 novembre 2016 della Corte Suprema intervenendo in tema di deducibilità dei costi ed in particolare del compenso dell’amministratore ha confermato l’orientamento maggioritario sulla questione confermando che i compensi corrisposti agli amministratori non rapportati con i ricavi dichiarati dalla società costituiscono costi troppo elevati ed ingiustificati, per cui risultando non credibili sono fiscalmente indeducibili. Pertanto, per la corte suprema, l’amministrazione finanziaria è legittimata a negarne la deducibilità totale o parziale dal reddito d’impresa, valutandone congruità ed inerenza. In tali ipotesi risulta irrilevante che tali compensi siano stati regolarmente deliberati e che non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici dell’azienda ed è parimenti irrilevante che i manager destinatari degli ingenti pagamenti abbiano pagato maggiori tasse.
La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata che a seguito di un pvc della Guardia di finanza, veniva notificato dall’Agenzia delle Entrate un avviso di accertamento scaturito dalla contestazione della non inerenza di una quota di costi relativi a compensi che la società aveva corrisposto ai suoi amministratori. Tale importo risultava sproporzionato rispetto all’ammontare del volume di affari e dei ricavi dichiarati nel medesimo anno d’imposta ed aumentato in modo spropositato rispetto ai compensi dell’anno precedente nel quale i ricavi conseguiti dalla società erano di gran lunga superiori. Nel caso di specie la società aveva stabilito per i propri amministratori un compenso di 450 mila euro a fronte di un fatturato di 600 mila euro e quasi triplicato rispetto ai compensi dell’anno precedente (150 mila euro) nel quale i ricavi conseguiti dalla società erano di gran lunga superiori.
La contribuente avverso tale atto impositivo proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici accolsero le doglianze della ricorrente. Anche la Commissione Tributaria Regionale, innanzi alla quale la società ricorrente aveva proposto appello, ritenne fondate le doglianze della società. In particolare, è stata giudicata corretta la deducibilità dei compensi corrisposti ai manager aziendali sia perché consentita dalla normativa fiscale (art. 95, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ) sia perché alla deducibilità del costo in capo alla società è comunque corrisposta la tassazione in capo agli amministratori senza produzione di alcun danno alle casse del Fisco.
L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione della CTR con ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini hanno accolto il ricorso promosso dall’Agenzia, riformando la decisione dei giudici tributari. I giudici di legittimità, nella sentenza in commento, hanno confermato il proprio indirizzo maggioritario precisando che, in tema di determinazione del reddito d’impresa, rientra nei poteri dell’Ufficio finanziario la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non sono state ravvisate irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa. Ne deriva la possibilità per l’Ufficio finanziario di negare la deducibilità di un costo ritenuto inesistente o spropositato, non essendo lo stesso vincolato ai corrispettivi indicati nelle delibere sociali. L’Ufficio, infatti, può verificare l’attendibilità economica di tali dati anche in presenza di una contabilità formalmente corretta, permettendo comunque al contribuente di fornire la prova non solo dell’effettività dei componenti negativi (ossia che essi non sono inesistenti), ma anche della loro inerenza in senso quantitativo alla produzione di ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito (art. 109, D.P.R. 917/1986 ).
Tuttavia, se il contribuente non è in grado di giustificare l’ammontare di un compenso sproporzionato e irragionevole, l’Ufficio potrà negarne la deducibilità totale o parziale.
In tema di deducibilità dal reddito d’impresa, sussistono due orientamenti contrastanti.
Il primo orientamento ritiene che l’Amministrazione finanziaria non ha alcun potere di valutazione di congruità rispetto ai compensi. Tale tesi trova il proprio fondamento nell’art. 95, co. 5 (ex art. 62), D.P.R. 917/1986 nel quale si prevede unicamente che «I compensi spettanti agli amministratori (…) sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti»: la mancanza in tale articolo del riferimento a limiti massimi di spesa per i compensi, superati i quali se ne esclude la deducibilità – limiti che, diversamente, si ritrovano nel previgente art. 59, co. 3, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 in cui è previsto, al co. 3, che «I compensi corrisposti dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice ai soci amministratori sono deducibili nei limiti delle misure correnti per gli amministratori non soci» – comproverebbe la tesi secondo la quale l’Amministrazione non può sindacare sulla congruità dei compensi, ma ha solo la possibilità, in presenza di importi eccessivi e spropositati, di ricorrere alle figura della simulazione e dei negozi in frode alla legge.
È di questo avviso sia la stessa Cassazione nella sentenza 10 dicembre 2010, n. 24957 (così come nella precedente pronuncia 9 maggio 2002, n. 6599) che le Corti territoriali di merito (Ctp di Perugia e Ctr dell’Umbria) nel caso de quo oggetto di analisi.
Un secondo orientamento della giurisprudenza, più recente e maggioritario, ritiene che il mancato riferimento nel vigente art. 95, co. 3, D.P.R. 917/1986 a tabelle o comunque ad indicazioni che pongano dei massimali di spesa nella determinazione del compenso per gli amministratori non rappresenta una condizione sufficiente per derogare alla normativa generale in materia di indeducibilità dei costi. In altre parole, la mancata previsione di limiti all’erogazione di compensi ai manager non consente alla società di derogare alle regole basiliari di determinazione del reddito d’impresa, tra le quali in primis l’inerenza dei costi sostenuti, costi che devono essere valutati anche in termini di proporzione, congruità ed adeguatezza.
ORIENTAMENTI DELLA CASSAZIONE | |
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Orientamento minoritario (pro contribuente) | |
Cass., Sez. Tri. Civ., 10.12.2010, n. 24957 | In via di principio l’Amministrazione finanziaria non può sindacare la congruità dei compensi corrisposti agli amministratori di una società di capitali che pertanto sono totalmente deducibili dal reddito societario stante la mancanza, nell’attuale normativa di cui all’art. 95, D.P.R. 917/1986, di riferimenti a tabelle o ad altre indicazioni vincolanti contenenti limiti massimi di spesa. In ogni caso, esistono nell’ordinamento norme antielusive cui fare ricorso nel caso di compensi insoliti o sproporzionati. |
Cass.,, Sez. Tri. Civ., 9.5.2002, n. 6599 | In tema di determinazione del reddito d’impresa, allo stato attuale della legislazione l’Amministrazionefinanziaria non ha il potere di valutare la congruità dei compensi corrisposti agli amministratori delle società di persone, per cui tali compensi sono deducibili come costi ai sensi dell’art. 62 (ora art. 95, co. 5), D.P.R. 917/1986. |
Orientamento maggioritario (pro Fisco) | |
Cass., Sez. VI Civ., ord. 14.11.2013, n. 25572 | La deducibilità dei compensi degli amministratori di società non implica che gli Uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in deliberazioni sociali o contratti, competendo ai medesimi la verificadell’attendibilità economica dei predetti dati. |
Cass., Sez. VI Civ., ord. 15.4.2013, n. 9036 | In tema di determinazione dei redditi d’impresa, rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, ancorché non risultino irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa; ne consegue che la deducibilità, ai sensi dell’art. 62 (ora art. 95), D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dei compensi degli amministratori delle società (nella specie una S.r.l.) non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in deliberazioni sociali o contratti, competendo all’Ufficio la verifica dell’attendibilità economica dei predetti dati. |
Cass., Sez. VI Civ., ord. 11.2.2013, n. 3243 | In tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente «l’onere della prova dei presuppostidei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del d.P.R. n. 597 del 1973 e del d.P.R. n. 598 del 1973, che del d.P.R. n. 917 del 1986; e che, poiché rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi». |
Cass., Sez. Tri. Civ., 30.10.2001, n. 13478 | Rientra nei poteri del Fisco valutare la congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e procedere alla rettifica di queste ultime, sebbene non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con conseguente negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa; pertanto, la deducibilità, ai sensi dell’art. 62 (ora art. 95), D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dei compensi degli amministratori delle società (nel caso di specie: società di capitali) non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in delibere sociali o in contratti. |
Cass., Sez. Tri. Civ., sent. 27.9.2000, n. 12813 | L’Amministrazione finanziaria è legittimata a compiere una valutazione di congruità dei costi e dei ricaviesposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e a procedere alla loro rettifica, anche in assenza di irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa; pertanto, la deducibilità ex art. 62 (ora 95), D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 dei compensi dei manager, soci e non soci, delle società in nome collettivo non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in delibere sociali o contratti. Nel caso di specie, in applicazione di tale principio, la Cassazione ha confermato la decisione di merito che, ritenuta ingiustificata la nomina ad amministratori di cinque soci ed eccessivo l’importo dei compensi, aveva affermato la legittimità della riduzione, operata dall’ufficio, del compenso riconoscibile a ciascun amministratore. |
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