La Corte di Cassazione sez. civile con sentenza n. 20228 del 4 settembre 2013 intervenendo in tema di concorrenza ha affermato che “la concorrenza illecita per mancanza di conformità ai principi della correttezza non può mai derivare dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori (cosiddetto storno di dipendenti) da un’impresa ad un’altra concorrente, ne’ dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente, attività in quanto tali legittime essendo espressione dei principi della libera circolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica”.
La vicenda ha riguardato l’impresa condannata al risarcimento del danno che, in prossimità della chiusura del contratto con il proprio distributore, aveva assunto i venditori più bravi ed esperti per operare direttamente sul mercato commercializzando i propri prodotti senza intermediari.
Pertanto i giudici di legittimità hanno ritenuto che l’imprenditore che assume i dipendenti più capaci di un’azienda che opera nel suo stesso ramo commerciale al solo scopo di danneggiarla. La strategia aveva il duplice effetto di acquisire professionalità in possesso di specifiche nozioni tecniche, risparmiando così sulla formazione e mettendo al tempo stesso l’azienda concorrente nell’impossibilità di competere privandola delle sue migliori risorse.
La Cassazione precisa che non sempre il cosiddetto storno dei dipendenti da un’impresa a un’altra concorrente è scorretto, né lo è la contrattazione che un imprenditore intrattiene con il collaboratore dell’ “avversario”, perché si tratta di azioni che sono espressione dei principi della libera cicolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica. Il comportamento è invece sleale quando il travaso viene messo in atto non solo sapendo che può danneggiare l’altro, ma proprio con l’intenzione di raggiungere quel risultato. Per capire se questo accade, bisogna considerare: la quantità dei soggetti stornati, la portata dell’organizzazione complessiva della concorrente, la posizione che i dipendenti rivestivano, la loro scarsa fungibilità, la rapidità del cambio di campo e il parallelismo con l’iniziativa economica tra le due imprese.
Per cui la Corte Suprema ha condannata a risarcire il danno l’impresa che convince i dipendenti dell’azienda concorrente a lavorare per essa. I i giudici precisano che se lo storno di dipendenti non configura di per sé un illecito civile, lo è invece l’attività posta in essere con la consapevolezza di danneggiare il competitor attraverso il furto di know-how.
Infine, sottolineano i giudici quattro dipendenti su trenta sono sufficienti a configurare lo storno aziendale perché costituiscono una percentuale considerevole dell’intera forza lavoro dell’azienda derubata sul piano dell’immagine oltre che dell’esperienza: i venditori neoassunti avevano infatti acquisito negli anni una loro autorevolezza sul territorio creando una sicura ed efficace rete di vendita.
clicca per visualizzare la sentenza n. 20228 del 04 settembre 2013
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