La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 36398 del 04 settembre 2013 intervenendo in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro ha statuito che il committente, proprietario dell’appartamento, che sottoscrive un contratto di appalto con una impresa per la ristrutturazione dell’immobile non è corresponsabile per la morte dell’operaio, se non ha interferito nella direzione dei lavori, limitando l’autonomia della società edile.
Gli Ermellini con la sentenza in esame chiariscono e precisano che le responsabilità che il Dlgs 494/1996 addossa al committente. Nel caso di specie la Corte Suprema accoglie le motivazioni dei ricorrenti, condannati per omicidio colposo nei primi due gradi di giudizio. I giudici di merito avevano ritenuto i committenti rei delle violazioni delle norme anti infortunistiche condannandoli per omicidio colposo.
La vicenda è scaturita dalla morte di un operaio dopo essere caduto, mentre trasportava una tavola di legno, dalle scale, prive di parapetto. Per i giudici di prime cure e per la Corte Territoriale i committenti avrebbero omesso una serie di azioni di loro competenza. In particolare dalla verifica della corretta applicazione delle norme di sicurezza. Inoltre avrebbero dovuto impedire l’utilizzo di un ponteggio non a norma, nominare un coordinatore alla sicurezza e verificare l’idoneità della ditta.
La Corte Suprema, contrariamente dai giudici di merito, ha ritenutoche si tratta di oneri eccessivi non richiesti dalla norma di riferimento ricordando che la figura del committente è stata considerata solo con il Dlgs 494/96.
Pertanto alla luce di quanto sopra i giudici di legittimità hanno spiegato che il committente deve essere considerato corresponsabile per omicidio colposo, con l’appaltatore e il direttore dei lavori, se c’è una relazione tra la sua azione od omissione e l’evento mortale. Questo avviene quando dà direttive o chiede la realizzazione di progetti pericolosi o consente l’inizio dei lavori in situazioni di rischio. C’è responsabilità anche quando il cantiere è gestito dall’appaltante o se la ditta utilizza strutture di supporto e strumenti di proprietà del committente e l’infortunio è determinato dall’inefficienza dell’attrezzatura.
Nella fattispecie la Corte Suprema ha rinviato ad altra sezione della Corte d’Appello per chiedergli di chiarire quali di questi obblighi siano venuti meno. Per i giudici di legittimità i non c’era, ad esempio, il dovere di nominare un coordinatore per la progettazione, previsto solo in caso di cantieri di grandi dimensioni o di affidamento di lavori a più imprese. Non c’è un obbligo neppure di indicare un direttore dei lavori, essendo una facoltà concessa al committente che vuole sottrarsi agli obblighi di legge.
Per finire la Cassazione esclude anche l’incidenza nel verificarsi dell’evento, di una mancata previsione sulla durata e le fasi dei lavori. Per quello che riguarda l’omesso rispetto dell’articolo 3 della legge 626/94 sulla sicurezza lavoro, nella fase di progettazione dell’opera, la Cassazione specifica che «la norma persegue l’obiettivo di far adottare scelte progettuali più sicure e non può confondersi con l’adozione di misure “speciali” quali la dotazione dei ponteggi di tavole fermapiede e parapetti». A parere dei giudici nulla fa supporre che i proprietari dell’appartamento abbiano interferito nell’organizzazione del cantiere o nell’esecuzione dei lavori. Con una sentenza 14207 del 5 giugno scorso la Cassazione ha affermato la responsabilità del committente, per non aver adottato le misure necessarie a tutelare l’integrità del lavoratore morto, anche se dipendente dell’impresa appaltatrice.
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