CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 settembre 2013, n. 20728
Lavoro – Trasferimento d’azienda – Entità economica non autosufficiente – Violazione di norme imperative
Svolgimento del processo
Con sentenza del 16.4.2010, la Corte di Appello di Bari respingeva il gravame proposto dalla s.p.a T.I. avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso di B.F. dichiarando l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. al rapporto di lavoro, che doveva intendersi proseguire senza soluzione di continuità con la T., non potendo ritenersi che il settore Logistica fisica trasferito il 27.2.2003 alla TNT Logistic Italia s.p.a. configurasse un autonomo ramo d’azienda.
Rilevava la Corte del merito che la struttura oggetto del trasferimento era tutt’altro che preesistente, poiché rimaneggiato in occasione della cessione con un’arbitraria selezione delle unità impiegatizie da trattenere e di quelle da cedere, e che la stessa era tutt’altro che autonoma in quanto pur sempre dipendente da T.I. per quanto atteneva alla sfera decisionale ed impossibilitata a funzionare in maniera autosufficiente al di fuori del contesto T. al quale era legata mercè il contratto di servizio concluso tra T. e TNT contestualmente alla cessione.
Al di fuori di una responsabilità di carattere meramente esecutivo, alla cessionaria non veniva riconosciuta discrezionalità alcuna in ordine alla determinazione delle concrete modalità di svolgimento delle attività cedute. Era emerso che TNT non decideva neppure a quali riparatori rivolgersi in caso di guasti dei prodotti e non era stata ceduta contestualmente alla cessione delle attività di magazzinaggio neanche la proprietà dei magazzini, che erano rimasti di proprietà di T., così come era stata ceduta solo l’attività di trasporto e di consegna, senza trasferimento degli automezzi, ma solo dei contratti di trasporto.
Il personale ceduto continuava, poi, ad utilizzare sistemi informatici ed applicativi T. e quest’ultima società continuava a gestire una parte consistente dell’attività logistica e delle unità assegnate alla struttura, posto che in precedenza solo quattro di tali unità lavorative erano state cedute a TNT unitamente ai servizi trasferiti, mentre le restanti risorse erano rimaste in T. continuando a svolgere la medesima attività. Osservava che soltanto la logistica distributiva era stata trasferita, mentre le restanti risorse operanti nelle precedenti strutture di logistica erano confluite nella Case Management e non era stata dismessa l’intera funzione “logistica logica” afferente la struttura operativa trasferita, bensì una parte minima di tale funzione, disponendosi che solo gli impiegati addetti alla funzione DW. ACQ. C.L. e non anche quelli (aventi le medesime funzioni) addetti alla Case Management o ad altre articolazioni interne transitassero alle dipendenze della TNT.
Inoltre, soltanto gli impiegati amministrativi di Bari erano stati trasferiti, al di là di una effettiva connessione con la struttura operativa, e, pertanto, doveva ritenersi che la T. prima aveva costituito una nuova struttura con funzioni solo formalmente unitarie ed esclusive, cui aveva destinato i lavoratori del settore amministrativo da spostare presso TNT, e poi aveva provveduto alla cessione del supposto ramo d’azienda. L’attività dei dipendenti appartenenti alla neonata “funzione logistica” sì traduceva non già in un delineato servizio all’interno dell’azienda, bensì in una parte pure minima del servizio logistico non distintamente ed autonomamente definibile ed individuabile per caratteristiche, funzioni ed oggetto, rispetto al complessivo servizio fornito dalle varie strutture adibite ai medesimi compiti e nient’affatto inerente, più di altre, alla struttura operativa trasferita. Occorreva, pertanto, a giudizio della Corte d’appello, il consenso dei lavoratori ceduti, ex art. 1406 c.c., consenso nella specie non prestato.
Per la cassazione di tale decisione ricorre T.I. spa, affidando l’impugnazione a due motivi.
Resiste, con controricorso, il B., che illustra le proprie difese nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la società T.I. p.a. denunzia, ai sensi dell’ art. 360, n. 3, c.p.c, violazione e falsa applicazione di norme di diritto, violazione dell’art. 2112, 5° comma, c. c., evidenziando la sussistenza dell’autonomia funzionale e della preesistenza del ramo d’azienda ceduto. Assume che non era decisivo ed era, anzi, del tutto indifferente, che altre attività latamente riconducibili alla logistica, ma non ricomprese nel trasferimento, fossero state proseguite presso T. e che l’errore di valutazione consiste in un apriorismo concettuale secondo il quale il ramo Logistica dovesse necessariamente essere composto da tutte le strutture che presso T. ne condividevano il nome, laddove la scelta di T. di dare vita ad un ramo di azienda con le suddette caratteristiche era insindacabile e pertinente alle prerogative esclusive dell’impresa ai sensi dell’art. 41 Cost.. La condizione della preesistenza prevista dal legislatore doveva ritenersi nella specie soddisfatta (sei centri di raccolta e 101 magazzini idonei a consentire il proseguimento dell’attività dì movimentazione logistica).
Con il secondo motivo, la società lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., omessa motivazione circa fatti decisivi per il giudizio, sostenendo che la Corte non ha considerato adeguatamente le deposizioni testimoniali che avevano confermato che all’interno di T. vi era una sola struttura denominata Case Management, la quale aveva, però, compiti decisionali e strategici, diversi da quelli di carattere operativo.
Il ricorso è infondato.
Questa Corte ha già osservato, sia pure con riferimento a controversia relativa alla cessione di analogo ramo di azienda intentata da altri lavoratori operanti presso altro ambito territoriale della stessa società, che – nel regime normativo precedente la modifica contenuta nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 – per “ramo d’azienda”, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ. (così come modificato dalla L. 2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione della direttiva CE n. 98/50), come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non anche una struttura produttiva creata “ad hoc” in occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito. E’ stato in modo del tutto condivisibile osservato che può applicarsi la disciplina dettata dall’art. 2112 cod. civ. anche in caso di frazionamento e cessione di parte dello specifico settore aziendale destinato a fornire il supporto logistico sia al ramo ceduto che all’attività rimasta alla società cessionaria, purché esso mantenga, all’interno della più ampia struttura aziendale oggetto della cessione, la propria organizzazione di beni e persone al fine della fornitura di particolari servizi per il conseguimento di specifiche finalità produttive dell’impresa e che, in presenza di tale presupposto, sì considerano fare parte del ramo d’azienda, sicché, peraltro, i rapporti trasferiti dal cedente al cessionario, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ. senza necessità di un loro consenso, riguardano i dipendenti che prestano la loro attività non solo esclusivamente, ma anche prevalentemente, per la produzione di beni e servizi del ramo aziendale (Cass. n. 2489 del 2008, Cass. n. 8017 del 2006).
Deve, comunque, trattarsi di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività di impresa”, laddove nella specie è stato evidenziato che l’autonomia funzionale dei beni e strutture oggetto del trasferimento del settore Logistica fisica non era in essere al momento del trasferimento, e dunque preesistente, ma solo teorica o potenziale, come desumibile dalla circostanza, evidenziata dal giudice del gravame, che, al di là di una responsabilità di carattere meramente esecutivo, alla cessionaria non veniva riconosciuta discrezionalità alcuna in ordine alla determinazione delle concrete modalità di svolgimento delle attività cedute, delle quali non erano stati trasferiti i beni materiali ma unicamente i contratti in essere. Questi, per di più erano limitati ad una minima parte dell’attività logistica, ossia della logica distributiva, ove erano confluite risorse precedentemente assegnate alla funzione DW.ACQ C.L. e non anche quelle, aventi le medesime funzioni, addette alla Case Managment o ad altre articolazioni interne.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento, risultando coerente anche con la normativa comunitaria ed i principi costituzionali e rispettosa dei principi affermati da questa Corte di Cassazione, che ha, in materia di trasferimento di parte (ed. ramo) di azienda, precisato che tanto la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e 2001/23), quanto la legislazione nazionale (art. 2112, comma quinto, cod. civ., sostituito, poi, dall’art. 32 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 non applicabile ratione temporis) perseguono il fine di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità, sia dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività produttiva.
Si è osservato che la citata direttiva del 1998 richiede, pertanto, che il ramo d’azienda oggetto del trasferimento costituisca un’entità economica con propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria, e, analogamente, l’art. 2112, quinto comma, cod.civ., si riferisce alla “parte d’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”.
Deve, quindi, trattarsi di un’entità economica organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di una sola opera (cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza 24 gennaio 2002, C-51/00), ovvero di un’organizzazione quale legame funzionale che renda le attività dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati, là dove, infine, il motivo del trasferimento ben può consistere nell’intento di superare uno stato di difficoltà economica (cfr., Cass. 8.6.2009 n. 13171).
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione anche del dictum giurisprudenziale, che – dopo avere ribadito che per “ramo d’azienda”, come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione d’azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione de! trasferimento, conservi la sua identità – ha precisato che (come affermato anche dalla Corte di Giustizia, sentenza 24 gennaio 2002, C-51/00 Temco) tale trasferimento deve consentire l’esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obbiettivo, il cui accertamento presuppone la valutazione complessiva di una pluralità dì elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale trapasso di elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell’avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, dell’eventuale trasferimento della clientela, nonché del grado di analogia tra le attività esercitate prima e dopo la cessione, in ciò differenziandosi dalla cessione del contratto ex art. 1406 cod. civ., che attiene alla vicenda circolatoria del solo contratto, comportando la sola sostituzione di uno sei soggetti contraenti e necessitando, per la sua efficacia, del consenso del lavoratore ceduto (cfr. Cass. 17 marzo 2009 n. 6452).
Infondato è, poi, il secondo motivo di ricorso, con il quale sì censura, nella sostanza, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito. Ed invero, ogni rilievo circa la rilevanza attribuita a particolari circostanze, ritenute nella sentenza impugnata sussistenti ed idonee a comprovare la illegittimità dell’operazione traslativa, quali la prosecuzione di altre attività latamente riconducibili alla logistica presso la T.I. e la scissione di una parte della funzione “logistica logica o fisica”, facente parte delle strutture confluite nella Case Managment, si risolve in una critica non consentita nella presente sede di legittimità, in cui il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr, tra le altre, (cfr. Cass. 2272/2007, nonché alla stessa conformi, Cass. 14084/2007 e 15264/2007).
Peraltro, deve anche rilevarsi che sono state evidenziate circostanze idonee a configurare indici sintomatici della elusione di norme imperative, quali il graduale spostamento solo degli impiegati amministrativi di Bari presso la struttura operativa creata ad hoc con funzioni solo formalmente unitarie in vista del successivo trasferimento alla cessionaria.
Ne consegue che non è riconducibile alla nozione di cessione d’azienda il contratto con il quale viene realizzata la cd. esternalizzazione dei servizi, ove questi non integrino un ramo o parte di azienda nei sensi suindicati. Per queste ragioni, correttamente è stata esclusa la sussistenza dei requisiti per configurare la cessione di ramo dì azienda nel trasferimento, da una società ad altra, del ramo d’azienda “Logistica fisica”, considerato che di esso non erano state chiarite struttura e dimensione, né provata la connessione della professionalità del personale addettovi con le attività del preteso ramo, né l’autonomia organizzativa, e che, inoltre, la articolazione funzionale ceduta si caratterizzava per la estrema eterogeneità delle attività e capacità professionali dei lavoratori che vi erano addetti e per la mancanza di qualsiasi funzione unitaria, suscettibile di farla assurgere in qualche modo ad unitaria “entità economica” (in tali termini, Cass. 206/2004, cui sono conformi Cass. 22125/06, Cass. 5932/08 cit.).
Alla stregua delle esposte considerazioni, il ricorso va respinto e la società, per il principio della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura indicata in dispositivo, con attribuzione al difensore dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la T.I. S.p.a. al pagamento delle spese dì lite del presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 4500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, con attribuzione all’avv. L.G..
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