TRIBUNALE DI ROMA – Ordinanza 08 agosto 2013
Lavoro – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Soppressione dell’ufficio paghe – Violazione dell’obbligo di repechage
R. C. è stata dipendente a tempo inderminato di A. 1 s.r.l. (già A. 1 S.p.A.) con decorrenza 1.1.2005. Essa è stata inquadrata, da ultimo, nel 1° livello del Ccnl del settore terziario/commercio ed ha svolto, sempre da ultimo, mansioni di responsabile dell’ufficio paghe presso la Direzione generale di Roma.
Con lettera del 25.2.2013 la società convenuta ha intimato alla ricorrente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a seguito della decisione “di sopprimere del tutto l’ufficio paghe e amministrazione del personale, affidando a fornitori esterni il compito di eseguire le attività ivi svolte. Tale decisione risulta necessaria per garantire la continuità del servizio e, soprattutto, conseguire una significativa riduzione dei costi operativi, sempre più indispensabile per affrontare i problemi contingenti e strutturali che derivano dai ridotti volumi di presenza nel mercato. Alla luce di quanto sopra, pertanto, il Suo ultimo giorno di lavoro sarà il 28 Febbraio 2013”.
La C. ha impugnato giudizialmente detto recesso (con il rito speciale di cui alla legge n. 92/2012, art. 1 commi 48 e 49), evidenziando in primo luogo che a differenza della comunicazione sopra richiamata, la precedente obbligatoria comunicazione del 25.1.2013 – inoltrata alla Direzione territoriale del lavoro per l’espletamento del tentativo di conciliazione e per conoscenza alla lavoratrice – era stata sottoscritta dalla A. 1 S.p.A. (a quella data non più esistente) e non dalla A. 1 s.r.l., nuovo datore di lavoro.
Sul punto, deve ritenersi essersi trattato di mero errore materiale, verosimilmente cagionato dal recente cambiamento di denominazione sociale della compagine convenuta, tanto che la lettera alla DTL è stampata su carta intestata alla A. 1 s.r.l., con partita iva e sede legale della stessa.
La ricorrente ha poi sostenuto l’insussistenza del motivo oggettivo posto a base del recesso.
Sul punto, risulta documentalmente dimostrato che la società convenuta ha effettivamente dismesso il servizio di gestione e di amministrazione del personale somministrato (compreso l’ufficio paghe presso il quale operava la C.), provvedendo ad esternalizzare il relativo servizio con affidamento dello stesso in outsourcing alla Metek s.r.l. (doc. 3 convenuta).
L’effettività di tale esternalizzazione, rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro, non pare possa essere seriamente messa in dubbio, a nulla rilevando che due dei quattro dipendenti addetti all’ufficio paghe, anch’essi licenziati, dopo aver conciliato la lite con la società convenuta, siano stati poi assunti dalla società affidataria del servizio esternalizzato.
Appare sussistere pertanto l’effettività della soppressione del posto di lavoro della ricorrente.
Quanto infine alla dedotta violazione dell’obbligo di repechage, a fronte delle specifiche e puntuali allegazioni di parte ricorrente sulla sua possibile ricollocazione lavorativa (addetta presso la filiale di Roma in via Nocera Umbra, presso la quale la società convenuta, in prossimità del licenziamento, aveva operato una trasformazione di un contratto a termine in un rapporto a tempo indeterminato; addetta in amministrazione con adibizione alle mansioni di fatturazione; addetta presso gli uffici di tesoreria; assunzioni di personale ad opera della società convenuta successive al licenziamento della ricorrente), va osservato che la società convenuta ha dedotto che solo una unità era stata assunta dopo il licenziamento della ricorrente ma in mansioni diverse (addetta di filiale) rispetto a quelle svolte dalla C. e che comunque non erano disponibili posizioni di livello equivalente cui poter adibire la ricorrente in alternativa al licenziamento.
Sul punto, va tuttavia osservato in primo luogo che in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro che adduca a fondamento del licenziamento la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa – alla quale avrebbe potuto essere assegnato il lavoratore per l’espletamento di mansioni equivalenti a quelle svolte -, ma anche di aver prospettato, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale (così Cass. 13.8.2008, n. 21579); in secondo luogo, quanto alle posizioni lavorative richiamate negli atti delle parti – rispetto ai quali la società convenuta ha sostenuto che esse “sono tutte legate a mansioni superiori o totalmente diverse rispetto a quelle che erano affidate alla ricorrente” – va osservato che tali giustificazioni non sembrano cogliere nel segno, dal momento che per posizioni di livello equivalente devono intendersi posizioni del medesimo livello di inquadramento contrattualcollettivo pur in presenza di mansioni e competenze professionali diverse.
A ragionare diversamente, infatti, non ci potrebbero essere mai posizioni strettamente equivalenti alle mansioni di responsabile dell’ufficio paghe, proprio perché quest’ultimo è stato soppresso; ma ciò non toglie che il responsabile dell’ufficio paghe possa essere ricollocato in mansioni e competenze professionali diverse, pur sempre rientranti comunque nello stesso livello di inquadramento stabilito dalla contrattazone collettiva.
Ebbene, proprio sotto questo ultimo profilo, la difesa della società convenuta appare essere carente, poiché nell’analizzare nel dettaglio le singole posizioni richiamate in ricorso come possibile alternativa al licenziamento, essa ha fatto riferimento alle diverse job descritions dalle quali ha desunto competenze diverse, superiori e lontane da quelle svolte dalla ricorrente, senza tuttavia indicare (o documentare) il livello di inquadramento con il quale sono state assunte dette posizioni.
Sicché, all’esito di quanto detto, appare sussistere la violazione dell’obbligo di repechage.
E tuttavia, la conseguenza di detta violazione non determina, come in precedenza, la reintegrazione del lavoratore licenziato nel posto di lavoro in precedenza occupato, rimanendo ferma la risoluzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento. Ciò perché la nuova formulazione dell’art. 18 Stat. lav. prevede detta reintegrazione solo nei casi in cui si accerti la “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo” (comma 7), mentre nelle altre ipotesi in cui si accerti che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice deve applicare la disciplina di cui al comma 5 (e cioè, la c.d. “tutela indennitaria forte”).
Ebbene, nel caso in esame, il fatto posto a fondamento del licenziamento (la soppressione e l’esternalizzazione dell’ufficio paghe) è come detto sussistente, mentre è ritenuto violato l’obbligo di repechage, che non è propriamente il fatto posto a base del licenziamento, costituendone invece una conseguenza, nel senso che il datore di lavoro, una volta venuta meno la posizione lavorativa, è tenuto, prima di recedere dal contratto, a verificare se vi sia possibilità di ricollocazione del dipendente all’interno dell’azienda.
Sicché alla violazione dell’obbligo di repechage consegue unicamente l’accertamento che “non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo”.
Quanto alla liquidazione dell’indennità risarcitoria onnicomprensiva (tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto), occorre tener conto di una serie di criteri stabiliti dalla legge.
L’anzianità lavorativa della C. è abbastanza elevata (poco più di otto anni); la società convenuta ha poco più di 50 dipendenti e sta vivendo un periodo di crisi; il comportamento delle parti, seppure non ha consentito di raggiungere una soluzione conciliativa, è apparso comunque nel complesso collaborativo e disponibile (in sede conciliativa pregiudiziale, la società convenuta ha offerto alla ricorrente il pagamento di cinque mensilità, non accettate dalla lavoratrice; in sede giudiziale, la società ha elevato l’offerta a sei mensilità, a fronte della richiesta di diciotto da parte della C.); non risulta che la ricorrente abbia assunto iniziative per la ricerca di una nuova occupazione.
Sulla base di tutti detti complessivi criteri, appare equo stabilire la misura di detta indennità risarcitoria onnicomprensiva in quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Sulla base del cedolina paga in atti (del dicembre 2012) la misura della retribuzione mensile lorda della ricorrente è pari a € 2.390,68.
In base a quanto esposto, pertanto, ritenuto che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e fermo restando che il rapporto di lavoro è risolto con effetto dalla data del licenziamento, va pronunciata condanna della società convenuta al pagamento in favore della ricorrente di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (retribuzione mensile lorda di riferimento pari a € 2.390,68), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione al saldo.
Visto l’esito del giudizio, le spese di esso vanno compensate per la metà. La restante metà, liquidata come in dispositivo e distratta ex art. 93 c.p.c., va posta a carico della società convenuta.
P.Q.M.
visto l’art. 1, comma 49, legge n. 92 del 2012
DICHIARA che in relazione al licenziamento intimato dalla A. 1 s.r.l. nei confronti di R. C. non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo;
DICHIARA risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti con effetto dalla data del licenziamento;
CONDANNA la A. 1 s.r.l. al pagamento in favore di R. C. di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (retribuzione mensile lorda di riferimento pari a € 2.390,68), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione al saldo;
COMPENSA per metà le spese del giudizio e CONDANNA la società convenuta a rimborsare in favore dei procuratori antistatari di parte ricorrente la restante metà che si liquida in € 850,00, oltre Iva e Cpa.
Si comunichi.
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