CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 settembre 2013, n. 38031
Inps – Omissione contributiva – Mancata notifica dell’accertamento – Decreto penale di condanna – Punibilità
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza 17.2.2012, la Corte d’Appello di Bari, ha confermato la condanna di M. L. in ordine al reato di cui all’art. 2 della legge n. 638/1983 di cui l’imputata era stato ritenuta colpevole per omesso versamento all’INPS delle trattenute sulle retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti per gli anni compresi tra il 2002 e il 2005. Ha ritenuto – per quanto qui interessa – che a prescindere dalla effettiva notificazione o meno del verbale di accertamento del 3.3.2006, l’imputata è venuta comunque a conoscenza della violazione con la notifica del decreto penale di condanna effettuata il 18.9.2008 per cui, quanto meno da tale data, se non da quella del 3.3.2006, decorreva il termine di tre mesi normativamente previsto per eseguire il pagamento di quanto dovuto.
Ha poi rigettato l’eccezione di avvenuto pagamento formulata dalla difesa osservando che mancava la prova della corresponsione della somma richiesta dall’lNPS (pari a €. 4.219,94) perché i documenti prodotti in primo grado si riferivano ad altre omissioni ed altre causali ben diverse da quella oggetto di esame.
Infine – sempre ai fini di quanto ancora interessa – ha rigettato l’eccezione di prescrizione rilevando che secondo l’articolo 158 cp nella formulazione vigente all’epoca, nel caso di reato continuato il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la continuazione e cioè nell’anno 2005.
2. Contro la decisione ricorre per cassazione l’imputata deducendo l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche e la omessa motivazione.
Afferma in particolare la ricorrente che la Corte di merito non solo aveva omesso di motivare sulla avvenuta notifica del verbale di accertamento (oggetto di specifica censura), ma aveva altresì errato nel ritenere il decreto penale di condanna idoneo a portare a conoscenza la violazione perché, secondo la giurisprudenza delle sezioni unite – di cui la ricorrente riporta i passaggi salienti – si richiede che l’atto contenga comunque tutti gli elementi necessari affinché l’accesso alla causa di non punibilità risulti assicurato.
Rileva inoltre di avere documentato l’avvenuto pagamento delle ritenute in data anteriore alla notifica del decreto penale ed addebita alla Corte di merito di avere errato nei considerare la documentazione relativa ad altre causali: osserva al riguardo che i maggiori importi contenuti nelle cartelle di pagamento esibite unitamente alle quietanze si spiegano considerando che sono state incluse anche altre causali in aggiunta a quelle per cui è processo ed in più sono riportate somme aggiuntive a titolo di interessi e penali per ritardo.
Ancora, si duole della mancata declaratoria di prescrizione con riferimento alle condotte relative agli anni 2002, 2003 e 2004 rimproverando alla Corte di merito di avere errato nel calcolare il tempo necessario a prescrivere i vari reati avvinti dalla continuazione perché nel caso di specie doveva applicarsi la nuova disciplina introdotta con la legge n. 251/2005: di conseguenza, il termine di prescrizione per ì reati uniti da vincolo della continuazione decorre dalla data di consumazione di ciascuno di essi e non dalla data di cessazione della continuazione (come invece ritenuto dal giudice di merito che ha fatto applicazione della previgente normativa). Rileva comunque che l’ultima violazione è relativa all’omesso versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte nell’anno 2005 e quindi si intende consumata il 16 gennaio 2006.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
Il D.L 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 1 bis, convertito nella L 11 novembre 1983, n. 638, dispone che il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro tre mesi decorrenti o dalla contestazione ovvero dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione. Il successivo comma 1 ter dispone poi che la denuncia di reato è presentata o trasmessa dopo il versamento dì cui al comma 1 bis ovvero decorso inutilmente il termine ivi previsto, mentre il comma 1 quater stabilisce che durante il suddetto termine di cui al comma 1 bis il corso della prescrizione rimane sospeso.
Secondo la giurisprudenza delle sezioni unite – a cui va senz’altro data continuità -in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini della causa di non punibilità del pagamento tempestivo di quanto dovuto, il decreto di citazione a giudizio è equivalente alla notifica dell’avviso di accertamento solo se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato all’imputato, contenga gli elementi essenziali del predetto avviso, costituiti dall’indicazione del periodo di omesso versamento e dell’importo, la indicazione della sede dell’ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e l’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità (cfr. cass. Sez. U, Sentenza n. 1855 del 24/11/2011 Ud. dep. 18/01/2012 Rv. 251268).
Questo principio, che la Corte dì merito ha utilizzato ai fini della decisione con riferimento alla notifica del decreto penale di condanna avvenuta in data 18.9.2008, non trova però applicazione nella fattispecie perché la contestazione contenuta nel decreto penale di condanna sì riferisce alla violazione posta in essere dalla M. (nella sua qualità di datore di lavoro), e riguardante “l’omesso versamento all’INPS di Foggia delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratoti dipendenti dal 2002 al 2005, come da allegato elenco”.
Come sì vede, il suddetto decreto non contiene affatto tutti gli elementi dell’atto di accertamento proveniente dall’INPS perché non contiene nessun riferimento agli importi delle somme e al termine di tre mesi concesso per eseguire il pagamento ed usufruire della causa di non punibilità prevista dalla legge, D’altro canto la Corte di merito si limita a richiamarlo senza approfondire la questione, assolutamente determinante ai fini della decisione sul decorso del termine per fruire della causa di non punibilità.
Di conseguenza, la mancata notifica dell’avviso di accertamento di cui la Corte d’Appello prende sostanzialmente atto e l’inidoneità del decreto di penale di condanna a valere come atto equipollente e, quindi, il mancato decorso del termine escludono la punibilità e quindi la possibilità di emettere una pronuncia di condanna.
La sentenza va pertanto annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari per nuovo esame sulla posizione contributiva dell’imputata, la quale potrà essere posta in condizioni dì provvedere al pagamento, qualora non vi abbia già provveduto, secondo le regole sopra esposte, restando logicamente assorbita la valutazione delle altre censure. Il giudice di merito valuterà altresì la questione relativa alla prescrizione tenendo in ogni caso presente che l’ultima condotta (posta in essere il 16.1.2006) rientra nella previsione dell’art. 158 cp nuova formulazione e che in ogni caso, per il principio del favor rei, si applica la nuova disciplina dell’art. 158 cp anche con riguardo alle condotte omissive poste in essere precedentemente alla entrata in vigore della legge 251/2005.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello dì Bari.
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