CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 ottobre 2013, n. 22611
Rapporto di lavoro subordinato – Accertamento – Qualifica dirigenziale di direttore generale – Indipendenza organizzativa
Fatto
Il Tribunale di Perugia, in funzione di giudice del lavoro, per quello che interessa, rigettava la domanda proposta da Z.M. nei confronti dell’Associazione Festival delle Nazioni intesa ad ottenere l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la qualifica dirigenziale di direttore generale, nel periodo dall’ottobre 1994 al maggio 1997, tra esso ricorrente e la detta Associazione con ogni consequenziale condanna, per differenze retributive e regolarizzazione contributiva, a decorrere dall’ottobre 1994.
Tale decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Perugia che, con sentenza del 22.8.2007, nel rigettare il gravame interposto dallo Z. rilevava che dalle risultanze della istruttoria espletata non era emerso l’assoggettamento dell’appellante al potere gerarchico e (potenzialmente) disciplinare del consiglio di amministrazione della detta Associazione, come già correttamente ritenuto dal primo giudice. In particolare, evidenziava che i testi escussi avevano riferito dell’ampia autonomia di cui godeva lo Z. il quale aveva piena libertà organizzativa nella fase di esecuzione delle decisioni generali del consiglio di amministrazione che si limitava alle scelte di indirizzo senza esercitare alcuna forma di vigilanza sull’attività del predetto e senza impartigli direttive specifiche.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso lo Z. affidato ad un unico motivo.
L’Associazione Festival delle Nazioni – Onlus resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Diritto
Con l’unico motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2099 e 2222 c.c. e 36 Cost. e, comunque, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Si assume che la Corte di merito non avrebbe tenuto conto, in primo luogo, della stessa struttura organizzativa prevista dallo statuto dell’Associazione in cui era espressamente prevista la figura del “direttore generale” con la specifica indicazione dei compiti a lui affidati, tra i quali vi era quello dì curare e promuovere le deliberazioni del consiglio di amministrazione e di essere a capo della intera organizzazione del festival che a lui faceva riferimento e da lui prendeva ordini e disposizioni. La Corte di appello, inoltre, non aveva adeguatamente valutato le concordi deposizioni dei testi escussi i quali avevano dichiarato: che l’attività di direttore generale impegnava lo Z. tutto l’anno, in particolare nei mesi da gennaio ad agosto, tutti i giorni della settimana; che egli aveva un ufficio nell’associazione; che non aveva poteri decisionali né di spesa ed era tenuto ad eseguire le decisioni del consiglio di amministrazione. Viene evidenziato, quindi, che ricorrevano, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del merito, le caratteristiche proprie del rapporto di lavoro subordinato quali lo stabile inserimento nella organizzazione aziendale e l’assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del consiglio di amministrazione, ovviamente da valutare in relazione alla peculiartetà del lavoro svolto dal ricorrente.
Si formula quesito di diritto.
Il motivo è inammissibile oltre che infondato.
Osserva il Collegio che, nonostante sia stata denunciata la violazione di norme di diritto, in realtà le relative censure attengono a lamentati vizi di motivazione della sentenza. Questa viene in sostanza valutata come carente in quanto non avrebbe desunto, dal testimoniale acquisito alla causa, gli elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato.
Ciò detto vale ricordare che il controllo di legittimità sulla motivazione delle sentenze riguarda unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) il profilo della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte, in base all’Individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo intero tessuto ricostruttivo della vicenda (v. ex multis, S.U. 5802/1998; Cass. 4770/2006 e Cass. 1754/2007). Né appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito, il fatto che alcuni elementi emergenti nel processo, ed invocati dal ricorrente, siano in contrasto con le valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale. Il controllo, in sede di legittimità, sul giudizio di fatto del giudice di merito non può, infatti, spingersi fino alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, in una sorta di terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei due gradi precedenti, perché ritenuta la migliore possibile, dovendosi viceversa muovere esclusivamente nei limiti segnati dall’art, 360 epe, n. 5 (ex multis, Cass. 6064/2008, Cass. 9477/2009).
Occorre, pertanto, che gli specifici dati della controversia, dedotti per invalidare la motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante o determini, al suo interno, radicali incompatibilità sì da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (v., tra le varie, Cass. 24744/2006, Cass. 17076/2007). Peraltro, vale ricordare che, per giurisprudenza costante di questa Corte, l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma ella retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva. E’ stato precisato, altresì, che in sede di legittimità è censurabile soltanto l’assunzione e l’individuazione da parte del giudice di merito del suddetto parametro, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelano l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e sono idonei a ricondurre la prestazione al suo modello, costituisce apprezzamento di fatto, che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile (cfr Cass. n. 18469/2012; Cass. n.4171/2006; Cass. n. 15275/04, n. 3277/2004).
Nel caso in esame la Corte di appello, in modo sintetico ma esaustivo, correttamente ha evidenziato la mancata prova da parte dello Z. della esistenza di un suo assoggettamento al potere gerarchico e potenzialmente disciplinare del consiglio di amministrazione dopo aver richiamato le deposizioni rese dai testi S., D. e S. dalle quali era emersa l’ampia autonomia di cui godeva il ricorrente che aveva piena libertà organizzativa nella fase di esecuzione delle decisioni generali del consiglio di amministrazione che si limitava a scelte di indirizzo. Inoltre, nella decisione impugnata veniva sottolineato come nessuno dei testi escussi avesse potuto riferire che il consiglio di amministrazione esercitasse un potere dì controllo e disciplinare sullo Z.. L’impugnata sentenza, risulta, quindi, aver fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati ed è immune dai vizi denunciati.
Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in euro 50,00 per esborsi ed in euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
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