CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 ottobre 2013, n. 42476
Tributi – Reati tributari – Omesso versamento delle ritenute fiscali – Confisca sui conti aziendali – Non sussiste
Ritenuto in fatto
1 – Con ordinanza 24.4.2013 il Tribunale del Riesame di Genova ha respinto l’appello proposto da S. F., quale legale rappresentante della B. srl (già B. spa), contro l’ordinanza 29.3.2013 con cui il medesimo ufficio, in composizione monocratica, aveva rigettato l’istanza di dissequestro delle somme depositate su conti correnti bancari intestati alla predetta società nonché dei beni nella disponibilità e/o intestati alla stessa, nell’ambito di un procedimento penale per il reato di omesso versamento di ritenute certificate (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis) nei confronti di M.P., già legale rappresentante della società.
Per giungere a tale conclusione il Tribunale del Riesame ha osservato che nel caso di specie non era stato prospettato alcun nuovo elemento di fatto che potesse portare a rivedere la precedente decisione – adottata con l’ordinanza 11.4.2012 – su cui si era formato il giudicato cautelare per effetto della pronuncia di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso quella pronuncia. Secondo i giudici di merito, infatti, non poteva certamente considerarsi nuovo elemento di fatto il mutamento del legale rappresentante della società, posto che la questione di diritto sollevata dall’appellante concerne la possibilità di aggredire con il sequestro per equivalente i beni della società che ha tratto vantaggio dal reato tributario commesso dal legale rappresentante, questione in relazione alla quale appare del tutto irrilevante l’intervenuto mutamento della persona fisica alla quale è attribuita tale qualità; hanno altresì osservato che tale mutamento non rileva neppure per quanto attiene all’ulteriore questione della disponibilità delle somme versate sui conti correnti sequestrati, essendo pacifico che l’indagato all’epoca dei fatti avesse tale disponibilità e un mutamento nel soggetto che agli stessi può accedere oggi rileverebbe soltanto se si concludesse che il sequestro non può avere ad oggetto i beni societari, questione preclusa dal giudicato cautelare.
Per l’annullamento dell’ordinanza, il difensore del S. ricorre in Cassazione deducendo tre motivi.
Considerato in diritto
1. Col primo motivo si denunzia violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cpp In relazione all’art. 322-bis cpp per erronea applicazione della legge penale, rimproverandosi al Tribunale di avere errato nel ritenere che con l’appello non era stato prospettato alcun nuovo elemento di fatto tale da consentire una revisione della precedente decisione resa l’11.4.2012 in merito all’ordinanza di sequestro preventivo del GIP in data 5.9.2011. Afferma in proposito il ricorrente che sono intervenuti due elementi di novità rispetto alla precedente ordinanza; il primo è rappresentato dal rinvio a giudizio del P., legale rappresentante all’epoca della emissione dell’ordinanza di sequestro preventivo e della precedente pronuncia del riesame, sicché deve ritenersi che il processo sia entrato in una fase nuova e diversa da quella esistente all’epoca di presentazione del precedente atto di appello; l’altro elemento – prosegue il ricorrente – è rappresentato dall’intervenuto mutamento del legale rappresentante: conseguentemente, il Tribunale di Genova non era vincolato dalla precedente decisione, ben potendo rivalutare la questione in piena autonomia. Si contesta poi la ritenuta irrilevanza del mutamento del legale rappresentante della società ai fini della sussistenza o meno del giudicato cautelare, osservandosi al contrario che tale mutamento rileva proprio ai fini dell’applicabilità dell’art. 322 ter cp perché il venir meno della disponibilità dei beni sequestrati in capo all’imputato costituisce certamente un elemento idoneo a determinare un nuovo procedimento logico argomentativo alla luce del quale il Tribunale avrebbe potuto determinarsi in modo diverso rispetto alla propria precedente decisione.
Col secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) in relazione agli artt. 322 ter cp e 1 comma 143 legge n. 244 del 2007 con riferimento alla parte dell’ordinanza in cui il Tribunale genovese ha ritenuto la legittimità del sequestro preventivo ai fini della confisca per equivalente su beni appartenenti alla persona giuridica nelle Ipotesi di reato previste dal D. Lvo n. 74/2000 e contestate all’amministratore pro tempore.
Col terzo motivo il ricorrente denunzia, infine, la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cpp in relazione agli artt. 322 ter cp per erronea applicazione della legge penale nella parte dell’impugnato provvedimento in cui il Tribunale ha ritenuto del tutto irrilevante il mutamento della persona fisica alla quale è attribuita la qualità di legale rappresentante della società. Rileva in proposito che l’imputato P. non è più il legale rappresentante della società e quindi non ha più la disponibilità dei beni societari, per cui non può affermarsi che un eventuale dissequestro potrebbe protrarre e/o aggravare le conseguenze del reato.
Il primo motivo è fondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di cosiddetto giudicato cautelare, la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame può essere superata quando si prospettino nuovi elementi di valutazione e di inquadramento dei fatti, acquisiti da ulteriori sviluppi delle indagini pur se riguardanti circostanze precedenti alla decisione preclusiva (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 5959 del 14/12/2011 Cc. dep. 15/02/2012 Rv. 252151). In particolare, è stato affermato che in tema di sequestro preventivo, costituisce fatto nuovo, idoneo a superare la preclusione endoprocessuale del giudicato cautelare formatosi sulla configurabilità astratta del reato, il rinvio a giudizio con il quale sia stata precisata, ai sensi dell’art. 429 lett. c) cod. proc. pen., l’imputazione (cfr. cass. Sez. 6, Sentenza n. 10662 del 04/02/2009 Ce. dep. 10/03/2009 Rv, 243472).
Nel caso di specie, è stato richiamato sia il rinvio a giudizio del P. sia il mutamento del legale rappresentante della società: trattasi certamente di nuovi elementi di valutazione e di inquadramento dei fatti, soprattutto in considerazione della dedotta sopravvenuta indisponibilità delle somme da parte dell’imputato. L’articolo 322 ter cp infatti, in caso di impossibilità di confiscare i beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, consente la confisca dei beni di cui il reo ha la disponibilità.
In considerazione di tali elementi di fatto, certamente nuovi, il Tribunale avrebbe dovuto riesaminare la questione della assoggettabilità a sequestro preventivo dei beni della società, mentre invece, discostandosi dal principio di diritto sopra esposto, l’ha ritenuta inidonea a superare la preclusione derivante dal giudicato cautelare.
Anche gli altri motivi sono fondati.
Ed infatti, una volta esclusa l’operatività del giudicato cautelare sulla questione della sequestrabilità dei beni societari, appare assolutamente rilevante la questione della disponibilità delle somme versate sul conti correnti sequestrati.
L’art. 1 comma 143 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) stabilisce che nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale: tra cui quella sulla confisca obbligatoria dei beni che costituiscono il profitto del reato, che nel caso di reati fiscali, deve intendersi non solo un positivo incremento del patrimonio personale, bensì qualunque vantaggio patrimoniale direttamente derivante dal reato, anche se consistente in un risparmio di spesa (cfr. cass. Sez. 5, Sentenza n. 1843 del 10/11/2011 Cc. dep. 17/01/2012 Rv. 253480; cass. sez. 6, 27 settembre 2007, n. 37556).
Tuttavia, sempre per giurisprudenza costante, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, previsto dall’art. 19, comma secondo, del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, non può essere disposto sui beni immobili appartenenti alla persona giuridica ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato D.Lgs. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento, con esclusione dell’ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti (cfr, tra le varie cass. Sez. 3, Sentenza n. 25774 del 14/06/2012 Cc. dep. 04/07/2012 Rv. 253062; cass. Sez. 3 Sentenza n. 1256 del 19/09/2012 Ce. dep. 10/01/2013, non massimata).
Nel caso di specie non risulta da nessun atto del processo che la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti.
Risulta invece l’indisponibilità dei beni societari da parte dell’imputato (il P.) che non riveste più la carica di legale rappresentante.
L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al L’ordinanza i per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Genova.
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