CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 ottobre 2013, n. 23533
CORTE DI CASSAZIONE – Sez. lav. – Sentenza 16 ottobre 2013, n. 23533
Lavoro – Trasferimento d’azienda – Licenziamento – Solidarietà dell’impresa ceduta e cessionaria – Versamento dell’indennità da recesso illegittimo
Svolgimento del processo
Con sentenza del 27/5 – 1/9/2010 la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il giudice del lavoro del Tribunale di Milano, accogliendo la domanda di M.C. nei confronti delle società E. s.p.a e G.S. s.p.a. aveva accertato l’illegittimità del licenziamento irrogato al lavoratore il 26/4/06 e condannato entrambe le convenute a corrispondergli in solido l’indennità supplementare, mentre l’ha parzialmente riformata nella parte in cui era stata ritenuta fondata la domanda di condanna delle stesse ad includere nel calcolo degli istituti i contributi versati al fondo di previdenza integrativa ed ha dichiarato non dovuti tali contributi.
La Corte ha spiegato la sua decisione nei seguenti termini: – Il licenziamento era stato intimato per una redifinizione delle posizioni dirigenziali a causa della soppressione del ruolo di “Responsabile delle attività Supporto & Planning”, ruolo, questo, non ricoperto più dal C. già da due mesi prima della risoluzione del rapporto, avendo egli ricevuto il nuovo incarico di “Account Manager” nella diversa area organizzativa “Design, Build & Deplof della stessa società, come provato dalla copiosa documentazione in atti, per cui la mancata menzione nella lettera di licenziamento di quest’ultimo tipo di attività lavorativa faceva ritenere che l’ufficio del personale non ne fosse venuto a conoscenza e non avesse valutato l’esito del “repechage” cui la parte datoriale era tenuta, con l’ulteriore conseguenza che non potevano essere svolte indagini circa l’asserito esito negativo della nuova assegnazione, esito che era stato indicato, tra l’altro, solo all’atto della costituzione in giudizio ad integrazione del licenziamento. La sentenza era, altresì, da confermare nella parte in cui aveva accertato il diritto del lavoratore di vedersi riconosciuta l’incidenza dei compensi variabili percepiti in via continuativa dal 1988 sull’indennità supplementare e su quella sostitutiva del preavviso, nonché sul T.F.R. per il calcolo del quale la legge, in difetto di deroga del ccnl, escludeva solo i compensi occasionali. Inoltre, la parte datoriale non aveva interposto appello sul capo della sentenza che aveva riconosciuto il risarcimento del danno subito per la decurtazione della retribuzione variabile. Non spettava, invece, il diritto all’inclusione dei contributi versati al fondo di previdenza integrativa nel calcolo degli istituti non potendo considerarsi tali contributi come componenti della retribuzione.
Per la cassazione della sentenza propone la società E. s.p.a che affida l’impugnazione a tre motivi di censura.
Resiste con controricorso M.C..
Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Rimane solo intimata la società G.S. s.p.a.
Motivi della decisione
Osserva la Corte che l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per tardività della sua notifica, così come sollevata dalla difesa del contro ricorrente è infondata. Invero, dagli atti risulta che il ricorso fu consegnato all’ufficiale giudiziario per la sua notifica in data 1/9/2011, vale a dire esattamente l’ultimo giorno utile+ del termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c. decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza, non notificata, dell’1/9/2010. Si è, infatti, statuito (Cass. Sez. lav. n. 359 del 13/1/2010) che “la notifica di un atto processuale, almeno quando debba compiersi entro un determinato termine, si intende perfezionata, dal lato dell’istante, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario, posto che, come affermato dalle sentenze della Corte costituzionale n. 69 del 1994 e n. 477 del 2002, il notificante deve rispondere soltanto del compimento delle formalità che non esulano dalla sua sfera di controllo, secondo il “principio della scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio”.
1. Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 2112 e 2560 cod. civ., nonché l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, contestando sia la parte della motivazione in cui è stata ritenuta sussistente la solidarietà fra cedente e cessionario per i crediti dei lavoratori il cui rapporto si è estinto prima della cessione, sia quella in cui è stata ritenuta inapplicabile la disposizione di cui all’art. 2560 c.c. sulla subordinazione della tutela del credito all’iscrizione nei libri contabili obbligatori. Sostiene la ricorrente che la solidarietà tra cedente e cessionario è ravvisabile solo laddove il rapporto lavorativo non sia cessato prima del trasferimento, mentre nella fattispecie al momento della cessione d’azienda non sussisteva un credito del C. nei confronti della G.S.I. s.p.a., atteso che quest’ultima gli aveva inviato nel maggio del 2006 la busta paga contenente l’ultima retribuzione, oltre che l’indennità sostitutiva del preavviso ed il T.F.R., per cui non poteva essere addossata all’imprenditore cessionario una responsabilità anche per crediti del lavoratore che non era dipendente di quest’ultimo a causa dell’intervenuta risoluzione del rapporto. A tal riguardo, viene richiamata la sentenza n. 19 del 7 febbraio 1985 della Corte di Giustizia europea per la quale il trasferimento di diritti ed obblighi derivanti da contratto o rapporto di lavoro dal cedente al cessionario dell’azienda è subordinato, a norma della direttiva CEE del consiglio n. 77/187, all’esistenza del rapporto di lavoro alla data del trasferimento dell’azienda. Aggiunge la ricorrente che ai fini dell’applicabilità dell’art. 2560 c.c. il credito deve risultare formalmente dai libri contabili, non essendo sufficiente una mera conoscenza del debito per determinarne l’assunzione e non potendo rilevare il fatto che il licenziamento era stato impugnato prima del trasferimento d’azienda con attivazione della procedura di conciliazione in data 29/5/2006.
Il motivo è infondato.
Invero, come correttamente evidenziato nell’impugnata sentenza, il fatto che il rapporto si fosse estinto prima della cessione d’azienda non costituiva un impedimento all’applicazione della regola generale di cui all’art. 2112 cod. civ., dal momento che la precarietà della situazione inerente la risoluzione del rapporto, risalente al 26/4/2006, dovuta proprio all’impugnativa esercitata dal lavoratore prima del trasferimento d’azienda costituiva un dato documentale noto anche alla cessionaria, la quale, una volta avvenuta la cessione in data 22/6/2006, non poteva non essere a conoscenza del credito vantato dal dipendente licenziato, tanto più che in data 19/2/2007 era intervenuto tra le due imprese in questione un accordo integrativo del contratto di compravendita dell’azienda che già prevedeva la cessione delle passività alla società Eu. s.p.a. (oggi E. s.p.a.), circostanza, quest’ultima, rispetto alla quale la Corte d’appello ha osservato che nulla era stato dedotto col gravame.
Tra l’altro, si è avuto occasione di statuire (Cass. Sez. lav. n. 15678 dell’11/7/2006) che “alla stregua dell’art.1334 c.c. – secondo cui gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati – la dichiarazione di volontà, espressa con l’atto unilaterale di recesso, si perfeziona con la sola emissione e a tale momento occorre risalire per valutare la capacità e volontà del dichiarante. Conseguentemente, il cessionario dell’azienda subentra in tutti i rapporti dell’azienda ceduta nello stato in cui si trovano, ivi compreso il rapporto caratterizzato da un licenziamento intimato dal cedente, con onere, per il lavoratore, di impugnare il recesso nei sessanta giorni per evitare di incorrere nella decadenza di cui all’art. 6 della legge n.604 del 1966.” E’, pertanto, condivisibile il ragionamento seguito dalla Corte d’appello la quale ha esattamente posto in rilievo che la solidarietà prevista dall’art. 2112 cod. civ. rappresenta una tutela rafforzata del credito del lavoratore dell’impresa ceduta la cui esigibilità non può essere subordinata alla condizione che risulti dai libri contabili obbligatori.
A tal riguardo questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. Sez. lav. n. 8641 del 12/4/2010) che “in tema di trasferimento d’azienda, l’effetto estintivo del licenziamento illegittimo intimato in epoca anteriore al trasferimento medesimo, in quanto meramente precario e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., in capo al cessionario, dovendosi escludere che osti a tale soluzione l’applicazione della direttiva 77/187/CE, la quale prevede – secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia CE (cfr. sentenze 12 marzo 1998, C-319/94, 11 luglio 1985, C-105/84, e 7 febbraio 1985, C-19/83) – che i lavoratori licenziati in contrasto con la direttiva debbono essere considerati dipendenti alla data del trasferimento, senza pregiudizio per la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha ritenuto che, a seguito dell’annullamento del licenziamento, sussisteva la legittimazione passiva anche del cessionario per le richieste del lavoratore relative al ripristino del rapporto di lavoro, escludendo la necessità di una pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia).” (in senso conf. v. anche Cass. Sez. 6 – L. Ordinanza n. 5507 dell’8/3/2011)
2. Col secondo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione degli artt 2 e 3 della legge n. 604/66, degli artt. 19 e 22 del CCNL dei Dirigenti delle aziende industriali e dell’art. 41 della Costituzione, nonché per insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, la ricorrente contesta la dichiarazione giudiziale dì illegittimità del licenziamento in esame facendo presente che erroneamente era stato escluso che tale provvedimento fosse giustificato da una situazione di crisi aziendale, nonostante si fosse dato atto del fatto che la società aveva subito una riorganizzazione. Pertanto, si contesta la mancata ammissione della prova tesa a dimostrare che l’ultima collocazione del C. era stata solo il frutto di un tentativo di repechage, per cui era da considerare corretto il successivo atto di licenziamento in quanto, comunque, collegato alla soppressione di un ruolo istituzionale ricoperto per lungo tempo. Il motivo è infondato.
Invero, con adeguata motivazione immune da rilievi di carattere logico-giuridico, la Corte territoriale ha spiegato che nella motivazione dell’atto di licenziamento non era contenuto alcun riferimento alla crisi delta società, mentre si faceva menzione della circostanza di una nuova definizione delle posizioni dirigenziali e della semplificazione dell’assetto organizzativo di alcune aree, adducendosi in tale contesto la soppressione del ruolo di responsabile delle attività Supporto & Plannings che, però, non era più ricoperto pacificamente da due mesi circa dal C., per cui finiva per essere irrilevante il tentativo di dimostrare che attraverso l’assegnazione al medesimo di altro incarico si era cercato di evitare il licenziamento, posto che l’unica motivazione da sottoporre a controllo ai fini della sua effettività non poteva essere che quella ormai consacrata nel provvedimento di risoluzione. Inoltre, la circostanza della mancata indicazione nella lettera di licenziamento dell’ultimo ruolo realmente ricoperto dal C. ha indotto la stessa Corte a trarre la logica deduzione che l’ufficio del personale non aveva valutato tale nuova situazione all’esito del tentativo di repechage, per cui non potevano essere svolte indagini istruttorie circa il preteso esito negativo dello stesso, tanto più che la circostanza della nuova assegnazione era stata indicata solo con la costituzione in giudizio ad integrazione dei motivi del licenziamento. Né la ricorrente spiega in qual modo si sarebbe concretizzata la lamentata violazione delle norme di cui agli artt. 19 e 22 del contratto collettivo richiamato nella premessa del motivo, il tutto a conferma del fatto che, in realtà, attraverso la presente censura si tenta di operare una inammissibile rivisitazione del merito istruttorio adeguatamente valutato dalla Corte d’appello, la cui decisione poggia sull’accertamento, correttamente svolto, dell’illegittimità del licenziamento, in quanto era emerso che lo stesso non era riconducibile alla causale per la quale era stato intimato, per cui si rivelano prive di pregio le doglianze di cui sopra che non scalfiscono la validità della suddetta “ratio decidendi”.
3. Col terzo motivo, proposto per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio e per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. la ricorrente contesta la condanna in solido al pagamento del danno subito dal C. per la decurtazione della retribuzione variabile assumendo che la Corte di merito si sarebbe limitata a ritenere sufficienti le dichiarazioni del medesimo lavoratore rimaste prive di riscontro probatorio li motivo è infondato in quanto la decisione di rigetto della Corte d’appello riposa sulla constatazione dell’avvenuto passaggio in giudicato del capo della sentenza di primo grado che aveva accertato l’illegittimità della decurtazione in esame senza che una tale motivazione dei giudici di seconde cure sia stata incisa dalla presente censura.
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente, mentre nessuna statuizione al riguardo va adottata nei confronti della società G.S. s.p.a. in liquidazione che è rimasta solo intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio in favore di C.M. nella misura di € 4000,00 per compensi professionali e di € 50,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Nulla per le spese del presente giudizio nei confronti della G.S. s.p.a in liquidazione.
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