CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 ottobre 2013, n. 23784
Lavoro – Licenziamento – Dipendente che auto-attesta ore di straordinario mai effettuate – Legittimità – Sussiste.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 25/3 – 2/4/2009 la Corte d’appello di Torino ha respinto sia l’impugnazione principale proposta da B.L. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo piemontese che le aveva rigettato il ricorso teso alla dichiarazione di nullità del licenziamento intimatole il 14/6/2005 dalla ASL (..) e della sanzione della sospensione dal lavoro per dieci giorni inflitta con provvedimento del 14/16 – 2 – 2005, sia l’impugnazione incidentale formulata dalla predetta azienda sanitaria per l’accertamento della decadenza della lavoratrice dall’impugnativa del licenziamento per la tardività della sua proposizione.
La Corte ha spiegato che l’impugnativa del licenziamento del 29/4/05 era tempestiva, dal momento che con quello successivo del 27/7/05 l’azienda si era limitata a recepire il contenuto del primo provvedimento espulsivo, così come non poteva considerarsi tardiva la contestazione disciplinare rispetto all’accertamento dei fatti; inoltre, questi non erano gli stessi che avevano formato oggetto del separato procedimento penale, per cui era infondata la censura della lavoratrice che aveva fatto leva sulla asserita violazione della norma di cui all’art. 14 del contratto collettivo di comparto che contemplava la sospensione del procedimento disciplinare nel caso di commissione in servizio di gravi fatti illeciti di rilevanza penale. Invero, secondo la Corte, dalla lettera allegata all’esposto inoltrato all’autorità giudiziaria si evinceva che la B. aveva artificiosamente rappresentato lo svolgimento, da parte sua, di ore di lavoro straordinario mai effettuato, mentre dalla contestazione disciplinare si ricavava che la medesima aveva attestato con timbrature in uscita dal lavoro e, talvolta, in entrata, lo svolgimento di straordinario in sedi diverse da quella ove svolgeva la propria attività lavorativa senza essere stata autorizzata a farlo.
Infine, la massima sanzione irrogata poteva ritenersi adeguata in considerazione della natura dolosa della condotta reiteratamente realizzata in spregio alle regole aziendali e in modo tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la B. la quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.
Resiste con controricorso l’Azienda sanitaria locale Torino (..) del Servizio sanitarie nazionale della Regione Piemonte che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione dei procedimenti ai sensi dell’art. 335 c.p.c. Col primo motivo la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del contratto collettivo di settore, nonché un vizio logico della motivazione della sentenza impugnata, sulla base del presupposto che il fatto contestatole nel procedimento penale ed in quello disciplinare era lo stesso, per cui avrebbe errato la Corte di merito a non considerare che alla stregua della citata norma collettiva la datrice di lavoro avrebbe dovuto sospendere obbligatoriamente l’iniziativa disciplinare in attesa dell’esito dell’indagine penale; inoltre, erroneamente la Corte d’appello avrebbe confuso l’accertamento del fatto oggetto dell’addebito disciplinare, rappresentato dall’accusa di aver timbrato per trentadue volte il cartellino degli orari di lavoro in luoghi differenti da quello di svolgimento dell’attività principale, con le sue conseguenze, vale a dire l’autonoma rilevanza disciplinare di tale condotta rispetto all’artificiosa rappresentazione di lavoro straordinario mai effettuato, avente, invece, rilievo in sede penale.
Il motivo è infondato.
Infatti, la Corte d’appello, dopo aver esposto il contenuto dell’art. 14 del summenzionato contratto collettivo con riferimento all’ipotesi della sospensione del procedimento disciplinare in concomitanza di quello penale, ha spiegato, con argomentazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, che era da escludere che nella fattispecie i fatti oggetto del procedimento penale, avviato con I esposto del 2/5/2005 del Direttore generale della ASL (…), fossero gli stessi di quelli oggetto del procedimento disciplinare iniziato con la contestazione del 29/4/2005: – Invero, nel primo caso si era ipotizzato che attraverso le trentadue timbrature non autorizzate la B. avesse artificiosamente rappresentato lo svolgimento di lavoro straordinario mai effettuato, mentre nel secondo le era stato contestato di aver apposto le suddette timbrature nell’arco di nove mesi in sedi diverse da quella ove svolgeva la propria attività lavorativa senza essere stata autorizzata a farlo da parte dei suoi superiori. E’, pertanto, destituito di fondamento anche il rilievo per il quale nella sentenza impugnata sarebbe stata fatta confusione tra l’accertamento del fatto e le sue conseguenze giuridiche nel senso che ai fini della sospensione del procedimento disciplinare sarebbe stata richiesta l’identità delle conseguenze penali e disciplinari del fatto oggetto di addebito: invero, la Corte di merito ha correttamente incentrato sin dall’inizio la propria decisione sulla rilevata diversità dei fatti oggetto dei due procedimenti, cioè quello disciplinare e quello penale, per pervenire alla conclusione logica che tale diversità non consentiva di far ritenere applicabile nella fattispecie la sospensione contemplata dall’art. 14 del citato contratto collettivo che, al contrario, presupponeva che si fosse in presenza dello stesso fatto.
Col secondo motivo la ricorrente principale contesta la valutazione operata dalla Corte d’appello in merito alla ritenuta adeguatezza della sanzione inflittale rispetto all’entità del fatto addebitatole, in quanto sostiene che la reiterazione della condotta oggetto di indagine per oltre un anno senza che in tutto quel lasso di tempo le fosse stata mossa una contestazione e l’assenza di un danno patrimoniale per la datrice di lavoro in relazione ad una mera violazione di disposizioni interne comunicate verbalmente dal superiore gerarchico non potevano integrare gli estremi della giusta causa di licenziamento ai sensi dell’art. 2119 cod. civ.
Il motivo è infondato.
Invero, con accertamento di fatto congruamente svolto e con adeguata motivazione immune da rilievi di carattere logico-giuridico, la Corte d’appello ha posto in evidenza che la massima sanzione era adeguata al fatto contestato in considerazione della natura dolosa della condotta reiteratamente realizzata dalla B. ad onta della negata autorizzazione del superiore a svolgere la propria attività lavorativa fuori sede, la qual cosa denotava la pervicacia della medesima nel disattendere le regole datoriali ispirate ad un regolare funzionamento dei servizi ed alla possibilità di effettuare controlli in relazione ad esso, per cu non poteva esservi dubbio sul fatto che in tal modo veniva ad essere oggettivamente leso il necessario vincolo fiduciario.
Pertanto, il ricorso principale va rigettato.
Quanto al ricorso incidentale si rileva che lo stesso è stato proposto in via condizionata, per cui la sua disamina rimane assorbita dal rigetto del ricorso principale.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente principale e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna la ricorrente principale alle spese del presente giudizio nella misura di € 3500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
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