CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 ottobre 2013, n. 42154
Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte – Confisca – Legittimità
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 7 maggio 2012 il gip del Tribunale di Pesaro su richiesta delle parti ha applicato a R.A., A.L., R. S. e R. L., per il reato di cui agli articoli 81 cpv. c.p. e 11, comma 1, d.lgs. 74/2000 per i primi tre imputati (capo a, articolato in tre fattispecie sub a-1, a-2 e a-3) e per ulteriore reato di cui agli articoli 81 cpv. c.p. e 11, comma 1, d.lgs. 74/2000 per tutti gli imputati (capo b), la pena di mesi sei di reclusione ciascuno – con conversione per R. L. in euro 6840 di multa, disponendo la sospensione condizionale per A. L. e R. S., per quest’ultimo peraltro subordinandola, ex articolo 165, comma 2, c.p. a sei mesi di lavoro sostitutivo per due ore al giorno a favore del Comune di Mondavio, da adempiere entro il 31 gennaio 2013.
2. Ha presentato ricorso il difensore degli imputati R. S. e R.A., adducendo due motivi. Il primo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale perché il gip avrebbe dovuto prosciogliere perché i fatti non costituiscono reato, per la mancanza del credito d’imposta, poiché gli atti di accertamento sarebbero stati notificati due anni dopo il compimento delle condotte addebitate; inoltre tali condotte non avrebbero reso inefficace la riscossione coattiva, riguardando immobili già ipotecati per importi superiori al loro valore. Il secondo motivo denuncia ancora erronea applicazione della legge penale per l’apposizione del termine del 31 gennaio 2013 per la prestazione di attività non retribuita imposta a S. R.: dall’ultimo comma dell’articolo 165 c.p. si evince che detto termine non può mai essere stabilito a data fissa, decorrendo dalla irrevocabilità della sentenza e non essendo possibile una esecuzione penale ante iudicatum.
Ha presentato ricorso il Procuratore Generale presso la Corte d’appello dì Ancona, per erronea applicazione degli articoli 11 d.lgs. 74/2000, 1, comma 143, I. 244/2007 e 322 ter c.p., non essendo stata disposta – quantomeno per il reato perfezionatosi il 17 settembre 2010, nell’imputazione indicato sub a-3 – la confisca dei beni costituenti profitto del reato ex articolo 322 ter c.p. come impone per i reati fiscali di cui al d.lgs. 74/2000 l’articolo 1, comma 143, I. 244/2007.
È stata depositata ex articolo 611 c.p.p. in relazione al ricorso del Procuratore Generale memoria da parte del difensore di R.A., R. L. e R. S., che afferma che, se questo fosse accolto, l’annullamento coinvolgerebbe l’intera sentenza essendo questa esito dell’accordo delle parti ex articolo 444 c.p.p.
Considerato in diritto
3. Il ricorso del difensore degli imputati risulta parzialmente fondato.
Esso presenta un primo motivo che lamenta, in sostanza, la mancata applicazione dell’articolo 129 c.p.p. da parte del gip del Tribunale di Pesaro, adducendo elementi fattuali che avrebbero dimostrato che i fatti non costituiscono reato.
L’applicazione della pena su richiesta delle parti è invero un negozio processuale che le parti non possono unilateralmente sciogliere esercitando uno jus poenitendi una volta che si è perfezionato (sulla mancanza di una facoltà di recesso Cass. sez. II 10 gennaio 2006 n. 3622); la natura peculiare della sentenza, il cui contenuto è in massima parte eterodiretto dall’accordo che recepisce, si riflette logicamente su una deminutio dell’obbligo motivazionale (cfr. p. es. Cass. sez. IV, 16 luglio 2006 n. 34494), che si riduce al sintetico rendiconto degli elementi verificati, con particolare riguardo alle ipotesi di non punibilità ex articolo 129 c.p.p. delle quali è sufficiente il richiamo (ex multis Cass. sez. II, 17 novembre 2011-17 febbraio 2012 n. 6455), che nel caso di specie il giudice ha inserito nella motivazione. La sentenza di applicazione della pena su richiesta può pertanto essere oggetto di controllo di legittimità per vizio motivazionale soltanto se dal suo testo appare evidente la sussistenza delle cause di non punibilità di cui all’articolo 129 c.p.p. (Cass.sez.IV, 13 agosto 2011 n. 30867), il che non si verifica nella fattispecie in esame. Il motivo risulta dunque manifestamente infondato.
Il secondo motivo si basa sull’articolo 165 c.p., che all’ultimo comma impone al giudice di stabilire nella sentenza “il termine entro il quale gli obblighi devono essere adempiuti”, in riferimento a quegli obblighi del condannato cui può essere subordinata, ai sensi del primo comma, la sospensione condizionale. Tale norma deve essere coordinata con il principio generale della non esecutività dei capi penali della sentenza ante iudicatum così da far decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza il termine (Cass. sez. III, 30 novembre 2006-2 aprile 2007 n. 13456). D’altronde prevenire il passaggio in giudicato significa ledere il diritto di difesa sotto il profilo impugnatone (Cass. sez, IV, 22 marzo 2007 n. 28065: “La subordinazione della sospensione condizionate della pena all’espletamento di un’attività non retribuita a favore della collettività con fissazione del termine di espletamento non decorrente dalla data della sentenza irrevocabile, ma dal momento antecedente (nella specie, a distanza di pochi mesi dalla decisione), è illegittima, in quanto vanifica di fatto il diritto a proporre utile impugnazione”), per cui solo nel caso in cui l’anticipazione, sotto forma di immediata esecutività, è disposta espressamente dal legislatore a seguito di un controbilanci a mento di interessi opposti quali il diritto di difesa da un lato e la tutela tendenzialmente immediata della vittima dall’altro, è configurabile un termine di decorrenza anteriore alla formazione del giudicato (così per la provvisionale condivisibilmente ritiene Cass. sez. IlI, 19 novembre 2008-8 gennaio 2009 n. 126, peraltro nell’ambito di una giurisprudenza non del tutto uniforme, contrastandola da ultimo Cass. sez. VI, 16 ottobre 2012 n. 42179; e per l’impossibilità di subordinare la sospensione condizionale a un obbligo immediatamente esecutivo per legge, quale ancora la provvisionale,v. Cass. sez. VI, 31 gennaio 2012 n. 5914). Nell’ipotesi in esame, dunque, il gip del Tribunale di Pesaro è incorso effettivamente in una violazione dell’articolo 165, ultimo comma, c.p., laddove per i lavori sostitutivi ha stabilito che dovevano essere adempiuti entro il 31 gennaio 2013, prescindendo quindi dalla data di passeggio in giudicato. Tale termine deve pertanto essere eliso, previo annullamento della sentenza senza rinvio limitatamente alla sua apposizione.
4. Il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Ancona è manifestamente fondato. Premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti non incide sulla confisca in alcun modo, avendo la confisca, anche per equivalente, natura eminentemente sanzionatoria (da ultimo S.U. 31 gennaio 2013 n. 18374) per cui si colloca completamente al di fuori della disponibilità delle parti (Cass, sez. ll, 19 aprile 2012 n. 19945; Cass. sez. II, 4 febbraio 2011 n. 20046), il dettato dell’articolo 322 ter c.p. – reso applicabile ai reati di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11 d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 dall’articolo 1, comma 143,l. 24 dicembre 2007 n. 244 – impone la confisca senza lasciare spazio a discrezionalità del giudice. Nel caso di specie, il gip del Tribunale di Pesaro non l’ha invece disposta, ciò comportando la violazione di legge prospettata dal ricorso a cui consegue l’annullamento della sentenza con rinvio al Tribunale di Pesaro limitatamente all’omessa confisca.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente all’apposizione del termine di adempimento del lavoro sostitutivo e con rinvio al Tribunale di Pesaro limitatamente all’omessa confisca. Elide l’apposto termine di adempimento del lavoro sostitutivo e dichiara inammissibile nel resto il ricorso degli imputati.
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