La recente pronuncia della Corte di Cassazione, sezione tributaria, (sentenza n. 23554/2012) che, in modo esplicito, ha affermato la natura di presunzione semplice del redditometro, potrebbe, nella maggior parte dei casi, alleviare gli oneri dei contribuenti nel fornire elementi idonei a dimostrare che si sono prodotti redditi inferiori rispetto a quanto contestato.
Infatti, in tutte le ipotesi in cui questo maggior reddito deriva dall’applicazione degli indici statistici dovrebbe conseguire, pena la censura in sede giudiziaria, che l’Ufficio anche dopo il contraddittorio, fornisca altri riscontri idonei a integrare il risultato dell’elaborazione statistica.
Va detto, per completezza, che sinora, la maggior parte della giurisprudenza di merito, e anche altre pronunce della Cassazione, hanno ritenuto spesso indiscutibile il risultato derivante dall’applicazione dei coefficienti redditometrici addossando interamente sul contribuente l’onere di provare il contrario. Circostanza, questa, particolarmente ardua, per non dire impossibile, proprio perché gli indici erano obiettivamente poco precisi (avere una casa in un piccolo paese di montagna in provincia di Sondrio o al centro di Milano era la stessa cosa): non potendoli sindacare, la difesa era pressoché menomata.
Per il futuro, anche in considerazione della pronuncia della Cassazione di cui si è detto, le preoccupazioni di molti contribuenti potranno essere fondate, o meno, a seconda del comportamento che sarà assunto in concreto dagli uffici. Se, infatti, gli uffici assumeranno atteggiamenti come per il passato, ritenendo il valore da dichiarare risultante dai calcoli del tutto indiscutibile se non con elementi di segno contrario a carico del contribuente, ma spesso neanche considerati, non sarà facile, in molti casi, evitare il contenzioso.
Se invece gli uffici, mutando il comportamento assunto in questi anni, utilizzeranno l’elasticità necessaria che ogni strumento statistico – che si vuole applicare in modo massivo – richiede, allora il nuovo redditometro potrà rivelarsi utile nel contrasto all’evasione; soprattutto, per poter intercettare posizioni fiscali oggettivamente singolari e a rischio, e meritevoli di successivi approfondimenti.
Va detto, però, che la circostanza che i giudici di legittimità abbiano affermato la natura di presunzione semplice e quindi l’onere di provare il maggior reddito in capo all’ufficio, non deve automaticamente far sperare in un mutamento di posizione dell’amministrazione.
Infatti, per gli studi di settore, che ormai presentano molti punti di analogia rispetto al nuovo redditometro, nonostante siano addirittura intervenute le sezioni unite della Cassazione, ancora oggi si assiste a contestazioni esclusivamente sulla base del valore emergente dal calcolo statistico.
Secondo la Corte di cassazione sentenza n. 23554/12,, anche il nuovo redditometro (così come il “vecchio”) è da inquadrare tra le presunzioni semplici, per cui non si inverte in alcun modo l’onere probatorio nei confronti del contribuente. La sentenza è la n. 23554/2012, depositata il 20 dicembre 2012, e verte circa la possibilità o meno che l’amministrazione avrebbe avuto di esperire l’accertamento sintetico nei confronti di un contribuente che utilizzò il cosiddetto “concordato di massa” del 1994. Nella sue conclusioni, favorevoli al contribuente, la Corte ulteriormente precisa che «l’accertamento sintetico disciplinato dall’articolo 38 Dpr n. 600/1973, già nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dall’articolo 22 del Dl 78/2010 tende a determinare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo del contribuente mediante i cosiddetti elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicità biennale».
Si può già ben dire che, con queste parole, la Cassazione indica già la strada circa la effettiva valenza del nuovo accertamento sintetico e, in particolare, del nuovo redditometro. In relazione al vecchio redditometro, va registrato che, fino al 2011, la Cassazione aveva sempre precisato che si tratta di una presunzione legale relativa, la quale inverte l’onere probatorio e lo addossa sul contribuente. Va anche detto che la stragrande maggioranza delle sentenze della Corte, oltre a non essere favorevoli al contribuente, concludevano con una sorta di clausola di stile, affermando che il contribuente non aveva provato che il suo reddito non esiste o esiste in misura inferiore a quello attribuito dal redditometro. Conclusione da ritenersi tecnicamente ineccepibile (fatte salve le specifiche prove contrarie individuate dal decreto del 1992 relativo al redditometro), ma che testimonia le difficoltà di fornire la prova contraria.
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