CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 ottobre 2013, n. 24001
Tributi – IVA – Accertamento – Bar-pasticceria – Contabilità regolare – Percentuali di ricarico sospette – Accertameno induttivo – Legittimità
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 64/05/06 del 3/3/2006, depositata in data 17/3/2006, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, Sezione Staccata di Salerno, respingeva l’appello proposto, in data 28/7/2005, dall’Agenzia delle Entrate Ufficio di Avellino, avverso la decisione n. 216/01/2003 della Commissione Tributaria Provinciale di Avellino, che aveva accolto il ricorso di V. A., esercente un’attività di Bar-Pasticceria in Solfora, contro un avviso di rettifica parziale, “n. 800642/02”, afferente l’IVA dovuta per l’anno 1997, per (come da ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate) “omessa registrazione di corrispettivi”, stante la ricostruzione del maggior volume d’affari e la rideterminazione della percentuale di ricarico, ed “indebita detrazione dell’IVA”, all’aliquota ordinaria del 19%, relativamente a prestazione (attività di intermediazione) estranea all’attività aziendale.
La Commissione Tributaria Regionale respingeva il gravame dell’Agenzia delle Entrate, in quanto, pur ritenendo ammissibile per l’Ufficio erariale procedere ad un accertamento analitico induttivo, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, nello specifico, non erano state chiarite, né nell’avviso di accertamento, “stilato esclusivamente per relationem”, né in giudizio, le modalità di determinazione dei maggiori ricavi attraverso l’applicazione di una percentuale di ricarico, in particolare sui prodotti di pasticceria (avendo “i verificatori tenuto conto solamente dei prodotti più importanti e non di altri prodotti che pura incidono nella misura del 30% dei costi complessivi dei beni”).
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo quattro motivi di ricorso per cassazione, per insufficiente ed illogica motivazione su fatto controverso e decisivo, ex art.360 n. 5 c.p.c. (Motivo 1, in ordine alla correttezza del criterio metodologico seguito dall’Ufficio erariale per la determinazione, in via analitico-induttiva, del maggior reddito, avendo lo stesso Ente ben chiarito, in giudizio, “anche attraverso puntuali richiami, ai dati emergenti dal processo verbale di constatazione n. 12 del 23/5/1999 ed a quelli allegati, il metodo” impiegato per la rettifica), per violazione e/o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.115 c.p.c. (Motivo 2, non avendo la CTR esaminato le prove poste a base della verifica eseguita dai nuclei investigativi degli Uffici Imposte Dirette ed IVA di Avellino) e dell’art.56 DPR 633/1972, come modificato dal d.lgs. 32/2001 (Motivo 3, essendo stato pienamente soddisfatto, a garanzia del contraddittorio e del diritto di difesa del contribuente, l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo, in quanto le verifiche erano state effettuate in contraddittorio con il contribuente, cui era stato ritualmente notificato il PVC, con i relativi allegati, richiamato per relationem nell’accertamento), nonché per error in procedendo, ex art.360 n. 4 c.p.c. (Motivo 4, in relazione all’art.112 c.p.c., non avendo i giudici tributari esaminato l’eccezione, sollevata dall’Agenzia, in appello, in ordine alla definitività dell’accertamento per la parte relativa ai costi ritenuti non inerenti, in difetto di contestazione sul punto da parte del contribuente in primo grado).
Ha resistito il contribuente con controricorso, deducendo che, in sede penale, egli era stato assolto, con sentenza del Tribunale ordinario di Avellino, in data 17/3-10/9/2004, perché il fatto non sussiste, dal reato di cui all’art.4 d.lgs. 74/2000, e che altro avviso di rettifica, “n. 800642/02”, notificatogli nel novembre 2002, inerente sempre la dichiarazione IVA relativa all’anno 1997, fondato sulle risultanze del medesimo processo verbale di constatazione (con il quale si era accertata l’omessa registrazione di corrispettivi e l’indebita detrazione dell’IVA all’aliquota ordinaria del 19%, relativamente a prestazione – intermediazione – estranea all’attività) era stato annullato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Avellino, con sentenza “n. 216 del 11/12/2003”, riformata in appello, con sentenza della CTR Campania, Sezione Staccata di Salerno, n. 10/05/03, passata in giudicato, solo relativamente ai costi, non riconosciuti per complessivi € 5.207,95, con conseguente inammissibilità, per giudicato esterno intervenuto tra le stesse parti, del presente ricorso per cassazione (concernente la sentenza della CTR Campania Sezione Staccata di Salerno n.64/5/06, avente ad oggetto però impugnativa dell’avviso “di accertamento n. RE 11006877, spedito per la notifica in data 20/02/2002”, con rettifica del reddito di impresa relativo all’anno 1997, ai fini IRPEF e SSN).
Il controricorrente ha depositato memoria, ai sensi dell’art.378 c.p.c..
Motivi della decisione
In ordine alla questione preliminare del giudicato esterno, ex art.2909 c.c., sollevata dal controricorrente, va osservato che la vertenza in esame, come si evince dal ricorso dell’Agenzia e dalla sentenza impugnata n. 64/05/06, concerne, difformemente da quanto eccepito dal controricorrente (pagg.1,2,3 del controricorso), il maggior volume d’affari, ai fini dell’IVA, per l’anno 1997 e non il maggiore reddito di impresa, sempre per l’anno 1997, oggetto di distinto atto impositivo e di distinta impugnazione, da parte del contribuente, definita con sentenza, passata in giudicato, sempre della CTR Campania, Sezione Staccata di Salerno, del gennaio 2006.
Ora, occorre osservare in generale che il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato tributario può operare solo rispetto a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi a una pluralità di periodi d’imposta (es. le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente {in riferimento a tali elementi, cfr. Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006; vedi, con riferimento però al giudicato esterno relativo ad annualità diversa della stessa imposta, Cass. 20029/2011; Cass. 4607/2008; Cass. 11226/2007 : “La sentenza del giudice tributario con la quale si accerta il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta può fare stato anche con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene le qualificazioni giuridiche o altri elementi preliminari correlati ad un interesse protetto avente il carattere della durevolezza, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni d’imposta debba fondarsi su dati e ricostruzioni contabili diversi”).
Ancora, si è affermato, principio di diritto proprio pertinente alla questione qui sollevata, che il giudicato, formatosi in materia di tributi diretti, non è preclusivo delle questioni concernenti il diverso rapporto giuridico d’imposta in tema di IVA, anche se relativo alla stessa annualità e scaturente dalla medesima indagine di fatto (Sez. 5, Sentenza n. 25200 del 30/11/2009 e Cass.16996/2012).
Orbene, il giudicato avente per oggetto il riconoscimento della regolarità dei rapporti fiscali a fini IRPEF, nell’anno 1997, non può dunque comportare la sua automatica l’estensione alla contestazione inerente l’IVA dovuta per lo stesso anno, in quanto il rapporto tributario postula l’accertamento di ulteriori presupposti di fatto.
Nel merito del ricorso, l’Agenzia ricorrente lamenta con il primo motivo, un vizio motivazionale della sentenza impugnata, non avendo, essenzialmente, spiegato i giudici tributari perché le difese dell’Ufficio erariale, a fronte delle contestazioni del contribuente al metodo con cui era stata effettuata la rettifica della dichiarazione IVA, non erano convincenti, essendovi stata totale obliterazione, da parte dei giudici, dell’esame degli elementi probatori posti a base del processo verbale di constatazione del 23/5/1999 e degli allegati acquisiti in giudizio.
Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo e del terzo motivo.
In generale, a fronte della dichiarazione del contribuente, l’Ufficio può rettificare in aumento l’imponibile esposto nella dichiarazione con tre metodi, quello analitico-contabile, quello extracontabile o induttivo e quello, che qui interessa, misto, analitico-induttivo. Con tale metodologia, la determinazione (o meglio, la rettifica) del reddito viene effettuata sempre nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi, attivi o passivi, di cui risulti provata aliunde l’inesattezza o la mancanza.
Nell’ipotesi prevista dalla lettera d) dell’art. 39, 1° comma, DPR 600/1973, in tema dì imposte reddituali, la rettifica in aumento dell’imponibile esposto in dichiarazione è possibile se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolte dall’Ufficio, anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti. Il metodo misto trova applicazione analoga anche ai fini IVA ed è disciplinato dall’art. 54, comma 2 e 3, DPR 633/1972; la determinazione dell’imponibile è ancorata alle risultanze delle registrazioni contabili e la rettifica concerne singoli corrispettivi relativi ad operazioni imponibili non dichiarati o non risultanti dalla contabilità.
Nella specie, la modalità di accertamento adottata dall’Ufficio nell’atto impositivo impugnato risulta fondata su dati desunti proprio dalle scritture aziendali e quindi non soggiace alla disciplina del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e D.P.R. n. 633 del 1973, art. 55, bensì a quella del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e D.P.R. n. 633 del 1973, art. 54; si tratta, cioè, di accertamento analitico-induttìvo e non di accertamento induttivo extracontabile e, pertanto, andava giudicato legittimo anche in presenza di contabilità formalmente regolare (Cass. 1647-17408 e 21697/2010; Cass. 7184/2009; Cass. 5977/2007).
La CTR ha infatti motivato nel senso che, pur a fronte di una “regolare contabilità”, in presenza di “gravi incongruenze”, era possibile un accertamento induttivo, ex art.54 DPR 600/1973. Viene tuttavia anche in discussione il metodo di rettifica globale dei ricavi fondato sulle c.d. percentuali di ricarico. In generale, essendo il ricarico rappresentato dal rapporto tra i ricavi contabilizzati e gli acquisti registrati in contabilità – il confronto dell’effettivo margine di guadagno sulle merci con quanto risultante dalla contabilità consente di fondatamente presumere che acquisti registrati abbiano dato luogo a vendite non (regolarmente) registrate; il punto critico è rappresentato dalla scelta del criterio di determinazione della percentuale di ricarico concretamente applicabile, in quanto detto criterio deve comunque rispondere a canoni di coerenza logica e di congruità, a disparte dall’esser rapportato alla omogeneità dei beni-merce ed alla scelta del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di acquisto e di rivendita. La scelta da parte dell’Amministrazione finanziaria del criterio di determinazione della percentuale di ricarico deve rispondere a canoni di coerenza logica e congruità che devono essere esplicitati attraverso adeguato ragionamento consentito il ricorso al criterio della “media aritmetica semplice” in luogo della “media ponderale” quando risulti l’omogeneità della merce, ma non quando fra i vari tipi di merce esista una notevole differenza di valore ed i tipi più venduti presentino una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio (cfr. Cass. 979/2003 n. 979; Cass.14328/2009; Cass. 26312/2009 e Cass.10148/2010).
Il controllo di logicità sulla scelta ed applicazione del criterio di calcolo per il ricarico si estende anche alla congruità del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di rivendita e di acquisto, non potendo limitarsi il campione ad alcuni articoli soltanto, ma dovendo comprendere – in relazione agli elementi conoscitivi acquisiti nel corso della indagine svolta dall’Ufficio accertatore – l’inventario generale delle merci commercializzate dalla impresa (Cass. n. 979/2003 cit..; Cass. 6849 e 6852/2009) o comunque un “gruppo significativo, per qualità e quantità dei beni oggetto dell’attività di impresa, anche senza estendersi necessariamente alla totalità dei beni (cfr. Cass, 13816/2003 cit., per cui la “insufficienza o inadeguatezza del campione” è oggetto di sindacato da parte del giudice del merito che può determinare una riduzione del reddito accertato induttivamente dall’Ufficio).
In sostanza, il riscontro di incongrue percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce – sia in tema di imposte dirette (v. Cass. 7871/12, 7653/12, 13319/11), sia in tema di IVA (v. Cass. 26177/11 e 26312/09) – legittimo presupposto dell’accertamento induttivo, purché la determinazione della percentuale di ricarico sia coerente con la natura e le caratteristiche dei beni venduti, sicché, qualora il contribuente, in sede di giudizio, contesti il criterio di determinazione della percentuale di ricarico, il giudice di merito è tenuto a verificare la scelta dell’Amministrazione in relazione alle critiche proposte, alla luce dei canoni di coerenza logica e di congruità, tenuto conto della natura, omogenea o disomogenea, dei beni-merce nonché della rilevanza dei campioni selezionati, e la loro rispondenza al criterio di media (aritmetica o ponderale) prescelto.
Nella fattispecie, la parte ricorrente muove, come già detto, anzitutto dal corretto assunto (in conformità alle citate pronunce in materia di questa Corte) che il dato della regolarità formale della contabilità di impresa, ove sussistente, non è in ogni caso preclusivo dell’accertamento di genere induttivo, atteso che ben possono essere state semplicemente omesse annotazioni relative ad operazioni che, altrimenti, sarebbero destinate a non venir mai accertate se non per diversa risultanza documentale.
Inoltre, l’Amministrazione procedente aveva dedotto l’esistenza di gravi incongruenze e comunque presunzioni, aliunde desunte, dell’inattendibilità della contabilità nel suo complesso, avendo ricostruito il maggior volume d’affari, differenziando i prodotti trattati e commercializzati maggiormente rappresentativi e differenziando specificamente la percentuale di ricarico per i prodotti di pasticceria e per quelli relativi al bar-caffè.
La ricorrente lamenta anche l’insufficienza della motivazione del provvedimento di appello, nella parte in cui il giudicante ha fatto riferimento al “discutibile” contenuto della verifica fiscale. La ricorrente si duole che la sentenza sia motivata in termini apodittici e senza specifico riferimento ad elementi di fatto.
Ora, dalla lettura della sentenza impugnata, emerge che la CTR ha giudicato gli elementi offerti dall’Ente impositore non dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, perché, a fronte delle contestazioni del contribuente, sulla “non corretta determinazione della percentuale di ricarico, in particolare sui prodotti di pasticceria”, avendo l’Ufficio “nella determinazione del costo del venduto” tenuto conto soltanto dei prodotti più importanti, e sulla erronea metodologia usata per dedurre i ricavi complessivi, l’accertamento, stilato esclusivamente per relationem, si basa acriticamente su una verifica il cui contenuto è discutibile, perché basato su presunzioni enunciate, non “verificate, né provate”, affermazioni queste del tutto generiche, implicanti una valutazione separata di ciascun elemento probatorio, in rapporto ai plurimi dati presuntivi offerti dall’Ente impositore, riprodotti in ricorso.
La sentenza è dunque affetta da vizio motivazionale, non avendo i giudici tributari verificato puntualmente la scelta dell’Amministrazione in relazione alle critiche proposte dal contribuente, alla luce dei canoni di coerenza logica e di congruità, tenuto conto della natura, omogenea o disomogenea, dei beni per materia nonché della rilevanza dei campioni selezionati, e la loro rispondenza al criterio di media (aritmetica o ponderale) prescelto.
Fondata è inoltre la censura, di cui al quarto motivo, di omessa pronuncia sul passaggio in giudicato della parte dell’atto impositivo relativa all’accertamento dei costi indeducibili non inerenti, in difetto di contestazione sul punto da parte del contribuente in primo grado, giusta l’eccezione, sollevata dall’Agenzia, in appello, non esaminata dai giudici tributari.
La Corte accoglie pertanto il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria della Campania che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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