CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 ottobre 2013, n. 24367
Studi di settore – Agente di commercio – Grave scostamento – Applicabilità a prescindere dal ridotto volume d’affari dell’azienda
Svolgimento del processo
1. L’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Toscana n. 6/30/11, depositata il 31 gennaio 2011, con la quale, rigettato l’appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione di P.M., relativa all’avviso di accertamento concernente Irpef, Irap ed Iva per l’anno 2004, veniva accolta. Questi invero si era discostato parecchio nella indicazione dei ricavi, relativamente alle provvigioni ricevute, secondo lo studio specifico di settore. In particolare il giudice di secondo grado osservava che l’atto impositivo si basava sugli studi di settore, che costituivano si prova presuntiva, ma senza che tuttavia l’ente impositore avesse tenuto conto “… della particolare struttura organizzativa nella quale opera…” il contribuente, e del fatto che anche la società Fratelli M. srl., che operava nel settore della commercializzazione della carta e di articoli di cancelleria, di cui M. era socio subagente, era rimasta vittoriosa in un analogo contenzioso di accertamento per preteso maggior reddito. M. resiste con controricorso, ed a sua volta ha proposto ricorso incide condizionato, con un unico motivo, ed ha depositato memoria.
Motivi della decisione
2. Innanzitutto va rilevato che entrambi i ricorsi vanno riuniti ex art. 335 cpc., essendo stati proposti avverso la medesima sentenza.
A) Ricorso principale.
3. Ciò premesso, col motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce il vizio di insufficiente motivazione, in quanto la CTR non enunciava in concreto gli elementi posti a base del suo percorso argomentativo nell’accogliere le censure dell’appellato alla pretesa impositiva, se non mediante l’apodittica affermazione, secondo cui lo studio di settore non sarebbe adeguato alle caratteristiche strutturali ed organizzative dell’attività dell’agente di commercio inciso, mentre invece si trattava di presunzioni, che semmai dovevano essere vinte dal quale piuttosto non aveva addotto alcun elemento di prova a sostegno del suo assunto.
Il motivo è fondato, in quanto, com’è noto, in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili <<dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta>>, sia sugli studi di settore, come nella specie, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale del comparto merceologico, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 16430 del 27/07/2011). Del resto in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, espressamente prevista dall’art. 62 – sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, aggiunto dalla legge di conversione 29 ottobre 1993, n. 427, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dall’art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il quale, pur richiamando direttamente l’art. 62-sexies cit., non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento, come nel caso in esame, in cui comunque il divario con quanto indicato in dichiarazione era abbastanza rilevante (V. pure Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009). Nel caso in esame invece il giudice di appello non specificava gli elementi, in base ai quali riteneva di condividere le ragioni del contribuente, se non in maniera piuttosto vaga ed insufficiente. In tal modo egli cadeva nel vizio denunziato, atteso che, com’è noto, quello di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, senza che sia possibile ricostruirne il percorso argomentativo, anche mediante il richiamo generico di altre decisioni connesse, come la sentenza della società Fratelli M. nella specie Cass. Sentenza n. 6288 del 18/03/2011).
Dunque sul punto la sentenza impugnata non risulta motivata in modo sufficiente e giuridicamente corretto.
Ricorso incidentale condizionato.
4. Col motivo addotto a sostegno di esso il ricorrente per incidente denunzia violazione di norme di legge, giacché il giudice di appello non poteva ritenere sufficiente l’applicazione dello studio di settore ai fini della pretesa fiscale senza il contestuale presupposto di altri elementi fattuali di prova, che valorizzassero quel dato astratto.
Si tratta all’evidenza di censura attinente ad impugnazione inammissibile per carenza d’interesse ex art. 100 cpc., e che comunque rimane assorbita da quanto enunciato in ordine al motivo del ricorso principale.
5. Ne deriva che quest’ultimo va accolto; l’altro incidentale va dichiarato inammissibile, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al primo, con rinvio al giudice di appello, altra sezione, il quale si uniformerà ai suindicati principi di diritto.
Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, accoglie quello principale; dichiara inammissibile l’altro incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al primo, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Toscana, altra sezione, per nuovo esame.
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