CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 ottobre 2013, n. 42642
Tributi – Reati tributari – Dichiarazione fraudolenta – Uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – Configurazione del reato – Condizioni – Indicazione di elementi fittizi in dichiarazione e conservazione delle fatture nella documentazione aziendale
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Asti, con ordinanza in data 4.4.2013, rigettava la richiesta di riesame proposta da (…) ed altri avverso il decreto di sequestro preventivo, emesso dal GIP presso il Tribunale di Asti il 12.3.2013.
Dopo aver ricordato i poteri del riesame, che deve limitarsi al controllo di compatibilità tra fa fattispecie concreta e quella legale, nonché a verificare la pertinenza dell’oggetto sequestrato al reato ipotizzato e la necessità della persistenza del vincolo reale, assumeva li Tribunale che Il GIP aveva disposto li sequestro per equivalente di beni immobili, mobili e denaro appartenenti al (…), indagato per il reato di cui agli artt. 110, 81 cpv. c.p., 2 D.Lvo 74/2000 per avere, al fine di evadere le imposte sui redditi, utilizzato nella dichiarazione Irpef dell’anno 2008 documenti riferibili ad operazioni oggettivamente inesistenti.
Si trattava di un articolato sistema di frode fiscale, messo a punto dal commercialista (…), proposto ed adottato dal (…) e da altri indagati.
Tanto premesso, il Tribunale disattendeva i motivi su cui si fondava la richiesta di riesame proposta dal (…) in quanto dagli atti (ed in particolare dalle s.i.t. di (…), dalla c.n.r. della G.d.F. del 9.7.2012 e relativi allegati) la prospettazione accusatoria non risultava giuridicamente infondata.
Tenuto conto, poi, dell’evidente vantaggio fiscale per i clienti dello studio (…), l’ipotesi difensiva, e cioè che il (…) avesse aderito al sistema di frode messo in atto dai commercialista inconsapevolmente, era assolutamente fantasiosa.
2. Ricorre per cassazione (…), a mezzo del difensore, denunciando la inosservanza di norme processuali in relazione agli artt.322 co.1 e 125 co.3 c.p.p., nonché la mancanza contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
Non c’è dubbio che, pur essendo i poteri del riesame limitati alla verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato, il Tribunale debba svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia prendendo in esame le contestazioni difensive in relazione all’esistenza del fumus del reato.
Il Tribunale, come emerge dalla stessa ordinanza, omette ogni verifica in ordine ai rilievi difensivi, con i quali si evidenziava che le due dichiarazioni (di …. e ….) non erano state né registrate, né contabilizzate, e che comunque le suddette dichiarazioni non erano detenute a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria (il … ne ignorava perfino l’esistenza, avendo disconosciuto la sottoscrizione “per accettazione”).
Non era quindi neppure astrattamente configurarle il reato ipotizzato di cui all’art.2 D.L.vo 74/2000.
E neppure era configuratale il reato di cui all’art. 3 D.Lvo 74/2000, in quanto le imposte asseritamente evase erano inferiori alfa soglia di punibilità vigente all’epoca.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
2. Va premesso che, a norma dell’art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n.2/2004), nel concetto di violazione di legge può, però, comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’art.125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non fa manifesta Illogicità della motivazione, che è prevista come autonomo mezzo di annullamento dall’art.606 lett. e) c.p.p., né tantomeno li travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento.
Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n.25932 del 29.5.2008, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
3. Quanto ai poteri del Tribunale del riesame, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. in particolare Sez.Unite 29.1.1997, ric. P.M. In proc… ), nel procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una “piena cognitio” del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente fa competenza a conoscere della legittimità dell’esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l’assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell’accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale. Tale interpretazione limitativa della cognizione Incidentale risponde all’esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul “meritum causae”, così da determinare una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell’accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell’ambito di un medesimo procedimento.
L’accertamento, quindi, della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono- in una prospettiva di ragionevole probabilità- di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale del riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (ex multis Cass.pen.sez., 3 n.40189 del 2006- ric…).
Il controllo non può quindi limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto del fatto indicato dall’accusa alla fattispecie criminosa, ma deve essere svolto attraverso la valutazione dell’antigiuridicità penale del fatto come contestato, ma tenendosi conto, nell’accertamento del “fumus commissi delicti”, degli elementi dedotti dall’accusa risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive.
Secondo anche la già citata sentenza (Sez. Un. n.23/1997), non sempre correttamente richiamata, al giudice del riesame spetta quindi il dovere di accertare fa sussistenza del cd. fumus commissi delicti che, pur se ricondotto nel campo dell’astrattezza, va sempre riferito ad una ipotesi ascrivibile alla realtà fattuale e non a quella virtuale (principi affermati più volte da questa sezione 3, 29.11.1996, Cass.sez.3, 1.7.1996; 30.11.199, 2.4.2000, P.M.c.; n.5145/2006).
In conclusione la verifica da parte del giudice del riesame del “fumus commissi delicti”, ancorché limitata all’astratta configurabilità del reato ipotizzato dal p.m., importa che lo stesso giudice, lungi dall’essere tenuto ad accettare comunque la prospettazione dell’accusa, abbia il potere-dovere di escluderla, quando essa appaia giuridicamente infondata (cfr.Cass.pen.sez.1 n. 15914 del 16.2.2007).
4. Come risulta chiaramente dalla motivazione dell’ordinanza impugnata il Tribunale ha ritenuto che i suoi poteri fossero limitati all’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati che “vanno valutati così come esposti dal pubblico ministero, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica” (pag.2).
Ed in applicazione di tale impostazione il Tribunale ha ritenuto che dall’esame degli atti “la prospettazione dell’accusa non appare affatto giuridicamente infondata”.
Non ha quindi neppure esaminati i rilievi difensivi riportati nella richiesta di riesame, con i quali si contestava la sussistenza del fumus del reato di cui all’art.2 in relazione ai documenti rilasciati da (…) e (…), assumendosi che tali documenti non erano stati né registrati, né contabilizzati, né detenuti a fini di prova nel confronti dell’amministrazione finanziaria.
Siffatte deduzioni risultavano rilevanti ai fini della stessa astratta configurabilità del reato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, “In tema di reati tributari ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art.2 comma secondo D.Lgs. 10 marzo 2000 n.74) è necessario, da un lato, che la dichiarazione fiscale contenga effettivamente l’indicazione di elementi passivi fittizi e, dall’altro, che le fatture siano conservate nei registri contabili o nella documentazione fiscale dell’azienda, in ciò identificandosi la condotta di “avvalersi” delle fatture normativamente richiesta” (cfr. Cass.pen. sez. 3 n.14718 del 6.3.2008)
Sicché il reato in questione è integrato dalla registrazione in contabilità delle false fatture o della loro conservazione ai fini di prova, nonché dall’inserimento nella dichiarazione di imposta dei corrispondenti elementi fittizi, condotte queste ultime tutte congiuntamente necessarie ai fini della punibilità” (cfr. Cass.pen. sez. 3 n. 14855 del 19.12.2012; conf. Cass.pen. sez. 3 n.14718 del 6.3.2008).
5. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame alla luce dei principi sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Asti.
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