CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 novembre 2013, n. 25197
Rapporto di lavoro – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Soppressione delle mansioni assegnate al lavoratore – Obbligo di repechage
Svolgimento del processo
1. – Con ricorso al Giudice del lavoro di Lucera, A.T. impugnava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatogli in data 29.06.01 da M. s.p.a., chiedendo la reintegrazione e il risarcimento del danno.
2. – Costituitosi il datore di lavoro, il Tribunale rigettava la domanda rilevando che il g.m.o. andava ricercato nella insindacabile decisione imprenditoriale di sopprimere le mansioni assegnate al lavoratore (pulizia dei locali aziendali) e di esternalizzare il servizio dallo stesso prestato.
3. – Proposto appello dal lavoratore, la Corte d’appello di Bari con sentenza del 12.03.09 accoglieva l’impugnazione e dichiarava illegittimo il licenziamento, concedendo inoltre il risarcimento del danno. Rilevava la Corte che il lavoratore aveva provato che, oltre le mansioni di addetto alle pulizie, egli svolgeva altri compiti rispondenti all’inquadramento ricevuto, mentre il datore non aveva provato di non poter utilizzare il predetto in altre mansioni compatibili con il suo livello professionale. Risultava, inoltre, dal libro matricola che M. aveva assunto dopo il licenziamento un altro lavoratore, che era stato inquadrato nello stesso livello contrattuale di A. ed aveva il suo stesso livello professionale (operaio di secondo livello del ccnl degli addetti all’industria metalmeccanica). Ritenendo violato l’obbligo di repechage; la Corte riteneva illegittimo il licenziamento
4. – Propone ricorso per cassazione M. s.p.a. Si difende con controricorso A..
Motivi della decisione
5. – La ricorrente società con due motivi di ricorso deduce:
5.1. – Carenza di motivazione e violazione dell’art. 414 c.p.c., avendo il giudice erroneamente ritenuto che il lavoratore fosse addetto con continuità anche ad altri compiti, oltre quelli di addetto alla pulizia dei locali, avendo l’istruttoria dimostrato che le altre mansioni era solamente occasionali e temporalmente limitate. Lo stesso lavoratore, inoltre, aveva violato l’onere di allegazione, non avendo indicato nel ricorso le mansioni alternative, compatibili con le sue capacità professionali, idonee a consentire un diverso impiego; pertanto, a carico del datore non era scattato l’onere di provare che non esisteva nell’azienda la possibilità di una diversa utilizzazione del dipendente.
5.2. – Carenza di motivazione, in quanto il giudice nel valutare le dichiarazioni dei testimoni non avrebbe tenuto conto di due ulteriori circostanze e cioè: a) l’A. era persona appartenente a categoria protetta avviata obbligatoriamente al lavoro, priva di competenza specifica in relazione al tipo di produzione effettuato nell’azienda, di modo che – esternalizzato il servizio di pulizia – era impossibile una sua adibizione ad altre mansioni di carattere produttivo; b) il secondo livello contrattuale, già assegnato all’A., era stato erroneamente attribuito al lavoratore assunto dopo il licenziamento (tale T.L.), tanto è vero che nel libro matricola già pochi mesi dopo lo stesso allo stesso risultava attribuito il terzo livello.
6. – Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, la giurisprudenza di legittimità ritiene che compete al giudice il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro e non il sindacato della scelta dei criteri di gestione dell’impresa, che sono espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. In ordine al motivo addotto, il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte. Tale prova non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti (Cass. 8.02.11 n. 3040 e 18.03.10 n. 6559).
7. – Il giudice di merito ha accertato, con giudizio di fatto congruamente motivato e pertanto incensurabile in sede di legittimità, che l’A. ha provato di aver svolto con continuità, assieme alle mansioni principali di addetto alle pulizie, anche compiti ulteriori all’interno (confezionamento di scatole di cartone, rifornimento di carburante) e all’esterno dell’azienda (svolgimento di commissioni varie) di basso livello professionale, ma compatibili con il suo inquadramento (Il livello del contratto collettivo dei metalmeccanici). Lo stesso giudice ha, inoltre, accertato che meno di tre mesi dopo il licenziamento il datore procedette all’assunzione di altro dipendente (tale T.L.), inquadrandolo nella stessa posizione del lavoratore licenziato (il II livello).
Sulla base di questi elementi è pervenuto a due conclusioni: a) che, seppure a livello solo indiziario, esisteva la possibilità di diversa utilizzazione del lavoratore licenziato, pur dopo l’esternalizzazione del servizio di pulizia locali; b) che il datore avrebbe dovuto provare che, nonostante tale possibilità, il lavoratore non avrebbe potuto comunque essere utilizzato in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte.
8. – Tali conclusioni sono conformi al principio di diritto sopra enunziato. In particolare, la prova testimoniale espletata, avendo evidenziato l’esistenza di mansioni assegnate aggiuntive (collaterali, ma continuative), esclude che nel processo il lavoratore avesse l’onere di indicare gli altri posti di lavoro nei quali potesse essere utilmente ricollocato, atteso che l’esistenza degli stessi è stata per altro verso acclarata. Conseguentemente, l’unico onere era quello della prova di impossibile ricollocamento nascente a carico del datore, il quale, come già visto, ad esso risulta aver fallito.
9. – Con il secondo motivo vengono dedotte alcune circostanze di fatto che si assumono non prese in considerazione dal giudice di merito, e cioè che A. (assunto per avviamento obbligatorio) avesse svolto funzioni meramente marginali all’interno dell’azienda e che l’inquadramento del nuovo assunto nello stesso livello del lavoratore licenziato fosse conseguenza di un errore di inquadramento compiuto dalla direzione aziendale.
Mentre la pretesa “marginalità” è stata, come già evidenziato, esclusa in fatto dal giudice, non risulta, sulla base degli atti che il Collegio può prendere in esame, che sia stata precedentemente dedotta nel giudizio di merito la circostanza che l’inquadramento del nuovo dipendente sia stata frutto di un errore. Quest’ultima circostanza è da ritenere dunque inammissibilmente dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità.
10. – In conclusione, infondati i due motivi, il ricorso deve essere rigettato con condanna della parte ricorrente alle spese del giudizio.
11. – I compensi professionali vanno liquidati in € 2.500 sulla base del d.m. 20.07.12 n. 140, tab. A-Avvocati, con riferimento alle tre fasi previste per il giudizio di cassazione (studio, introduzione, decisione) ed allo scaglione del valore indeterminabile.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 100 (cento) per esborsi ed in € 2.500 (duemilacinquecento) per compensi, oltre Iva e Cpa.
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