La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 25674 depositata il 15 novembre 2013 intervenendo in materia di benefici fiscali prima casa ha stabilito che, ai fini delle agevolazioni prima casa, anche il vano non abitabile è da considerare parte della superficie complessiva dell’immobile ai fini del riconoscimento del carattere “di lusso” dello stesso, qualora il locale sia facilmente utilizzabile.
In particolare, i giudici della Corte Suprema ha affermato che:
- con “superficie utile complessiva” non si deve far riferimento solamente alla superficie abitabile;
- la facile utilizzazione di una superficie è concetto che prescinde dall’abitabilità.
Il concetto di superficie utile complessiva prescinde dalla sua abitabilità, sicché anche un vano deposito non abitabile può far aumentare la metratura dell’immobile fino a farlo diventare di “lusso”.
La vicenda ha riguardato due coniugi a cui veniva notificato un avviso di liquidazione con cui, l’Agenzia delle Entrate, si revocava l’agevolazione fiscale prima casa, era recuperata a tassazione l’ordinaria imposta di registro e inflitte sanzioni sull’acquisto di un immobile. Tale immobile, ad avviso dell’Ufficio finanziario, era di lusso perché aveva una superficie utile complessiva superiore a 240 mq., dovendosi in essa computare il cosiddetto vano deposito, posto che quest’ultimo presentava un’altezza di 3,25 m. e due ampie finestre oltre a un’ampia portafinestra, essendo invece irrilevante la sua destinazione di fatto.
Avverso tale atto impositivo i contribuenti proponevano ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici rigettano le doglianze dei ricorrenti. I coniugi impugnano la sentenza del giudice di prime cure dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello rigettando l’appello dei contribuente ha ritenuto che “correttamente l’Ufficio avesse accertato l’abitazione come di “lusso” ai sensi dell’art. 6 d.m. 2 agosto 1969, con la conseguente revoca del beneficio in parola”.
I coniugi, soccombenti, ricorrono contro la sentenza della CTR alla Suprema Corte affidandosi a due motivi di censura.
Gli Ermellini, nel respingere il ricorso dei contribuenti, osservano che la superficie utile complessiva non può restrittivamente identificarsi con la sola superficie abitabile: l’abitabilità va considerata come un criterio non esclusivo al fine dell’individuazione della categoria giuridica della “superficie utile complessiva” di cui all’articolo 6 D.M. 2 agosto 1969.
In effetti, l’utilizzabilità di una superficie è concetto che prescinde dall’abitabilità ed è quello più idoneo a esprimere il carattere “lussuoso” o meno di una casa. Cosicché, la possibilità di conseguire una facile abitabilità, mediante, per esempio, un semplice adeguamento dei rapporti aereo-illuminanti, consente di ritenere “utile” la superficie abitativa; e il tener conto di questa marcata potenzialità abitativa consente di individuare meglio ciò che è di “lusso” o meno sul piano del mercato immobiliare, che, come noto, una tale disponibilità di superficie valorizza.
I giudici di legittimità, nel caso di specie, hanno disatteso la tesi dei contribuenti secondo cui, per superficie utile complessiva ex D.M. 2 del 1969 doveva intendersi solamente la superficie abitabile e tale non era, all’atto dell’acquisto, il vano deposito in questione perché non rispettava i rapporti aero-illuminanti di cui al regolamento edilizio, non avendo finestre di adeguata ampiezza, tant’è vero che per ottenere l’abitabilità erano occorsi, successivamente all’acquisto, importanti lavori di ristrutturazione.
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