CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 novembre 2013, n. 24902
Tributi – Imposte sui redditi – Accertamento induttivo – Impresa familiare – Panificio – Maggiori ricavi – Presunzione – Consumo di farina – Sussiste
Svolgimento del processo
C.C. e R.C., coniuge codichiarante, propongono ricorso per cassazione, sulla base di sette motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, rigettandone l’appello incidentale concernente le spese e accogliendo parzialmente l’appello principale dell’ufficio, ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento, ai fini dell’ILOR e dell’IRPEF per l’anno 1993, emesso all’esito di verifica nell’impresa familiare esercente attività di panificazione, con il quale, ai sensi dell’art. 39, primo carne, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, veniva rettificata la dichiarazione, all’esito della contestazione di omessi ricavi e di indebita imputazione di costi non di competenza.
Il giudice d’appello, infatti, mentre in ordine al rilievo riguardante l’indebita imputazione di costi in quanto non di competenza riteneva essersi consolidato il giudicato favorevole ai contribuenti, per non essere stata la questione riproposta dall’ufficio con l’appello, riformava la sentenza di primo grado ritenendo corretto l’accertamento concernente gli omessi ricavi.
Premesso che l’accertamento era stato effettuato in base al presupposto fissato alla lettera d) del primo coma del citato art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, rilevava care fosse indubitabile che l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione discendeva direttamente dalla verifica eseguita ai sensi del precedente art. 33, e come l’accertamento effettuato dall’ufficio con il rinvio al processo verbale della Guardia di finanza si ancorava ad una presunzione di resa della farina acquistata per la produzione del pane e di prodotti similari – pari ad un valore “effettivamente minimo” del 115% -, elaborata sulla base di precisi dati contabili e in contraddittorio con la parte. Nelle operazioni condotte, quali emergevano dal verbale di verifica, era stata prevista inoltre la depurazione dal quantitativo di materia prima del suo carico naturale, di lavorazione e tecnico, nonché della rimanenza rimasta invenduta.
Il contribuente, il quale, presente alle operazioni di verifica, già allora non aveva obiettato alcunché, in sede di giudizio non aveva prospettato successivamente – prosegue la Commissione regionale – elementi di effettiva dirimenza rispetto alle ragionate prospettazioni dell’ufficio, attestandosi anzi a contestare la giustezza dei risultati formulati nella relazione di verifica sulla base di posizioni di difesa generica, senza alcun aggancio effettivo alla concretezza dell’azienda, il che non potrebbe valere a ribaltare un concetto di resa della farina universalmente accolto, fatte salve situazioni specifiche che avrebbero dovuto essere puntualmente specificate: né peraltro erano convincenti le motivazioni poste a base della sentenza impugnata, in quanto fondate su elementi negativi mai seriamente provati dal contribuente, ma semplicemente addotti con generiche formulazioni.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con i primi due motivi i ricorrenti denunciano, rispettivamente, l’emessa pronuncia del giudice d’appello sull’eccepita inammissibilità dell’impugnazione per mancanza di specificità dei motivi, e la violazione del disposto dell’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 342 cod. proc. civ., per non essere stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi d’impugnazione.
I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto legati, sono infondati, ove si consideri che, come si evince dalla lettura del “fatto” della sentenza impugnata, con l’atto di appello l’ufficio “contestò la supposta regolarità della contabilità”, riportando a conforto un passo del pvc e “specificando poi le singole violazioni rilevate nella tenuta delle scritture”; osservò come l’accertamento eseguito era di natura analitico induttiva, distinto dall’accertamento induttivo puro, “in quanto l’infedeltà della dichiarazione (per omessi ricavi e rilevazione di costi non di competenza) viene ricavata … attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti”; censurò la sentenza di primo grado per aver affermato non si fosse tenuto conto di tutte le altre variabili, che invece erano state ben considerate, “come risulta dal pvc che le evidenzia e attraverso le quali i verbalizzanti hanno ricostruito i dati contabili dell’azienda in contraddittorio con il titolare della stessa il quale, meglio di chiunque altro, avrebbe potuto fornire elementi puntuali in ordine alle varianti di cui si tratta, conoscendo le capacità produttive dell’azienda stessa”.
La Commissione tributaria regionale, poi, come può rilevarsi dai passi della motivazione riportati sopra, esaminò partitamente le censure formulate col gravame, rigettando implicitamente l’eccezione, ritenuta infondata, di inammissibilità dello stesso.
Con il terzo ed il quarto motivo i ricorrenti denunciano, rispettivamente, l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado sull’eccepita inammissibilità dell’appello perché basato su nuove eccezioni e difese, e la violazione del disposto dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, per non essere stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello basato su nuove eccezioni e difese.
I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto legati, sono infondati, ove si consideri che “nel processo tributario di appello la novità della domanda deve essere verificata in stretto riferimento alla pretesa effettivamente avanzata nell’atto impositivo impugnato e, quindi, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, poiché il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l’Ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall’atto impugnato, sia per quanto riguarda il petitum sia per quanto riguarda la causa petendi. Ne consegue che, per eccepire validamente la inammissibilità dell’appello per novità della domanda, è necessario dimostrare che gli elementi dedotti in secondo grado dall’Amministrazione non sono stati evidenziati neppure nel processo verbale di constatazione e nel conseguente avviso di accertamento oggetto dell’impugnazione” (Cass. n. 10806 del 2012).
Nel processo tributario, come questa Corte ha ripetutamente affermato, “il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dall’art. 57, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale, ma non limita la possibilità dell’Ammnistrazione di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio, perché le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono, a loro volta, eccezioni in senso tecnico” (Cass. n. 3338 del 2011, n. 7789 del 2006).
Con il quinto motivo censurano la decisione, denunciando violazione degli artt. 53 e 14 del d.lgs. n. 546 del 1992 e degli artt. 291 e 331 cod. proc. civ., per aver mancato di rilevare l’inammissibilità dell’appello dell’ufficio finanziario privo dell’indispensabile indicazione di una delle parti del precedente grado, la C., e non proposto nei confronti di quest’ultima.
Il motivo è infondato, atteso che nella specie non ricorre l’ipotesi, prevista dal comma 1 dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, di mancata “indicazione… delle altre parti nei cui confronti è proposto” l’appello, e sanzionata con l’inammissibilità dell’impugnazione, quanto piuttosto l’ipotesi, contemplata dal successivo secondo comma, di mancata proposizione dell’appello “nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado”, per non essere stata chiamata in giudizio dall’appellante anche la C., ricorrente in primo grado con il C..
Nella specie il giudice d’appello, rilevato che la pronuncia riguardava tanto il C. che la C., “considerata la sostanziale inscindibilità della controversia – si legge nella decisione impugnata – conseguente alla natura del provvedimento tributario oggetto della controversia e la stessa sentenza appellata, riguardante entrambi i contribuenti, ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti della C.”, e “l’ufficio appellante, in esecuzione dell’ordinanza ha provveduto ad integrare il contraddittorio nei confronti della C., la quale peraltro non si è costituita”.
Con il sesto motivo, denunciando violazione dell’art. 39, primo comma, lettera d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., sostiene l’illegittimità dell’accertamento analitico-induttivo basato presuntivamente su una percentuale di resa di una sola delle materie prime usate nella produzione, non scientificamente desunta, non documentata e comunque non costituente una presunzione grave, precisa e concordante idonea a legittimare il predetto tipo di accertamento.
Con il settimo motivo denuncia l’insufficienza della motivazione sul punto.
I motivi, che vanno esaminati congiuntamente in quanto legati, devono essere disattesi.
Questa Corte ha chiarito come “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, primo coma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente, in tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente” (Cass. n. 7871 del 2012); si è inoltre affermato che “nell’accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dall’art. 39, camma primo, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili” (Cass. n. 951 del 2009).
Nella specie, il giudice d’appello ha accertato care la percentuale “al minimo” di resa della farina in sede di verifica sia stata posta a confronto con i dati contabili dei contribuenti ed in contraddittorio con loro; che è stata previsto un temperamento costituito dalla “depurazione dal materia prima del suo calo naturale, di lavorazione e tecnico”, nonché “della rimanenza rimasta invenduta”.
Ha inoltre osservato come il contribuente, pur presente alle operazioni di verifica non abbia formulato obiezioni né, quel che più conta, abbia prospettato in giudizio “elementi di effettiva dirimenza rispetto alle ragionate prospettazioni dell’ufficio”, essendo stata contestata la giustezza dei risultati formulati nella relazione di verifica “sulla base di posizioni di difesa generiche, senza alcun aggancio effettivo alla concretezza dell’azienda”, ciò che “non può valere a ribaltare un concetto di resa universalmente accolto, fate salve situazioni specifiche che avrebbero dovuto essere puntualmente specificate”.
Ed ha perciò concluso considerando non convincenti le motivazioni alla base della sentenza impugnata, perché fondate su elementi negativi mai seriamente provati dal contribuente, ne semplicemente addotti con generiche formulazioni.
Ia sentenza impugnata è quindi immune dai vizi ad essa addebitati.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi euro 2.000, oltre alle spese prenotate a debito.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione ordinanza n. 13217 depositata il 27 aprile 2022 - Incorre nel divieto di proporre nuove eccezioni di cui all’art. 57, comma 2, del lgs. n. 546 del 1992, se deduce per la prima volta in appello le eccezioni in senso tecnico, ossia…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 26 novembre 2020, n. 26974 - Nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto all'art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto,…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 11724 depositata il 12 aprile 2022 - Il divieto di nuove eccezioni in appello si riferisce esclusivamente alle eccezioni in senso stretto o proprio, rappresentate da quelle ragioni delle parti sulle quali il giudice…
- Corte di Cassazione sentenza n. 25629 depositata il 31 agosto 2022 - Il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto sempre dall'art. 57 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, riguarda le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 28952 depositata il 5 ottobre 2022 - Il divieto di ultrapetizione e quello di proporre in appello nuove eccezioni (non rilevabili d'ufficio) posto dall'art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, riguarda eccezioni in…
- Corte di Cassazione sentenza n. 16095 depositata il 19 maggio 2022 - Il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto all'art. 57, secondo comma, d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…