La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 26290 depositata il 25 novembre 2013 intervenendo in tema di licenziamento ha chiarito che deve considerarsi legittimo il provvedimento espulsivo nei confronti del lavoratore che viene scovato a lavorare presso altro datore di lavoro in concomitanza del periodo di malattia. La Corte Suprema ha precisato che ai fini del riconoscimento della giusta causa di licenziamento, non solo risulta determinante lo svolgimento della prestazione lavorativa senza dimostrazione che la stessa risulti compatibile con lo stato di malattia, altresì deve essere considerata l’irreparabile lesione del vincolo fiduciario nei confronti del datore di lavoro.
La vicenda ha riguardato un dipendente che era assente per malattia e che durante tale periodo era stato ripreso da un ’agenzia investigativa ingaggiata dal datore mentre con tanto di guanti spazza all’esterno della pizzeria dove lavora la moglie. In seguito alla procedura disciplinare iniziata nei sui confronti, la stessa sic concludeva con il suo licenziamento.
Il dipendente impugnava il provvedimento di espulsione inanzi al Tribunale, in veste di giudice del lavoro, che rigettava la domanda proposta dal lavoratore intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato con la conseguente condanna della società alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno.
Il dipendente impugna la decisione del giudice di prime cure inanzi alla Corte di Appello che confermava la sentenza del Tribunale ritenendo sussistente la giusta causa del licenziamento valutando corretta la ricostruzione in fatto compiuta nella sentenza di primo grado ed in particolare riteneva che fosse risultato provato che il R., nei giorni in cui era stato assente per malattia cd infortunio, aveva svolto altra attività lavorativa come attestato da riprese filmate effettuate da una agenzia investigativa privata all’esterno del pubblico esercizio (birreria-pizzeria) ove lavorava sua moglie.
Il dipendente per la cassazione di tale sentenza propone ricorso, affidato ad un unico motivo articolato in più violazioni di legge ed in un vizio motivazionale, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini rigettano il ricorso è puntualizza che la condotta del dipendente pregiudica le prospettive di guarigione del lavoratore configura una gravità tale da inficiare radicalmente il rapporto fiduciario con il datore. Tale ultimo aspetto risulta essere la ragione maggiormente stringente ai fini del riconoscimento della legittimità del presupposto della giusta causa. Inoltre, i giudici di legittimità, hanno evidenziato che «il mero pericolo di aggravamento delle condizioni di salute o di ritardo nella guarigione del lavoratore medesimo, può configurare un grave inadempimento comportante un serio pregiudizio all’interesse del datore di lavoro, risultando violati gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro allorché la natura dell’infermità sia stata giudicata, con valutazione ex ante, incompatibile con la condotta tenuta dal dipendente». Per cui alla luce di tale principio il lavoratore deve astenersi da qualsiasi condotta che può pregiudicare le sue prospettive di guarigione: al contrario, il colpevole inadempimento configura una gravità tale da inficiare radicalmente il rapporto fiduciario. E ancora: «Deve pure osservarsi che non può ritenersi estraneo al giudizio vertente sul corretto adempimento dei doveri di buona fede e correttezza gravanti sul lavoratore un comportamento che, inerente ad attività extralavorativa, denoti l’inosservanza di doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre a essere dimostrativa dell’inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l’espletamento di un’attività ludica o lavorativa».
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