Corte di Cassazione sentenza n. 19284 del 22 settembre 2011
SICUREZZA SUL LAVORO – DATORE DI LAVORO – RESPONSABILITÀ DELLA CONDOTTA DEL LAVORATORE – POSIZIONE DI LAVORO ANOMALA
massima
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In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di responsabilità del datore di lavoro la condotta del lavoratore è abnorme, divenendo unico elemento causale del fatto, solo quando assume le connotazioni dell’inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, non già quando sia caratterizzata da imprudenza, imperizia o negligenza.
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Fatto
1. Con ricorso depositato in data 30 gennaio 2001 avanti al competente giudice del lavoro del Tribunale di Padova, C.V. chiedeva nei confronti del datore di lavoro S. s.p.a. la declaratoria di illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per due giorni, irrogatale in data 10 novembre 1999; la condanna al risarcimento del danno per essere stata adibita a far data dall’11 ottobre 1999 a mansioni inferiori; il risarcimento dei danni patiti a seguito di infortunio sul lavoro occorsole in data 18 aprile 2000 da addebitarsi a responsabilità della società datrice; il pagamento della retribuzione del mese di luglio 2000 e della tredicesima mensilità per quell’anno.
Si costituiva la società datrice per contestare la fondatezza delle domande; comunque chiedeva ed otteneva con riferimento alla domanda risarcitoria per infortunio sul lavoro la chiamata in causa della società assicuratrice A. per essere man levata da quanto in ipotesi tenuta a pagare alla ricorrente.
Si costituiva anche detta società che si associava alle difese sviluppate dalla società assicurata.
In corso di causa interveniva conciliazione giudiziale con riferimento alle domande eccezion fatta per quella attinente il risarcimento dei danni da infortunio sul lavoro.
La causa era istruita con l’espletamento di due C.T.U., l’una di natura medico-legale e l’altra per gli aspetti strettamente tecnici ed antinfortunistici.
All’esito il tribunale di Padova con sentenza in data 29 gennaio 2003 – 18 marzo 2004 rigettava la domanda della lavoratrice compensando le spese di causa.
2. Con ricorso depositato in data 10 giugno 2004 l’originaria ricorrente appellava la sentenza; resistevano gli appellati.
La Corte d’appello di Venezia con sentenza del 20 giugno 2006 – 6 settembre 2006 in accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza appellata, dichiarava la responsabilità della società datrice S. s.p.a., in persona del legale rappresentante, nella causazione dell’infortunio dedotto in causa, e conseguentemente la condannava al risarcimento del danno in favore dell’appellante che liquidava in complessivi curo 8.937,16 somma che andava devalutata dal 31 dicembre 2003 alla data del 18 aprile 2000 poi annualmente rivalutata in applicazione degli indici di cui all’art. 150 disp. att. c.p.c. ed aumentata degli interessi legali sulla somma annualmente rivalutata fino al saldo. Condannava la società A. a manlevare la società datrice di lavoro. Compensava per un quarto le spese di entrambi i gradi che per il resto liquidava in favore dell’appellante.
3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società con quattro motivi.
Resiste con controricorso la lavorati ree intimata.
Non ha svolto difesa alcuna la società S. s.p.a..
Diritto
1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Con i primi due motivi la società denuncia vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia attinente la forza richiesta per l’azionamento della fustellatrice ed il numero di volte di azionamento giornaliero della pressetta. Sostiene la ricorrente che lo sforzo necessario per eseguire l’operazione completa di taglio non era gravoso e corrispondeva a poco più di 2 kg. Tale errore deriva dalla travisata interpretazione della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal tribunale di Padova, da cui inoltre emergeva che l’operazione era compiuta mediamente cinque volte al giorno mentre nella motivazione dell’impugnata sentenza si dice che il lavoro della fustellatrice avveniva circa quindici volte in un turno di lavoro.
Con il terzo ed il quarto motivo la società ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2087 del codice civile e pone rispettivamente i seguenti quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c. dica la corte se dall’art. 2087 possa desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno ovvero al contrario se tale obbligo sia riferito alle sole situazioni potenzialmente dannose per l’alta percentuale di danni che possono provocare in una relazione causale diretta tra danno e il rischio specifico dell’attività in ragione della loro natura o per la natura dei mezzi adoperati con riferimento alla concretezza dell’impegno richiesto a uno specifico lavoratore; inoltre dica la corte se dall’art. 2087 ovvero dagli artt. 3 e 4 d.lgs. n. 626 del 1994 possa desumersi o meno la prescrizione di un obbligo per il datore di lavoro di adottare ogni cautela possibile al fine di rendere più confortevole ed agiata la attività del prestatore di lavoro indipendentemente da ogni questione di sicurezza e prevenzione degli infortuni.
2. Il ricorso è nel suo complesso infondato.
3. Sono inammissibili i primi due motivi di ricorso perché consistono essenzialmente in censure di fatto ed esprimono un dissenso valutativo della società afferente le risultanze probatorie e in particolare quelle della consulenza tecnica. I giudici di merito con un apprezzamento ad essi devoluto e non censurabile in sede di legittimità perché assistito da motivazione sufficiente e non contraddittoria hanno ritenuto che razionamento della fustellatrice richiedesse uno sforzo tale da causare in un’occasione l’infortunio sul lavoro subito dalla lavoratrice.
4. Infondati sono poi gli altri due motivi che censurano invece violazione di legge. Questa corte ha più volte ritenuto che la prescrizione posta dall’art. 2087 cc. ha carattere residuale e rappresenta una norma di chiusura del sistema delle disposizioni di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Questa Corte (Cass., sez. lav., 23 settembre 2010, n. 20142) ha infatti più volte affermato che l’art. 2087 cod. civ. opera come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, imponendo al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l’integrità fisica del lavoratore assicurato, sempre che sussista il nesso causale tra la violazione della misura di cautela e l’evento lesivo patito dal lavoratore.
Nella specie la corte d’appello ha verificato con una valutazione di merito che l’attività della lavoratrice era necessariamente svolta in una posizione che comportava per la lavoratrice stessa dei movimenti anomali che avrebbero potuto cagionarle – come in effetti è stato – un danno alla sua integrità fisica. La corte distrettuale ha anche rilevato che dopo l’infortunio patito dalla lavoratrice è stata abbassata la superficie del tavolo di lavoro per facilitare l’uso della fustellatrice in modo da renderle più adatta la posizione di lavoro dal punto di vista della ergonomia. La corte d’appello ha tratto da questa misura adottata successivamente ulteriore ragione di convincimento dell’anomalia della posizione di lavoro in cui in precedenza era costretta la lavoratrice.
5. Il ricorso va quindi rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo in favore della parte costituita; mentre non occorre provvedere in proposito per la parte intimata che non ha svolto difesa alcuna.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in euro 50,00 oltre euro 3.000,00 (tremila) per onorario d’avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali in favore della parte costituita; nulla sulle spese per la parte non costituita.
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