Corte di Cassazione sentenza n. 1558 del 23 gennaio 2013
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – TEMPESTIVITÀ DELL’ESERCIZIO DELL’AZIONE DISCIPLINARE – VALUTAZIONE – CRITERI – RAPPORTO TRA PROCEDIMENTO PENALE E PROCEDIMENTO DISCIPLINARE – RILEVANTE INTERVALLO DISCIPLINARE TRA I FATTI DI RILIEVO DISCIPLINARE E L’ESERCIZIO DEL POTERE DISCIPLINARE – ONERE PROBATORIO DEL DATORE DI LAVORO – CONTENUTO
massima
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In tema di licenziamento disciplinare, ove sussista un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l’esercizio del potere disciplinare, la tempestività di tale esercizio deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilità del fatto, nelle sue linee essenziali, al lavoratore medesimo, la cui prova è a carico del datore di lavoro, senza che possa assumere autonomo ed autosufficiente rilievo la denunzia dei fatti in sede penale o la pendenza stessa del procedimento penale, considerata l’autonomia tra i due procedimenti, l’inapplicabilità, al procedimento disciplinare, del principio di non colpevolezza, stabilito dall’art. 27 Cost. soltanto in relazione al potere punitivo pubblico, e la circostanza che l’eventuale accertamento dell’irrilevanza penale del fatto non determina di per sé l’assenza di analogo disvalore in sede disciplinare.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al G.L. del Tribunale di Palermo, L. B. N., dipendente di I. S. P. SPA, già S. P. I. SPA, impugnava il licenziamento disciplinare che gli era stato intimato con atto in data 31.3.2006, deducendone l’illegittimità per la violazione dei principi di tempestività e di specificità della contestazione, oltre che per l’infondatezza nel merito dell’addebito.
La società convenuta, I. S. P. SPA, già S. P. I. SPA, resisteva alle domande, esponendo che, a seguito di una richiesta, inoltratale dal Reparto Operativo del Comando Provinciale dei Carabinieri Regione Veneto e volta a sollecitarla ad effettuare le necessarie indagini al fine di verificare il contenuto di alcune missive intimidatorie inviate a tale T. S. presso la casella di posta elettronica, era stati svolti degli accertamenti, da parte della Funzione Architettura e Sicurezza, che si erano conclusi con relazione inviata il 3.12.2003 e, nuovamente il 16.2.2004. Evidenziava che dai detti accertamenti il L. B. era risultato, si, fortemente indiziato, ma non autore certo delle missive intimidatorie. Faceva anche presente che per i detti fatti – come da notizia assunta attraverso il quotidiano del 18.10.2005 “L. T. di T.” – il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Treviso aveva rinviato a giudizio il L. B.. Precisava che il 23.11.2005 aveva formulato la contestazione di addebito a carico del L. B. e che il ritardo era giustificato dal fatto che si era ritenuto opportuno attendere l’esito del giudizio penale del lavoratore e dalla complessità della struttura organizzativa datoriale.
La causa, con sentenza n. 2970/07 emessa il 12.7.2007 veniva decisa dal G.L. del Tribunale di Palermo, che, ritenuto legittimo il licenziamento intimato dall’Istituto di credito al L. B., rigettava la domanda.
Avverso la suddetta statuizione proponeva appello L. B. N. deducendone l’erroneità.
Si costituiva l’I. S. P. SPA, già S. P. I. SPA che, deducendo l’infondatezza del gravame, chiedeva confermarsi l’appellata sentenza.
Con la sentenza del 26.3.2009 – 7 maggio 2009 la corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato da I. S. P. SPA, già S. P. I. SPA, a L. B. N. e, per l’effetto condannava la detta società a reintegrare il L. B. nel suo posto di lavoro ed a risarcirgli il danno commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento alla reintegra; condannava I. S. P. SPA, già S. P. I. SPA, a pagare a L. B. N. le spese di lite relative ad entrambi i gradi del giudizio.
Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società I. S. P. s.p.a. con quattro motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata che ha proposto anche ricorso incidentale condizionato, cui resiste la parte ricorrente con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale è articolato in quattro motivi.
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300 del 1970 con particolare riguardo al principio di immediatezza della contestazione disciplinare, e degli artt. 2119, 1175 e 1375 c.c. anche in relazione all’art. 33 del contratto collettivo nazionale di lavoro dell’11 luglio 1999 e di quadri direttivi e del personale delle aree professionali dipendenti da aziende di credito, finanziarie e strumentali.
Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la carenza di motivazione in ordine al fatto controverso decisivo per il giudizio, rappresentato dal contenuto della lettera del 12 dicembre 2003 dell’allora S. P. di al signor N. L. B..
Con il terzo motivo la società ricorrente deduce la carenza della motivazione in ordine al fatto controverso e decisivo, costituito dalia ritenuta sussistenza, già prima ed a prescindere da procedimento penale e dalla confessione del L. B., degli elementi di prova in ordine alla ascrivibilità al lavoratore dei fatti e oggetto di contestazione.
Con il quarto motivo la società denuncia la carenza di motivazione su un fatto controverso e decisivo, costituito dalla condotta del lavoratore che, avendo omesso di seguire la comunicazione di cui all’art. 33 del contratto collettivo nazionale di lavoro al datore di lavoro dell’avvio del procedimento penale a suo carico, aveva determinato che egli stesso il ritardo nell’acquisizione da parte del medesimo datore di elementi di prova a suo carico.
Con il ricorso incidentale il ricorrente deduce la carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine al fatto controverso decisivo costituito dalla genericità delta contestazione disciplinare.
Deduce poi la carenza di motivazione in ordine alla mancata proporzionalità della sanzione espulsiva.
I giudizi promossi con il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno riuniti, avendo ad oggetto la stessa sentenza impugnata.
Il ricorso principale – i cui motivi possono essere esaminali congiuntamente – è infondato.
La Corte d’appello ha puntualmente scandito la sequenza dei fatti per pervenire al motivato convincimento del difetto di tempestività della contestazione dell’addebito posto a fondamento del licenziamento disciplinare.
Il fatto addebitato (utilizzo anomalo ed abusivo dell’accesso ad Internet mediante collegamento aziendale) risale all’ottobre-novembre 2003 ed ha dato luogo ad una prima relazione ispettiva della banca del 3 dicembre 2003. Con nota del 12 dicembre 2003, comunicata al L. B., la banca richiamava gli accertamenti ispettivi fatti dai quali risultava l’utilizzo anomalo ed abusivo dell’accesso ad Internet mediante collegamento aziendale e faceva riserva di approfondimenti. Seguiva una seconda relazione ispettiva del 16 febbraio 2004.
Intanto la vicenda dell’invio da parte del L. B. di e-mail minacciose a suoi colleghi aveva un seguito penale che si concludeva con sentenza di patteggiamento del 30 novembre 2005, sentenza che la banca ricorrente riconosce di aver conosciuto in data 1 dicembre 2006 (rectius 2005). Intanto il 23 novembre 2005 perveniva a L. B. la contestazione della mancata comunicazione alla banca della pendenza di un procedimento penale (ex art. 33 c.c.n.l.) cui seguiva l’irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per un giorno. Nel gennaio 2006 la banca richiedeva informazioni al dipendente in ordine al suddetto procedimento penale, che le forniva in data 23 gennaio 2006. A questo punto interveniva la contestazione di addebito del 10 febbraio 2006 in cui la banca richiamava i contenuti della relazione del 13 dicembre 2005, relazione da cui – secondo la banca – emergevano gravissimi indizi a carico del dipendente quale potenziale autore di messaggi di posta elettronica anonimi dal contenuto pesantemente offensivo ed intimidatorio e destinati ad altri dipendenti della banca stessa. Seguivano le giustificazioni del dipendente (3.3.2006), la sua audizione (15.3.2006) ed infine l’intimazione del licenziamento disciplinare del 31 marzo 2006.
Ciò posto, correttamente la Corte d’appello ha considerato che l’Istituto di Credito, pur a conoscenza delle menzionate relazioni ispettive del 2003, suffragate, poi, dalla definizione del giudizio penale con l’applicazione della pena su richiesta, non aveva proceduto all’apertura del procedimento disciplinare nei confronti del L. B. se non oltre due anni dall’accertamento dei fatti; lasso di tempo questo non compatibile con il rispetto del principio di tempestività della contestazione dell’addebito.
In diritto va infatti ribadito che il datore di lavoro, quando ha sufficienti elementi per contestare l’addebito, deve farlo al fine di rispettare il canone di tempestività e non può aspettare l’esito del procedimento penale; può semmai sospendere il procedimento disciplinare in attesa dell’esito del procedimenti penale. Cfr. Cass., sez. lav., 26 marzo 2010, n. 7410, che ha affermato che in tema di licenziamento disciplinare, ove sussista un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l’esercizio del potere disciplinare, la tempestività di tale esercizio deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilità del fatto, nelle sue linee essenziali, al lavoratore medesimo, la cui prova è a carico del datore di lavoro, senza che possa assumere autonomo ed autosufficiente rilievo la denunzia dei fatti in sede penale o la pendenza stessa del procedimento penale, considerata l’autonomia tra i due procedimenti, l’inapplicabilità, al procedimento disciplinare, del principio di non colpevolezza, stabilito dall’art. 27 Cost. soltanto in relazione al potere punitivo pubblico, e la circostanza che l’eventuale accertamento dell’irrilevanza penale del fatto non determina di per sé l’assenza di analogo disvalore in sede disciplinare. Altresì cfr. Cass. sez. lav. 4 aprile 2007, n. 8401, che ha sottolineato che la discrezionalità del giudice nel valutare la tempestività della contestazione disciplinare deve svolgersi nell’ambito dei presupposti alla base del principio dell’immediatezza della contestazione, ossia del riconoscimento del pieno ed effettivo diritto di difesa garantito “ex lege” al lavoratore e del comportamento datoriale secondo buona fede. Parimenti Cass., sez. lav., 27 marzo 2008. n. 7983, ha ritenuto che la tempestività della contestazione di cui all’art. 7, secondo comma, legge n. 300 del 1970 va valutata in relazione al momento in cui i fatti a carico dei lavoratore, costituenti illecito disciplinare, appaiono ragionevolmente sussistenti; e quando il fatto costituente illecito disciplinare ha anche rilevanza penale, il principio dell’immediatezza della contestazione non può considerarsi violato quando il datore di lavoro, in assenza di elementi che rendano ragionevolmente certa la commissione del fatto da parte del dipendente, porti la vicenda all’esame del giudice penale, sempre che lo stesso si attivi non appena la comunicazione dell’esito delle indagini svolte in sede penale gli faccia ritenere ragionevolmente sussistente l’illecito disciplinare, non dovendo egli attendere la conclusione del processo penale.
Comunque nella specie difetterebbe il requisito della tempestività anche con riferimento al lasso di tempo tra conoscenza della sentenza penale (1.12.2005) e contestazione dell’addebito (10.2.2006).
In conclusione il ricorso principale va rigettato perché la corte d’appello con motivazione sufficiente e non contraddittoria ha accertato, nella specie, il difetto di tempestività della contestazione dell’addebito, che è tipica valutazione di merito.
Il ricorso incidentale è inammissibile perché ha ad oggetto questioni che la Corte d’appello ha ritenuto assorbite e che quindi non vedono il L. B. soccombente. Cfr. Cass., sez. I. 15 febbraio 200S, n. 3796, che ha affermato che nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, avendo il giudice di merito attinto la “ratio decidenti” da altre questioni di carattere decisivo, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio.
In conclusione il ricorso principale va rigettato: quello incidentale va dichiarato inammissibile.
Sussistono giustificati motivi (in considerazione della reciproca soccombenza) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile quello incidentale; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 16 ottobre 2012
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