CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 novembre 2013, n. 24903
Tributi – Accise e imposte di fabbricazione – Esenzioni – Allumina – Oli minerali impiegati nella produzione di ossido di alluminio (allumina) – Ambito di applicazione – Attività di trasformazione della bauxite in allumina – Prodotto ottenuto nella fase intermedia del ciclo produttivo – Idrossido di alluminio – Esenzione – Inapplicabilità
Premesso in fatto
1. Con sentenza n. 86/5/06, depositata il 27.10.06, la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla E. s.p.a. avverso la decisione di primo grado con la quale era stato parzialmente accolto il ricorso della contribuente nei confronti degli avvisi di pagamento, relativi all’accisa sull’olio combustibile denso, impiegato per la produzione di allumina, per gli anni dal 1999 al 2004.
2. La CTR – in parziale riforma della decisione di prime cure, limitatamente all’ammontare dell’imposta – riteneva, invero, che l’esenzione dall’accisa, prevista dall’ art. 24 del d.lgs. n. 504/95, fosse limitata all’olio combustibile denso impiegato per la produzione di ossido di alluminio, e non anche per la produzione dell’idrossido di alluminio, prodotto semilavorato, prodromico – nel ciclo di lavorazione – al bene finale, rappresentato, appunto, dal prodotto ottenuto dalla trasformazione della bauxite, privata dell’acqua di cristallizzazione.
3. Per la cassazione della sentenza n. 86/5/06 ha proposto ricorso la E. s.p.a. affidato a due motivi, ai quali l’Amministrazione ha replicato con controricorso e con memoria ex art. 378 c.p.c.
Osserva in diritto
1. Sulla base degli atti del presente giudizio, la vicenda processuale può essere ricostruita come segue.
L’E. s.p.a. esercita, nel Comune di Portoscuso (CA), l’attività di trasformazione, per conto terzi, della bauxite in allumina. Tale attività è svolta mediante utilizzo di olio combustibile denso, impiegato nel processo produttivo dell’alluminio metallurgico estratto dalla bauxite, per il cui utilizzo la contribuente gode dell’esenzione dall’accisa sui consumi dell’olio, contenuta nel punto 14 della Tabella A allegata al d.lgs. n. 504/95.
Il processo in questione, denominato “processo B.” – come descritto in ricorso e dall’impugnata sentenza – si articola in due fasi essenziali: 1) una sequenza di attività, raggruppabili sotto il nome di ciclo caustico, che sfocia nella produzione di allumina idrata, ossia di idrossido di alluminio o idrato; 2) una fase finale di calcinazione dell’idrato, diretta ad eliminare dall’idrossido di alluminio le molecole di acqua in esso presenti, ottenendo, in tal modo, l’allumina anidrata o ossido di alluminio. E’, pertanto, evidente che l’idrossido di alluminio costituisce un semilavorato, che può essere – come è, in concreto, accaduto nella vicenda in esame – in parte venduto sul mercato, in parte impiegato nella produzione dell’ossido di alluminio.
1.1. Orbene, sul presupposto che il predetto punto 14 della Tabella A allegata al d.lgs. n. 504/95 non prevede l’esenzione per l’utilizzo dell’olio combustibile denso impiegato per la produzione dell’idrossido di alluminio, l’Ufficio Tecnico di Finanza di Cagliari provvedeva ad effettuare, in data 19.5.04, una verifica presso lo stabilimento della società contribuente, a seguito della quale emergeva l’utilizzazione in esenzione da accisa, da parte della medesima, dell’olio combustibile denso anche per la quota (di circa il 7%) di prodotto impiegato per la produzione di idrossido di alluminio destinato alla vendita, mentre il residuo 93% del combustibile veniva utilizzato nella fase ulteriore del ciclo produttivo, destinata a sfociare nella produzione di ossido di alluminio.
Faceva seguito a tale verifica l’emissione, da parte dell’Ufficio Tecnico di Finanza di Cagliari, dell’avviso di pagamento del 30.6.04, con il quale veniva comunicato alla E. s.p.a. che la produzione di idrossido di alluminio, ceduto a terzi, non poteva rientrare, quanto all’impiego dell’olio combustibile denso, nell’esenzione da accisa, ai sensi del punto 14 della Tabella A allegata al d.lgs. n. 504/95. A seguito di istanza di autotutela presentata dalla contribuente, in data 6.10.04, l’Amministrazione annullava, peraltro, il suddetto avviso di pagamento, e ne emetteva un altro che teneva conto anche dei rilievi della E. s.p.a., in data 3.12.4, notificato il 9.12.04, per le annualità di imposta dal 1999 al 2004.
1.2. Il ricorso della E. s.p.a. alla CTP di Cagliari, nei confronti di tale ultimo provvedimento, veniva accolto dal giudice adito limitatamente all’intervenuta decadenza quinquennale, relativa al secondo semestre del 1999, mentre veniva respinto per il resto.
L’appello della contribuente avverso la decisione di prime cure veniva, altresì, disatteso con la sentenza n. 86/5/06, gravata da ricorso per cassazione da parte dell’E. s.p.a., affidato a due motivi.
2. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 del d.lgs. n. 504/95 e del punto 14 della Tabella A allegata al d.lgs. n. 504/95, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., nonché l’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
2.1. Avrebbe, invero, errato la CTR, a parere della E. s.p.a., nel non accogliere – con sentenza carente anche sul piano motivazionale, in special modo in relazione al punto pregiudiziale relativo alla dedotta identità sostanziale tra ossido ed idrossido di carbonio -l’interpretazione estensiva del punto 14 della Tabella A allegata al d.lgs. n. 504/95, proposta dalla contribuente, e fondata sulla considerazione che, alla stregua delle norme succitate, oggetto dell’agevolazione fiscale in discussione sarebbe l’utilizzo di olio combustibile denso impiegato nel processo di produzione dell’allumina, tanto nella forma dell’idrossido, quanto in quella dell’ossido di alluminio, stante la sostanziale identità tra i due risultati della lavorazione della bauxite.
2.2. Il motivo è infondato.
2.2.1. Va – per vero – osservato, al riguardo, che l’autorizzazione all’esenzione dall’accisa sugli oli minerali – in deroga alla Direttiva CE 92/82, sull’ armonizzazione della struttura delle accise sugli oli minerali, e che stabilisce aliquote minime di accisa su tale prodotto – è stata concessa dalla Decisione del Consiglio n. 224/2001 del 12.3.01, che ha consentito all’Italia – unitamente ad altri Stati membri – “l’esenzione dall’accisa sugli oli minerali usati come combustibili per la produzione di allumina in Sardegna”.
Orbene, il concetto di “allumina” è stato chiarito dalla giurisprudenza comunitaria nelle sentenze del Tribunale di 1° Grado CE, 1.12.07, T-50, 56, 60, 62 e 69/06 e Tribunale di 1° Grado CE, 21.3.12, T-50, 56, 60, 62, 69/06, relative alla medesima questione, nelle quali l’allumina (prodotta dalla ricorrente, espressamente menzionata in dette decisioni) viene definita come “ossido di alluminio”, “ricavato dalla bauxite mediante un processo di raffinazione, la cui ultima fase consiste nella calcinazione”, che si è detto essere quella parte del procedimento B. finalizzata ad eliminare dall’idrossido di alluminio le molecole di acqua di cristallizzazione in esso presenti, ottenendo, in tal modo, l’allumina anidrata o ossido di alluminio, per la cui produzione è utilizzato olio combustibile in esenzione da accisa.
Sembra evidente, allora, che “l’idrossido di alluminio”, quale semilavorato nella produzione dell’ossido, ottenuto dalla trasformazione della bauxite, privata dell’acqua di cristallizzazione, non è preso in considerazione alcuna, ai fini dell’esenzione da accisa, nella normativa e nella giurisprudenza comunitaria; entrambe – si badi – relative specificamente alla produzione oggetto della presente controversia.
2.2.2. Ma ad identica conclusione deve pervenirsi alla stregua del diritto nazionale, che – peraltro – non potrebbe, sul punto, essere mai difforme dal succitato diritto comunitario cogente.
Ed invero, va considerato che l’art. 24 del d.lgs. 504/95 (testo unico sulle accise) dispone, in proposito, che “gli oli minerali destinati agli usi elencati nella tabella A, allegata al presente testo unico, sono ammessi ad esenzione o all’aliquota ridotta nella misura ivi prevista”. Ed il punto 14 della predetta Tabella dispone, per l’appunto, che è “esente” la “produzione di ossido di alluminio e di magnesio da acqua di mare”.
Se ne deve necessariamente inferire, pertanto, che il diritto nazionale è perfettamente conforme al diritto comunitario, nel limitare l’esenzione dall’accisa all’olio combustibile denso impiegato per realizzare il prodotto finale, ovverosia quello che si ottiene con l’ultima fase del processo di produzione, e cioè con la calcinazione, mediante la quale l’idrossido di alluminio viene privato delle molecole di acqua di cristallizzazione. Nelle succitate disposizioni dei due ordini normativi, nazionale e comunitario, invero, nessun riferimento è operato neppure ad un utilizzo, in esenzione da imposta, del prodotto combustibile in parola nel processo produttivo tout court, sì da potersene inferire l’applicabilità del beneficio fiscale anche alla fase di lavorazione diretta ad ottenere il semilavorato (idrossido di alluminio) destinato alla vendita.
2.2.3. D’altro canto, deve considerarsi, al riguardo, che sia le esenzioni o le agevolazioni, che il rimborso o lo sgravio delle imposte armonizzate (come i dazi all’importazione o all’esportazione e le accise), che possono essere concessi solo a determinate condizioni ed in casi specificamente previsti, costituiscono un’eccezione rispetto al normale regime dei tributi summenzionati, con la conseguenza che le disposizioni che prevedono siffatti benefici devono essere sempre interpretate restrittivamente (cfr. Trib 1° grado CE, 12.2.04, T-282/01, punto 55, C. Giust. CE, 1.10.09, C-552/08). E’, pertanto, di tutta evidenza che, nel caso di specie, – a fronte del dato testuale inequivocabile, desumibile sia dalle norme interne che da quelle comunitarie – l’interpretazione estensiva proposta dalla società contribuente, in ordine al divisato ampliamento dei casi di esenzione dell’accisa in questione, non può trovare accoglimento.
2.2.4. Per tutte le considerazioni che precedono, pertanto, la censura suesposta deve essere disattesa.
3. Con il secondo motivo di ricorso, la E. s.p.a. denuncia la violazione degli art. 61 c.p.c. e 7 d.lgs. 546/92, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
3.1. Il punto controverso che avrebbe dato luogo, invero, alla violazione delle norme suindicate, e sul quale la motivazione dell’impugnata sentenza si paleserebbe carente e contraddittoria, sarebbe costituito – a parere della ricorrente – dalla determinazione della cifra dell’olio combustibile denso che sarebbe soggetta ad accisa, poiché impiegata – nel periodo 10.12.99-30.4.04 – nella produzione di idrossido di alluminio alienato a terzi. Tale questione, relativa al quantum della pretesa fiscale azionata dall’Amministrazione, era stata, invero, proposta dalla E. s.p.a., nel giudizio di merito, per l’ipotesi in cui non si fosse ritenuta applicabile, all’utilizzo del combustibile in parola per la produzione di idrossido di alluminio, l’esenzione da accisa prevista dalla normativa nazionale e comunitaria summenzionate. L’acquisizione del dato numerico in questione presuppone – com’è evidente – l’individuazione del criterio da adottare per la determinazione del quantum di detto impiego, che si fonderebbe – a parere della ricorrente – su delicate e complesse questioni tecniche, da dirimere – per di più – nell’evidente contrasto delle posizioni delle parti contrapposte.
3.1.1. Ed invero, per l’Amministrazione, il criterio corretto sarebbe stato quello proporzionale, fondato sul presupposto che il consumo specifico di combustibile riferito ad ogni tonnellata aggiuntiva di prodotto sia sempre costante, ovverosia che il consumo unitario di combustibile sia identico, tanto per l’idrato da calcinare, quanto per quello venduto tal quale. Sicché ad aumento della produzione corrisponderebbe – in misura proporzionale – l’aumento del consumo dell’olio combustibile denso.
3.1.2. Di contro, secondo le deduzioni dell’E. s.p.a. – fondate sulla perizia di parte redatta dal prof. A.V., ordinario di ingegneria chimica presso l’Università di Cagliari, e trascritta nei passaggi essenziali in ricorso – il surplus di idrossido venduto a terzi costituirebbe, bensì, “una produzione incrementale rispetto all’output di semilavorato che, in base alla capacità produttiva degli impianti, può essere sottoposto alla fase finale della calcinazione”, e tuttavia si tratterebbe di una produzione che potrebbe essere effettuata senza un significativo incremento di consumo dell’olio combustibile in discussione. Ed infatti, a parere della ricorrente, “in assenza di tali vendite il livello di produzione dell’idrato dovrebbe essere conseguentemente ridotto, dal momento che non è possibile trasferire ai forni la stessa quantità di idrato, essendo ormai i forni al massimo della loro potenzialità”. E pertanto, la crescita del consumo di olio combustibile imputabile alla produzione incrementale sarebbe dovuta – secondo la ricorrente – solo in minima parte (kg. 23/t) a perdite variabili dipendenti dal maggior carico produttivo, atteso che “il processo produttivo ha delle perdite fisse di calore che sono indipendenti dal volume della produzione (kg. 157/t)” e alle quali sarebbe massimamente da ascrivere l’incremento del consumo del combustibile in parola. La similitudine addotta al riguardo dal consulente di parte dell’E. sarebbe, invero, quella tra l’impianto in questione ed un grosso mezzo di trasporto “per il quale un modesto aumento del carico o del numero dei passeggeri trasportati poco influenza il consumo di carburante, essendo questo in gran parte determinato dalla struttura e dalle caratteristiche del mezzo stesso”.
3.2. Orbene, osserva l’E. s.p.a. che nell’impossibilità di fornire altri mezzi di prova a sostegno del proprio assunto – fondato su argomentazioni di natura squisitamente tecnica, supportate da consulenza di parte, circa l’andamento non lineare, ma regressivo, del consumo di combustibile al crescere della produzione – la CTR non avrebbe potuto esimersi dalla nomina di un consulente tecnico d’ufficio (in prosieguo c.t.u.), che, nella specie, avrebbe dovuto individuare e valutare l’oggetto stesso della prova (cd. consulente percipiente).
4. Il motivo è fondato.
4.1. L’iter motivazionale della decisione della CTR si fonda, invero, su asserzioni che – in quanto sfornite del necessario supporto tecnico – si traducono in affermazioni apodittiche, del tutto inidonee a delineare un percorso argomentativo coerente ed immune da vizi logici e tecnici. Ed invero, il giudice di appello ha ritenuto il criterio di determinazione del quantum dell’impiego nella produzione di idrossido di alluminio soggetto ad accisa, proposto dalla contribuente, non convincente, “perché basato su affermazioni e considerazioni di parte non suffragate da dati certi di riferimento”.
Inoltre, a parere della CTR, il surplus di produzione, relativo all’idrossido venduto, sarebbe determinato dalla “maggiore capacità produttiva degli impianti”, riferita all’intero ciclo della lavorazione, che deriverebbe dall’esecuzione dell’intero ciclo di produzione, senza che sia possibile, pertanto, estrapolare da esso i vantaggi economici che, secondo la E., si conseguirebbero con le quantità di semilavorato incrementali, destinate alla vendita. Per il che, a parere della CTR, mentre le “affermazioni di parte sul risparmio energetico appaiono apodittiche perché non suffragate né suffragabili da riscontri oggettivi”, per converso, “nella quantificazione del costo di produzione apparirebbe congruo il criterio adottato dall’Ufficio, anche perché supportato dai dati forniti dalla parte, che non ne contesta il criterio di determinazione, ma l’entità da assoggettare ad accisa”. Da tali rilievi, pertanto, secondo il giudice di appello, ne uscirebbe confermata “la non necessità di accogliere l’istanza di nomina di un C.T.U.”.
4.2. Ciò posto, è del tutto evidente – a giudizio della Corte – la contraddittorietà, insufficienza ed erroneità da cui è affetta la motivazione dell’impugnata sentenza.
4.2.1. Il giudice di appello ha – per vero – ritenuto le argomentazioni tecniche della parte privata “non suffragate da dati certi di riferimento”, nonché “apodittiche perché non suffragate né suffragabili da riscontri oggettivi”. Nondimeno, il medesimo ha ritenuto di denegare, senza adeguata motivazione, la richiesta dell’E. di nomina di un c.t.u.
Orbene, questa Corte ha più volte avuto modo di ribadire che il principio secondo cui il provvedimento che disponga, o no, la consulenza tecnica, rientrando nel potere discrezionale del giudice del merito, è incensurabile in sede di legittimità, deve essere contemperato con quello secondo il quale il giudice stesso deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata in merito ad una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, in relazione alla quale la consulenza può profilarsi come lo strumento più funzionale ed efficiente di indagine. Non va, difatti, tralasciato di considerare che la consulenza tecnica d’ufficio può costituire fonte oggettiva di prova, tutte le volte in cui essa operi – non come strumento di mera valutazione di fatti già accertati, cd. consulente deducente – bensì come mezzo di accertamento di situazioni di fatto rilevabili esclusivamente attraverso il ricorso a determinate cognizioni tecniche (cd. consulente percipiente) (cfr. Cass. 3990/06, 6155/09).
Sicché la consulenza è – in definitiva – un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al potere discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il duplice limite del divieto di servirsene per sollevare le parti dall’onere probatorio e dell’obbligo di motivare il rigetto della relativa richiesta. Ne consegue che il giudice che non disponga la consulenza richiesta dalla parte è tenuto a fornire adeguata dimostrazione – suscettibile di sindacato in sede di legittimità – di potere risolvere, sulla base di corretti criteri, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potere, per converso, disattendere l’istanza stessa ritenendo non provati i fatti che questa avrebbe, verosimilmente, accertato (Cass. 15136/00, 88/04).
4.2.2. Ebbene, alla luce di tali principi, è di tutta evidenza che il giudicante di seconde cure non avrebbe potuto disattendere la richiesta di c.t.u., in una materia nella quale – per il suo carattere tecnicospecialistico – la consulenza rivestiva indubbiamente la natura di fonte oggettiva di prova dei fatti allegati dalla parte istante, per di più, contestualmente affermando che tali fatti erano rimasti privi di un riscontro oggettivo sul piano probatorio. Le argomentazioni del giudice di appello si palesano, dipoi, del tutto contraddittorie, nella parte in cui la CTR ha ritenuto che la contribuente non avesse contestato il criterio di determinazione adottato dall’Ufficio, laddove il punto più controverso della vicenda processuale si incentrava proprio sull’individuazione del criterio di computo della cifra di olio combustibile denso utilizzato nella produzione, non esente da accisa, dell’idrossido di alluminio. Va osservato, inoltre, che la necessità dell’accertamento peritale in discussione, nel caso concreto, era tanto più evidente, in quanto le deduzioni difensive della contribuente erano supportate da una relazione di consulenza di parte redatta da un docente universitario, esperto della materia. Se è vero, infatti, che la consulenza di parte costituisce una mera allegazione difensiva della quale il giudicante può anche non tenere conto ai fini della decisione, deve rilevarsi, tuttavia, che gli accertamenti tecnici stragiudiziali allegati da una parte – la cui produzione è ammissibile anche nel processo tributario di appello, in forza del disposto dell’art. 58 d.lgs. 546/92 (Cass. 23590/11) – sebbene contestati dalla controparte, sono idonei, nondimeno, a costituire indizi tali da giustificare un approfondimento istruttorio, secondo i principi di disposizione della prova e del libero e motivato convincimento del giudice, ex artt. 115 e 116 c.p.c. (Cass. 5544/99, 12617/02).
4.2.3. Nel caso di specie, pertanto, deve conclusivamente ritenersi che le diffuse ed approfondite argomentazioni del consulente di parte della E. s.p.a., le critiche mosse, al riguardo, dall’Amministrazione, le profonde differenziazioni sussistenti tra i criteri sostenuti da entrambe le parti – che per la loro attinenza ad una materia altamente specialistica e connotata da profili tecnici di rilevante complessità, sicuramente esulano dal notorio conoscibile dal giudice sulla base della propria esperienza – avrebbero richiesto una motivazione, da parte della CTR, in relazione al diniego di un approfondimento istruttorio mediante ammissione della chiesta c.t.u., più coerente ed adeguata, sotto il profilo logico e tecnico.
Per tali ragioni, dunque, la censura in esame non può che essere accolta.
5. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR della Sardegna che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, valutando la richiesta di c.t.u., proposta dalla E. s.p.a., alla luce di principi di diritto suesposti.
6. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Sardegna, che provvederà alla liquidazione anche delle spese del presente giudizio.
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