IRDCEC – Documento 01 dicembre 2013, n. 27
Profili fiscali del fondo patrimoniale
Il fondo patrimoniale, introdotto in occasione della riforma del diritto di famiglia, affonda le sue origini nell’istituto del patrimonio familiare, caratterizzato da una regolamentazione più conforme alla concezione giuridico-sociale del nucleo familiare vigente negli anni antecedenti la cennata riforma (NOTA 1).
Il patrimonio familiare poteva avere ad oggetto soltanto beni immobili o titoli di credito (nominativi o con annotazione del vincolo) e poteva essere costituito da uno o da entrambi i coniugi con beni appartenenti ai rispettivi patrimoni o anche da un terzo, il quale poteva riservarsi la proprietà del bene concedendone il solo godimento. Ai sensi dell’art. 173 c.c., nella dicitura originaria, l’amministrazione del fondo spettava al coniuge proprietario o a quello designato; in mancanza, l’amministrazione spettava al marito. Il soggetto incaricato dell’amministrazione dei beni del fondo, la cui titolarità competeva ad altri soggetti, era tenuto alle obbligazioni normalmente a carico dell’usufruttuario.
Come l’usufruttuario, pertanto, era tenuto a dichiarare i redditi percepiti dai beni appartenenti al patrimonio. Ove l’amministratore fosse stata la moglie, infine, in costanza del vincolo matrimoniale, i redditi dei beni appartenenti al patrimonio familiare avrebbero dovuto essere cumulati con quelli del marito alla stessa stregua dei beni dotali e di quelli parafernali.
Sommario: 1. La disciplina codicistica del fondo patrimoniale. – 2. L’esecuzione sui beni destinati al fondo patrimoniale. – 3. La titolarità dei beni destinati al fondo patrimoniale. – 4. Profili di imposizione diretta. – 5. Modelli impositivi applicabili all’atto di costituzione del fondo patrimoniale.
1. La disciplina codicistica del fondo patrimoniale
L’art. 167 c.c., nel tenore testuale vigente a seguito della riforma del diritto di famiglia, prevede che il fondo patrimoniale possa essere costituito dai due coniugi con atto pubblico o da un terzo, anche mediante testamento, e consistere nella destinazione di determinati beni al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, al fine di garantire a questa ultima una certa stabilità economica nel caso di dissesto dei singoli patrimoni dei coniugi.
Conseguentemente, nella misura in cui i frutti provenienti dai beni appartenenti al fondo sono in grado di assicurare alla famiglia il tenore di vita prescelto, i coniugi possono, legittimamente, sottrarre alla contribuzione ai bisogni familiari sia i beni personali che quelli in comunione legale. Lo stesso art. 167 c.c. individua i beni che possono essere destinati al fondo patrimoniale in quelli immobili, i mobili iscritti nei pubblici registri e i titoli di credito; i titoli, tuttavia, devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o “in altro modo idoneo”.
Per quanto concerne le modalità di costituzione del fondo patrimoniale, si deve evidenziare che, come si è anticipato, detta costituzione può avvenire con atto pubblico su iniziativa di uno dei coniugi o di entrambi, ovvero ad opera di un terzo, anche mediante testamento. Il comma 2 dell’art. 167 c.c.
dispone che, nell’ipotesi in cui la costituzione avvenga per atto fra vivi su iniziativa di un terzo, per il suo perfezionamento è necessaria l’accettazione dei coniugi, mentre analoga accettazione non è prevista espressamente per l’ipotesi in cui alla costituzione del fondo abbia provveduto uno solo dei due coniugi.
La cennata anomalia ha suscitato un ampio dibattito dottrinale sulla natura unilaterale o plurilaterale dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, nelle diverse ipotesi in cui a costituirlo siano i coniugi o un terzo. Entrambe le interpretazioni sono state autorevolmente sostenute anche se la dottrina maggioritaria è dell’opinione che tale atto sia sempre plurilaterale e, quindi, sia sempre necessario il consenso di entrambi i coniugi (NOTA 2).
Ai sensi dell’art. 168, comma 3, c.c., inoltre, per l’amministrazione del fondo valgono le regole dettate per i beni appartenenti alla comunione legale e trovano, quindi, applicazione le disposizioni di cui agli artt. 180-184 c.c. ai sensi delle quali l’ordinaria amministrazione spetta ai coniugi disgiuntamente, mentre è necessaria un’azione congiunta per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.
Infine, l’art. 169 c.c. prevede che per alienare, ipotecare, dare in pegno i beni del fondo, è in ogni caso necessario il consenso di entrambi i coniugi, salvo diverse pattuizioni. Nel caso in cui vi siano figli minori, è necessaria anche l’autorizzazione del giudice che emette un provvedimento in camera di consiglio “nei soli casi di necessità o utilità evidente”.
Ai sensi dell’art. 171 c.c., il fondo patrimoniale si estingue in tutte le ipotesi di annullamento, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio; tuttavia, permane in vita fino al raggiungimento della maggiore età dei figli minori, ove ve ne siano, in modo tale da garantire loro il soddisfacimento dei bisogni esistenziali; mentre fra le cause di scioglimento del fondo non viene menzionata dal legislatore la volontà espressa dei coniugi, ipotesi che, tuttavia, viene ammessa, con talune limitazioni, dalla dottrina prevalente.
Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili
2. L’esecuzione sui beni destinati al fondo patrimoniale.
In deroga al principio generale di cui all’art. 2740 c.c., sussistono alcuni limiti allo svolgimento dell’azione esecutiva dei terzi creditori dei coniugi: in particolare, l’esecuzione non potrà avere luogo sui beni del fondo e sui loro frutti nell’ipotesi in cui il creditore sia a conoscenza del fatto che il debito è stato contratto per scopi estranei al fabbisogno familiare (art. 170 c.c.). Appare di tutta evidenza come la richiamata deroga al principio generale della responsabilità patrimoniale del debitore, risponda anch’essa alla primaria esigenza di tutelare gli interessi della famiglia, in quanto rafforza la possibilità della medesima di trovare credito presso i terzi per il soddisfacimento dei propri bisogni, attribuendo ai creditori a tale titolo una garanzia di esecuzione sui beni del fondo senza subire il concorso dei creditori personali dei coniugi.
L’Amministrazione finanziaria, con la nota 17 dicembre 1983, n. 15/10423, ha specificato che detti limiti allo svolgimento dell’azione esecutiva non sono ad essa opponibili. A tale risalente intervento di prassi, non hanno fatto seguito ulteriori indicazioni interpretative che tenessero conto, neppure al mero fine di confutarne i contenuti, dell’evoluzione giurisprudenziale registrata in detta materia. La prevalente giurisprudenza di merito, infatti, ritiene che, viceversa, il fondo patrimoniale sia opponibile all’esecuzione del Fisco, dal momento che i debiti fiscali dei coniugi non possono considerarsi strumentali al soddisfacimento dei bisogni familiari (NOTA 3). Dal suo canto, la Suprema Corte di Cassazione ha in diverse occasioni ravvisato la sussistenza del reato di cui all’art. 11 del d.lgs n. 74 del 2000 nella costituzione di un fondo patrimoniale, da parte di coniugi fortemente indebitati con il Fisco.
E tale principio è stato affermato proprio in base all’assorbente considerazione che la segregazione patrimoniale derivante dalla costituzione di un fondo patrimoniale può rappresentare un ostacolo all’azione esecutiva dell’Amministrazione finanziaria. Così implicitamente ammettendo che la deroga al principio generale di cui all’art. 2740 c.c., introdotta in relazione al fondo patrimoniale dall’art. 170 c.c., operi anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria (NOTA 4).
Affinché possa essere opponibile ai terzi l’appartenenza di taluni beni e frutti al fondo patrimoniale, è necessario che la costituzione di questo ultimo venga annotata a margine dell’atto di matrimonio e, secondo parte della dottrina, che sia adempiuto l’onere della trascrizione nei registri immobiliari ex. artt. 2647 e 2685 c.c. relativamente ai beni immobili o mobili registrati in esso conferiti. Nell’ipotesi in cui la costituzione del fondo abbia comportato un trasferimento dei diritti reali sul bene, oltre alla costituzione del vincolo, va trascritto anche tale acquisto ai sensi di quanto disposto dagli artt. 2643 e 2684 c.c.
Gli interpreti del diritto civile hanno attribuito diversi significati e funzioni alle richiamate forme pubblicitarie e l’origine di tanta incertezza deve essere individuata in un poco chiaro dettato normativo.
A seguito della riforma del diritto di famiglia, il legislatore, infatti, ha abrogato l’ultimo comma dell’art. 2647 c.c., con il quale veniva sancita l’inopponibilità ai terzi del vincolo non trascritto.
L’articolo attualmente vigente non fornisce alcuna esplicita indicazione circa la funzione svolta dalla trascrizione.
La dottrina prevalente, nonché la giurisprudenza di legittimità, sono dell’avviso che l’opponibilità ai terzi del vincolo derivi dall’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo svolga esclusivamente un ruolo di pubblicità-notizia. La trascrizione, infatti, ordinariamente svolge un ruolo di pubblicità-notizia e, pertanto, nel silenzio della legge, nessun altro diverso effetto può esserle attribuito (NOTA 5).
Non può tacersi, tuttavia, che altri hanno altrettanto autorevolmente sostenuto la funzione dichiarativa della cennata trascrizione e quindi la sua essenzialità ai fini dell’opponibilità del vincolo costituito ai terzi creditori (NOTA 6).
3. La titolarità dei beni destinati al fondo patrimoniale.
Il negozio di attribuzione di beni al fondo, secondo parte della dottrina, è caratterizzato per la gratuità del titolo e quindi, quando i beni provengono da un terzo, l’atto si avvicinerebbe ad una donazione obnuziale (NOTA 7). Di contro, più correttamente, si è evidenziato che da un canto, non sempre nell’atto di costituzione del fondo patrimoniale sono riscontrabili i caratteri della liberalità e, dall’altro che, quand’anche la costituzione del fondo patrimoniale si connoti come una liberalità, la medesima presenta comunque delle differenze considerevoli con la donazione obnuziale, essendo finalizzata alla creazione di un regime patrimoniale coniugale (NOTA 8).
Con riferimento, infatti, alla natura liberale di tale atto, si deve evidenziare che nella costituzione del fondo per opera dei coniugi non è riscontrabile alcuno spirito liberale, posto che con la medesima questi adempiono il dovere legale di contribuire ai bisogni familiari. Qualora, poi, il conferimento provenga da uno solo dei due, l’atto configurerebbe una liberalità solo nell’ipotesi in cui il valore dei frutti prodotti dal fondo e dei beni attribuiti vengano imputati a sollevare dal proprio obbligo contributivo anche l’altro coniuge, mentre deve escludersi nell’ipotesi in cui la costituzione avvenga mediante il conferimento di beni posseduti in regime di comunione legale. Il carattere di liberalità è, quindi, riscontrabile esclusivamente nell’ipotesi in cui la costituzione del fondo sia per opera di un terzo, ma anche in questo caso, come si è anticipato, si differenzia per natura e disciplina dalla donazione obnuziale.
Poste queste opportune premesse, con riferimento alla proprietà dei beni conferiti al fondo patrimoniale, è opportuno ricordare che l’art. 168 c.c. stabilisce che la medesima spetta ad entrambi i coniugi “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione”. Tale locuzione sta a significare che il legislatore ha voluto riconoscere al conferente la possibilità di disporre in merito alla titolarità dei diritti reali sul bene. Una di queste ipotesi è quella in cui la costituzione del fondo avviene su iniziativa di uno dei due coniugi, il quale, nel conferire il bene opera un’espressa riserva di proprietà sul medesimo. A tal proposito la dottrina civilistica è divisa fra coloro che ritengono che, in tal caso, non sussista alcun trasferimento di diritti in capo all’altro coniuge e coloro che riscontrano, anche in tale ipotesi, la presenza di un effetto traslativo. Secondo questi ultimi autori, infatti, sebbene la proprietà del bene non venga trasmessa, all’altro coniuge verrebbe attribuito un diritto reale di godimento sul bene, assimilabile in parte all’usufrutto legale ma che, a differenza di questo, resta in vita sino allo scioglimento del fondo (NOTA 9). L’attribuzione di un diritto reale di godimento risulterebbe la soluzione maggiormente rispondente alla struttura, alle finalità e al funzionamento dell’istituto del fondo patrimoniale. Il coniuge non conferente non avrebbe altrimenti alcun titolo per partecipare all’amministrazione di beni che non gli appartengono; né si giustificherebbe il dettato dell’art. 2647 c.c. ai sensi del quale il vincolo di destinazione dei beni conferiti deve in ogni caso trascriversi contro ambedue i coniugi.
Nonostante le valide osservazioni mosse dalla dottrina appena richiamata, è, a nostro avviso, corretto condividere l’opinione di quanti non rinvengono, nell’ipotesi in oggetto, il trasferimento di alcun diritto reale in capo al coniuge non conferente. La ricostruzione della fattispecie operata da questa seconda corrente dottrinale, infatti, non solo è coerente con la struttura dell’istituto, ma anche maggiormente conforme all’espresso dettato normativo. Invero, nell’ipotesi in cui il fondo patrimoniale venga costituito da un coniuge mediante il conferimento di un bene con riserva espressa di proprietà del medesimo, tale atto solleva esclusivamente il coniuge conferente dai propri obblighi di contribuzione ai bisogni familiari, in misura pari al valore del conferimento. Qualora, invece, con l’atto costitutivo si trasferisse all’altro consorte l’usufrutto sul bene, da un canto si realizzerebbe una donazione in mancanza di qualsivoglia spirito liberale e, dall’altro, anche il coniuge non conferente sarebbe sollevato dai propri obblighi di contribuzione in proporzione alla propria quota di usufrutto, per volontà esclusiva del coniuge conferente. Né, a sostegno della legittimità di siffatta ricostruzione, ci sembra si possa addurre la natura plurilaterale del negozio di costituzione del fondo patrimoniale.
Pur aderendo, infatti, al ricordato orientamento che vuole in ogni caso necessaria l’accettazione di entrambi i coniugi alla costituzione del fondo, ci sembra francamente una forzatura il fatto che, nel caso di specie, da tale accettazione derivi per il coniuge non conferente non solo l’espressione della volontà a che l’altro coniuge destini alle finalità del fondo il bene di cui è proprietario, ma anche l’accettazione dell’acquisto della propria quota di usufrutto sul bene e l’assoggettamento della medesima al vincolo di destinazione.
Del resto, il mancato trasferimento di qualsivoglia diritto reale in capo al coniuge non conferente non è in contrasto con i poteri di amministrazione dei beni che comunque spettano ad entrambi. Secondo un principio generale, infatti, tali poteri competono personalmente al titolare del diritto reale sul bene salvo che sia questo ultimo, ovvero la legge, a scegliere un diverso soggetto. Ebbene, il combinato disposto dei commi 1 e 3 dell’art. 168 c.c. da un canto consente che nell’atto di costituzione del fondo venga stabilito che la proprietà dei beni conferiti non spetti ad entrambi i coniugi, in deroga alla regola della contitolarità, e dall’altro dispone che in ogni caso l’amministrazione dei beni sia congiunta. Del resto, il principio dell’amministrazione congiunta dei beni del fondo, risponde alla primaria finalità di soddisfacimento delle esigenze familiari, perseguita dall’ordinamento.
Il tema sin qui brevemente tracciato, richiamando i principali orientamenti interpretativi manifestati dalla dottrina civilistica, assume specifica rilevanza ai fini della corretta individuazione dei modelli impositivi applicabili all’atto di costituzione del fondo patrimoniale; sul medesimo, pertanto, si avrà modo di tornare diffusamente nel prosieguo, analizzando anche i principali interventi operati in argomento dalla prassi Amministrativa.
4. Profili di imposizione diretta
Il fondo patrimoniale configura un patrimonio destinato o, meglio, un patrimonio separato e non autonomo, appartenente, nell’ipotesi tipizzata dal legislatore, a entrambi i coniugi e privo, anche agli effetti tributari, di soggettività giuridica (NOT A 10). In tale stato di cose, il legislatore tributario, al comma 1, lett. b) dell’art. 4 del Tuir, ha stabilito che i redditi dei beni appartenenti al fondo sono imputati per metà del loro netto ammontare a ciascuno dei due coniugi, titolari del diritto di fruirne e di disporne.
Nel caso in cui si verifichi la cessazione del fondo patrimoniale in presenza di figli minori, invece, i redditi dei beni che rimangono destinati al fondo sono imputati per intero al coniuge superstite o al coniuge cui sia stata esclusivamente attribuita l’amministrazione del fondo medesimo.
Ebbene, siffatti criteri di imputazione del reddito sono stati diversamente spiegati dagli interpreti, in funzione dei differenti orientamenti sostenuti in tema di qualificazione del presupposto Irpef. La norma, infatti, ha suscitato particolari perplessità in quegli autori che collegano il presupposto impositivo alla titolarità della fonte di reddito. Secondo questo ultimo orientamento, affinché i redditi dei beni appartenenti al fondo siano legittimamente imputabili al 50% fra i coniugi, è necessario che il conferimento del bene al fondo comporti in ogni caso il trasferimento di un diritto reale (o di godimento) del bene medesimo in capo ad entrambi i coniugi (salva, ovviamente, l’ipotesi in cui il bene sia posseduto dai coniugi in regime di comunione già prima della costituzione del fondo patrimoniale) (NOTA 11). Ne consegue che, nel caso di costituzione del fondo mediante attribuzione di un bene di proprietà di uno dei due coniugi, con espressa riserva di titolarità sul medesimo, la norma fiscale risulterebbe legittima solo nel caso in cui all’altro coniuge venga contestualmente attribuito una sorta di usufrutto sul bene conferito.
In proposito, si sottolinea come la legittimità dei ricordati criteri di imputazione non necessariamente debba trovare fondamento nell’attribuzione ad entrambi i coniugi di un diritto reale di godimento sui beni appartenenti al fondo, posto che nel nostro ordinamento in diverse occasioni il legislatore è ricorso a criteri di imputazione del reddito in cui si prescinde dalla titolarità del soggetto passivo di un diritto reale sulla fonte di reddito (NOTA 12). L’individuazione del soggetto passivo nelle imposte dirette, infatti, avviene in base alla riferibilità a questo ultimo della potenzialità economica evidenziata dal reddito.
Dal momento che detta potenzialità si concretizza, principalmente, nella attitudine del reddito a soddisfare bisogni ed interessi, il reddito va riferito o a quei soggetti al cui soddisfacimento di bisogni ed interessi è destinato, ovvero a coloro che esercitano il potere decisionale in merito alla destinazione del reddito al soddisfacimento di detti bisogni, potere che, in questo caso, viene esercitato dai coniugi congiuntamente. Siffatta lettura del presupposto impositivo, peraltro, consente di fondare anche la legittimità dei criteri di imputazione del reddito dettati per le ipotesi di cessazione del fondo patrimoniale in presenza di figli minori.
Si è visto che, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. b), del Tuir, in dette ipotesi i redditi dei beni che rimangono destinati al fondo sono imputati per l’intero ammontare al coniuge superstite o a quello cui sia stata esclusivamente attribuita l’amministrazione del fondo medesimo. E ciò avviene anche nel caso in cui, ai sensi del comma 3 dell’art. 171 c.c., il giudice abbia deciso di attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo patrimoniale. Ne consegue che, se il giudice ha operato la cennata attribuzione, fiscalmente ci si trova dinanzi, ancora una volta, ad una ipotesi in cui il criterio di collegamento del soggetto passivo con il presupposto impositivo viene individuato non nella titolarità della fonte di reddito, quanto nell’esercizio dei poteri decisionali inerenti la destinazione del reddito medesimo.
Un’ulteriore tematica, connessa con la rilevanza assunta nella costruzione della fattispecie impositiva dall’esistenza di un fondo patrimoniale, è quella riconducibile al regime impositivo delle plusvalenze di cui all’art. 67, comma 1, lett. b) e c), del Tuir, ove derivanti dalla cessione di beni immobili o partecipazioni appartenenti al fondo patrimoniale. In particolare, la dottrina si è domandata se dette plusvalenze debbano considerarsi redditi derivanti da beni appartenenti al fondo patrimoniale (e come tali riconducibili ai criteri di imputazione di cui all’art. 4 del Tuir), ovvero se costituiscano una categoria reddituale integralmente riconducibile in capo al titolare dei beni medesimi (NOTA 13). A tal proposito, in linea con le considerazioni sin qui svolte, e quindi in base alla constatazione che il criterio di imputazione dei redditi di cui all’art. 4, comma 1, lett. b), del Tuir non attribuisce alcuna rilevanza alla titolarità della fonte reddituale, si deve concludere che le plusvalenze derivanti dalla vendita di detti beni non possono che essere anch’esse considerate redditi dei beni appartenenti al fondo e quindi tassate ai sensi del richiamato art. 4 del Tuir.
Il richiamato criterio di imputazione dei redditi dei beni destinati al fondo patrimoniale vale anche in sede di applicazione della cedolare secca sugli affitti, come espressamente evidenziato dalla recente risoluzione 4 giugno 2012, n. 20/E. E ciò avviene “in considerazione del comune presupposto impositivo e del carattere alternativo della cedolare secca rispetto all’Irpef, risultando ciò assorbente rispetto al requisito soggettivo previsto dall’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 23 del 2011, concernente la proprietà dell’immobile”. Di conseguenza, il coniuge non titolare dell’immobile destinato al fondo patrimoniale, può anch’esso optare autonomamente per l’applicazione del regime della cedolare secca sui canoni di locazione lui imputati al 50% per effetto dell’atto di destinazione patrimoniale.
5. Modelli impositivi applicabili all’atto di costituzione del fondo patrimoniale.
Come anticipato, la costituzione del fondo patrimoniale può avvenire, su iniziativa di uno dei coniugi o di entrambi (con atto pubblico), ovvero ad opera di un terzo (anche mediante testamento) e la proprietà dei beni così conferiti al fondo spetta ad entrambi i coniugi, “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione” (art. 168 c.c.). La fattispecie da ultimo ricordata aveva suscitato, già prima delle recenti modifiche normative volte a introdurre nell’ambito dell’imposta di donazione e successione gli atti di destinazione, un ampio dibattito fra gli interpreti del diritto tributario, che ovviamente rifletteva le incertezze manifestate dalla dottrina civilistica in ordine alla titolarità dei beni in fondo, di cui si è già detto.
Con la risoluzione 9 agosto 2000, n. 51349 la Direzione Regionale delle Entrate di Reggio Emilia aveva sottolineato che “anche se l’art. 168 del codice civile stabilisce che la proprietà dei beni costituenti il fondo spetta ad entrambi i coniugi, si è del parere che ciò che rileva è la causa tipica del negozio, cioè l’effetto giuridico essenziale dell’atto posto in essere” e nella costituzione del fondo tale causa deve essere individuata, “indipendentemente dalla titolarità dei beni conferiti” nella funzione, “meramente strumentale di assicurare mezzi economici al nucleo familiare, senza che ciò comporti effetti diretti a realizzare una causa traslativa”. Individuata la causa tipica del negozio, l’organo amministrativo ne deduceva che l’atto avesse natura dichiarativa “in quanto assolve alla funzione di individuare, nell’ambito della sfera patrimoniale dei coniugi, la diversa posizione giuridica di quei beni, che, in quanto sottratti alla disponibilità personale in vista di un interesse superiore, saranno destinati a rispondere solo delle obbligazioni assunte nell’interesse della famiglia”; da qui l’applicabilità dell’imposta di registro con l’aliquota proporzionale di cui all’art. 3 della Tariffa, parte prima, del d.p.r. n. 131 del 1986.
A tale intervento ha fatto quasi immediato seguito la circolare 30 novembre 2000, n. 221/E. In questa sede, l’Amministrazione finanziaria, dopo aver svolto considerazioni analoghe alle precedenti, in merito alle finalità del fondo patrimoniale, ha definitivamente chiarito che, nell’ipotesi in cui alla costituzione provveda uno dei coniugi mediante il conferimento di beni di sua proprietà, riservandosene la titolarità, non è rinvenibile alcun effetto traslativo dell’atto. Il mancato verificarsi di effetti traslativi, tuttavia, non induce ad individuare una natura dichiarativa nell’atto de quo, bensì ad inquadrare la fattispecie nell’ambito di operatività dell’art. 11 della Tariffa, parte prima, del d.p.r. n. 131 del 1986 e, quindi, ad assoggettarlo ad imposta di registro in misura fissa. Tanto corretta ricostruzione della fattispecie, tuttavia, non viene estesa all’analoga fattispecie in cui il fondo patrimoniale venga costituito da un terzo con riserva di titolarità sui beni, prevedendo in tal caso l’assoggettamento ad imposta proporzionale. In proposito, si legge nel richiamato documento di prassi: “in questo caso, sebbene non si verifichi l’effetto traslativo della piena proprietà dei beni conferiti, tuttavia, dalla costituzione del fondo deriva per i coniugi il vantaggio, di carattere economico, di utilizzare i frutti prodotti dai beni che vi sono destinati”.
Sotto il profilo giurisprudenziale, va segnalato che la Corte di Cassazione, sempre nel vigore dell’assetto normativo antecedente la riforma del 2006 dell’imposta sulle successioni e donazioni, aveva modificato il proprio originario orientamento (NOTA 14)e sancito la registrazione a tassa fissa, ex art. 11 della Tariffa, parte prima, del d.p.r. n. 131 del 1986, dell’atto costitutivo in esame, posto che la mancanza di effetti traslativi, l’assenza di alcuno spirito liberale, nonché la natura costitutiva di un vincolo di destinazione e non dichiarativa dell’atto medesimo, non consentivano di ricondurre la fattispecie al diverso regime impositivo di cui agli artt. 3 e 9 della Tariffa, parte prima, del d.p.r. n. 131 del 1986 (NOTA 15).
Pertanto, alle soglie della riforma dell’imposta di donazione e successione, era già consolidata fra gli interpreti l’opinione che non tutte le costituzioni di fondi patrimoniali comportassero degli effetti traslativi in ordine ai beni destinati al fondo medesimo. Tenendo presente tale affermazione, si tratta quindi di verificare in che modo, ed entro quali limiti, la nuova disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni si applichi alla costituzione del fondo patrimoniale.
Come noto, l’art. 6 del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, ha introdotto una specifica disciplina volta ad assoggettare ad imposta di registro la “costituzione di vincoli di destinazione”. Tale regime fiscale è stato successivamente modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286, la quale, ripristinando l’imposta sulle successioni e donazioni (d.lgs. n. 346 del 1990), non ha convertito il richiamato art. 6 ed ha disposto l’applicazione dell’imposta di donazione alla costituzione dei vincoli di destinazione.
Tale normativa fa riferimento a tutti quegli atti da cui deriva l’effetto della “costituzione di vincoli di destinazione” e, quindi, in linea di principio è applicabile anche alla costituzione del fondo patrimoniale.
Tuttavia, affinché un prelievo tributario sia costituzionalmente legittimo (ex art. 53 della Cost.), è necessario che il medesimo vada a colpire un presupposto che manifesti capacità contributiva (vale a dire una certa potenzialità economica). Un’imposta, quindi, può essere applicata solo in presenza di una manifestazione di capacità contributiva da parte del soggetto passivo della medesima e tale capacità contributiva, nell’imposta sulle donazioni e successioni, è da sempre stata rinvenuta nell’incremento patrimoniale che si verifica in capo al beneficiario dell’atto a titolo gratuito; tanto è vero che le aliquote d’imposta sono articolate in funzione del tipo di rapporto esistente fra disponente e beneficiario. Volendo, quindi, offrire un’interpretazione della nuova normativa che ne garantisca la legittima costituzione, dovrebbero scontare l’imposta sulle donazioni unicamente quegli atti di costituzione di vincoli di destinazione che comportino il trasferimento di un diritto reale, sul bene vincolato, da un soggetto disponente ad un beneficiario. Proprio in relazione alla tipologia di legame intercorrente fra disponente e beneficiario, saranno poi individuate le aliquote d’imposta applicabili alla fattispecie.
Il più recente intervento interpretativo operato dalla prassi a seguito delle richiamate modifiche normative, non risulta, tuttavia, del tutto aderente a siffatta interpretazione. La circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E ha, in proposito, chiarito che alla nozione di “costituzione di vincoli di destinazione”, sono riconducibili “i negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi”, riportando, fra gli altri, proprio l’esempio della costituzione di un fondo patrimoniale. Secondo l’Amministrazione finanziaria, inoltre, “le diverse modalità (traslativa e non) con cui l’effetto segregativo viene conseguito rilevano ai fini dell’applicazione delle imposte indirette”, posto che l’imposta va “assolta solo in relazione a vincoli di destinazione costituiti mediante trasferimento di beni”. Con specifico riferimento alla costituzione del fondo patrimoniale, la medesima circolare ha altresì evidenziato che gli “effetti traslativi” sono ravvisabili unicamente “nell’ipotesi in cui quest’ultimo sia costituito con beni di un terzo o di proprietà di uno solo dei coniugi che non se ne riserva la proprietà, vale a dire quando la convenzione matrimoniale comporti il trasferimento del diritto di proprietà dei beni conferiti in capo a uno o entrambi i coniugi”. Tanto corretta ricostruzione interpretativa, tuttavia, viene poi messa in discussione mediante un rinvio esplicito alle considerazioni già svolte nella precedente circolare n. 221/E del 2000, nella quale, come si è visto, era stato affermato il principio secondo il quale la costituzione di un fondo patrimoniale da parte di un terzo comporta sempre l’applicazione dell’imposta di donazione e successione, anche qualora detta costituzione avvenga mediante riserva da parte del terzo della titolarità dei beni conferiti al fondo e, quindi, non determini alcun effetto traslativo sui beni destinati al fondo.
In base a tale orientamento interpretativo – che, come si è più volte sottolineato, appare non del tutto coerente con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Cost. con riferimento all’ultima delle ipotesi di seguito elencate – questi i modelli impositivi applicabili all’atto della costituzione del fondo patrimoniale:
– fondo patrimoniale costituito da entrambi i coniugi con beni in comunione legale: imposta fissa di registro;
– fondo patrimoniale costituito con beni di proprietà esclusiva di uno dei coniugi che se ne riserva la titolarità: imposta fissa di registro;
– fondo patrimoniale costituito da uno dei due coniugi con beni personali, senza riserva di titolarità sui beni: imposta di donazione e successione su una base imponibile pari al 50% del valore del bene trasferito (corrispondente alla quota di bene che viene trasferita all’altro coniuge), con un’aliquota del 4% sul valore eccedente la franchigia di 1 milione di euro;
– fondo patrimoniale costituito da un terzo (a prescindere dalla manifestazione o meno di una riserva di titolarità sui beni): imposta di donazione e successione su una base imponibile pari al 100% del valore del bene trasferito, con aliquota e franchigia variabili in funzione del rapporto esistente fra il terzo e ciascuno dei due coniugi.
Da ultimo, si ritiene utile evidenziare che la medesima circolare n. 3/E del 2008 ha chiarito che scontano autonoma imposizione, a prescindere dalle imposte già assolte, le successive eventuali attribuzioni di beni, conseguenti al venir meno del fondo patrimoniale; come, per esempio, in ipotesi di scioglimento del matrimonio con attribuzione dei beni in proprietà ai figli, per disposizione del giudice.
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Note:
1) Sui rapporti e le differenze intercorrenti fra l’istituto del patrimonio familiare e quello del fondo patrimoniale: AULETTA, Il fondo patrimoniale, Milano, 1990, 18 ss.; GABRIELLI, voce Patrimonio familiare e fondo patrimoniale, in Enc. Dir., XXXII, Milano, 1986, 293. Una dettagliata analisi della disciplina normativa del patrimonio familiare in: TEDESCHI, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di diritto civile a cura di Vassalli, vol. III, 1-2, Torino, 1956, 67 ss.
2) AULETTA, Il fondo patrimoniale, in AA.VV., Il diritto di famiglia Il regime patrimoniale della famiglia a cura di G. Bonilini e G. Cattaneo, Torino, 1997, 356.
3) Comm. Trib. Reg. Piemonte, 11 febbraio 2010, n. 18; Comm. Trib. Prov. Grosseto, 30 novembre 2009, n. 280; Comm. Trib. Prov. Torino, 18 novembre 2009, n. 56; Comm. Trib. Prov. Mantova, 10 giugno 2008, n. 71.
4) Cass., Sez. pen., 31 maggio 2012, n. 21013; Cass., Sez. pen., 15 giugno 2011, n. 23986; Cass., Sez. pen., 7 ottobre 2009, n. 38925.
5) Fra gli altri: ANDRINI, Convenzioni matrimoniali e pubblicità legale nel nuovo diritto di famiglia, in Riv. Not., 1975, 1106; CIAN, Sulla pubblicità del regime patrimoniale della famiglia. Una revisione che si impone, in Riv. Dir. Civ., 1976, I, 35; FINOCCHIARO F., La pubblicità in materia di rapporti patrimoniali fra coniugi, in Giur. It., 1989, I, 1, 329; GABRIELLI, Note aggiuntive sulla pubblicità immobiliare nel sistema tavolare, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, cit., vol. I, 2, 60; GABRIELLI – SAMPIETRO, Legge 8 agosto 1977, n. 574, in Nuov. Giur. Civ. Comm., 1978, 240; IRTI, Regime patrimoniale della famiglia, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, cit., vol. I, 457; PADOVINI, voce Trascrizione, in Noviss. Dig. It., App., VII, Torino, 1987, 802; PITRONE, Pubblicità immobiliare e rapporti patrimoniali fra coniugi: orientamenti giurisprudenziali, in Riv. Not., 1989, I, 569; RAGAZZINI, Nuovi orientamenti di dottrina, giurisprudenza e legislazione in tema di trascrizione, in Riv. Not., 1989, 128; SALVESTRONI, Comunione legale, efficacia degli acquisti separati e responsabilità per le obbligazioni contratte separatamente dai coniugi, in Riv. Dir. Comm., 1978, I, 185; SGARAGLIA, La pubblicità del vincolo derivante dal fondo patrimoniale, in Giust. Civ., 1984, I, 1614; ZACCARIA, La pubblicità del regime patrimoniale della famiglia: le posizioni della dottrina, in Riv. Dir. Civ., 1980, II, 434; per la giurisprudenza: Cort. Cost., 6 aprile 1995, n. 111, in Giust. Civ., 1995, I, 1420 e Cass. 27 novembre 1987, n. 8824, in banca dati I Codici.
6) AULETTA, Il fondo patrimoniale, in Il diritto, op. cit., 372 ss. il quale conclude “nel senso che la pubblicità relativa ai beni (annotazione sul titolo di credito; trascrizione mobiliare o immobiliare) assolve anch’essa a funzione dichiarativa e si affianca all’annotazione a margine dell’atto di matrimonio. La mancanza della prima comporta l’inopponibilità ai terzi del vincolo del fondo costituito su un certo bene, la mancanza dell’annotazione comporta l’inopponibilità del contenuto della convenzione (stabilito dalle parti anche apportando deroghe, per quanto consentito, alla disciplina legale)”.
7) In tal senso: AZARA, Del patrimonio familiare, in Codice civile: commentario diretto da Mariano D’Amelio e poi da D’Amelio – Finzi, vol. 1 Libro primo: persone e famiglia a cura di Azara, Firenze, 1940, 429; AZZARITI F.S. – MARTINEZ – AZZARITI G., Diritto civile italiano: disposizioni sulla legge in generale e libro 1. del codice:
parte generale, persone, matrimonio e filiazione, altri istituti del diritto delle persone, vol. II, Padova, 1943, 708; MOSCO, Il patrimonio familiare, Roma, 1939, 34 ss. (solo nell’ipotesi in cui la costituzione sia antecedente al matrimonio); SANTOSUOSSO, Del regime patrimoniale della famiglia, in Disposizioni della legge in generale
Delle persone e della famiglia, Commentario c.c., a cura di Liguori – Di Staso – Santosuosso, Torino, 1966, 926.
8) AULETTA, Il fondo patrimoniale, in Il diritto, op. cit., 363 ss.
9) Hanno manifestato il primo orientamento di pensiero, fra gli altri: BARCHIESI, Il sistema della pubblicità nel regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1995, 227 ss.; CARRESI, voce Fondo patrimoniale, in Enc. Giur. It., XIV, Roma 1989, 2; CIAN – CASAROTTO, Fondo patrimoniale della famiglia, in Noviss. Dig., App., III, Torino 1980, 833; FULCHERIS, Regime patrimoniale fra coniugi nel codice e nella legge 151, in Il nuovo diritto di famiglia: contributi notarili, Milano, 1975, 116; JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1984, 528; OPPO, Patrimoni autonomi familiari ed esercizio di attività economica, in Riv. Dir. Civ., 1989, I, 287; RUSSO E., Le convenzioni matrimoniali ed altri saggi nel nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, 130; SOLIDORO – RAVO, Il fondo patrimoniale: profili civilistici, fiscali, fallimentari, in Dir. Fall., 1990, II, 975. Sostengono, invece, la costituzione di un diritto reale di godimento in capo all’altro coniuge, fra gli altri: AULETTA, Il fondo patrimoniale, op. cit., 90 ss.; IDEM, Il fondo patrimoniale, in Il diritto di famiglia, op. cit., 360 ss. (in particolare, sull’individuazione delle diversità intercorrenti fra questo diritto di godimento e l’usufrutto, p. 381 ss.); DE RUBERTIS, Pubblicità immobiliare e rapporti patrimoniali fra coniugi, in Vit. Not., 1984, 118 (in particolare nota 15, ove l’autore evidenzia come diversamente opinando si svuoterebbe di significato il dettato dell’art. 2647 c.c. ai sensi del quale il vincolo relativo alla costituzione del fondo deve essere trascritto contro ambedue i coniugi); GABRIELLI, voce Patrimonio familiare, op. cit., 297; PACIA DEPINGUENTE, Autonomia dei coniugi e mutamento del regime patrimoniale legale, in Riv. Dir. Civ., 1980, II, 561.
10) Già prima della riforma del diritto di famiglia aveva manifestato tale opinione, fra gli altri: PINO, Il patrimonio separato, Padova, 1950, 25; mentre dopo la riforma: AULETTA, Il fondo patrimoniale, in Il diritto, op. cit., 345; COPPOLA, Gratuità e liberalità della costituzione di fondo patrimoniale, in Rass. Dir. Civ., 1983, 662; PINTO BOREA, Patrimonio familiare e fondo patrimoniale: caratteri comuni e note differenziali, in Giur. It., 1989, I, 1, 875; CARRESI, voce Fondo patrimoniale, op. cit., passim. Dell’opinione, invece, che il fondo patrimoniale costituisca un patrimonio autonomo distinto da quelli personali dei coniugi: D’ADDINO SERRAVALLE, La natura del fondo patrimoniale e il provvedimento giudiziario del comma 3 dell’art. 171 c.c., in Rass. Dir. Civ., 1982, 334 ss. Si deve, infine, evidenziare che altra parte della dottrina ha sostenuto che il fondo patrimoniale costituisce un patrimonio separato nel caso in cui la titolarità dei beni non appartiene ad entrambi i coniugi mentre altrimenti si configura come un patrimonio autonomo (LENZI, Struttura e funzione del fondo patrimoniale, in Riv. Not., 1991, 54 e nota 3).
11) Fra gli altri si segnala: MARCHETTI, Famiglia (redditi della), in Guida fiscale italiana a cura di Fantozzi, Torino, 1976, 464, secondo il quale “il fondo patrimoniale realizza nella sfera soggettiva dei coniugi una vera e propria «comproprietà paritaria» dei beni che lo costituiscono nonché, a mio avviso, anche dei frutti che derivano dai beni stessi” e pertanto il criterio di imputazione dei redditi medesimi “appare non solo in linea con la natura ed i caratteri civilistici dell’istituto ma anche come l’unica soluzione fiscale possibile per la tassazione dei redditi in parola”.
12) In tal senso, a proposito del fondo patrimoniale: NAPOLITANO R., Sub art. 4, in Commentario a testo unico delle imposte sui redditi a cura di Caratozzolo, vol. I IRPEF, Roma, 1988, 76.
13) Sul punto: GUIDOTTI – MEZZADRI, Fondo patrimoniale aspetti civilistici e regime fiscale applicabile, in Il fisco, 1996, 8046 ss. Non può tacersi come NUSSI (L’imputazione del reddito, op. cit., 374) sollevi il dubbio che “simili ipotesi non siano nemmeno configurabili, dal momento che i beni del fondo sono inalienabili e il nudo proprietario, pertanto, non può provocare, neppure astrattamente, plusvalenze in capo ai coniugi. Ciò, ovviamente, durante la pendenza del fondo patrimoniale e quindi nell’ambito del regime di applicabilità dell’art. 4 Tuir”.
14) Cass. 7 marzo 2002, n. 3343.
15) Così, fra le altre: Cass. 28 ottobre 2005, n. 21056; Cass. 7 luglio 2003, n. 10666; Cass. 26 maggio 2003, n. 8289 e Cass. 6 giugno 2002, n. 8162.
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