CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 dicembre 2013, n. 28188
Tributi – Ispezione della Guardia di Finanza – Autorizzazione priva di adeguata motivazione – Illegittimità
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Toscana n. 25/01/2010, depositata l’8 aprile 2010, con la quale, accolto l’appello di G. ed E. L., in proprio e nella qualità di eredi del defunto padre, P.L., tutti esercenti l’attività di affittacamere e locazione di unità immobiliari, contro le due decisioni di quella provinciale, l’opposizione dei contribuenti, relativa a tre avvisi di accertamento, impugnati con due ricorsi, concernenti l’Irpef, Irap ed Iva per gli anni 1997 e 1998, veniva ritenuta fondata. In particolare il giudice di secondo grado osservava che gli accessi compiuti dalla Guardia di finanza nei locali adibiti dai contribuenti ad abitazione si reggevano su autorizzazione del procuratore della Repubblica, da ritenersi priva dell’indicazione di gravi indizi in ordine a violazione di norme tributarie, come pure “…di idonea motivazione”.
I due L. resistono con controricorso.
Motivi della decisione
2. Col primo e secondo motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, stante la loro stretta connessione, anche se il secondo in realtà è assorbito dal primo, la ricorrente deduce violazione di norme di legge e insufficiente motivazione, in quanto la CTR non considerava che si trattava di locali adibiti contestualmente allo svolgimento dell’attività di impresa nell’ambito turistico-alberghiero e di locazione di unità immobiliari, anche se in essi il padre ed i figli contemporaneamente avevano la rispettiva abitazione, con la conseguenza che bastava soltanto l’autorizzazione del procuratore della Repubblica per accedere ai locali, senza l’indicazione di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, bastando all’uopo unicamente la enunciazione della nota e dell’autorità richiedente l’autorizzazione stessa, anche se tuttavia il provvedimento era motivato da tali elementi e dalla necessità di accesso per verificare quelle infrazioni, e ciò “ad abundantiam”.
I motivi sono infondati. Invero il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (dettato in tema di imposte sul valore aggiunto, ma reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), ha il dovere (in ossequio al canone ermeneutico secondo cui va privilegiata l’interpretazione conforme ai precetti costituzionali, nella specie agli artt. 14 e 113 Cost.), oltre che di verificare la presenza di una motivazione sulla sussistenza di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza di tale apprezzamento. Ne consegue che lo stesso, quando nel processo tributario non sia prodotta dall’Amministrazione la richiesta di accesso degli organi accertatori cui sia stata correlata l’autorizzazione del P.M., può legittimamente ritenere impedita la verifica della effettiva esistenza dei gravi indizi necessari per rilasciare l’autorizzazione, in conformità con la disposizione di cui all’art. 2697 cod. civ., mentre nella specie non risultava che il decreto del PM contenesse una motivazione adeguata ancorché sintetica, senza che peraltro la ricorrente l’avesse specificata (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 17957 del 19/10/2012, n. 21974 del 2009).
Dunque sul punto la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto ed adeguato.
3. Ne deriva che il ricorso va rigettato.
4. Quanto alle spese del giudizio, sussistono giusti motivi per compensarle, avuto riguardo alla natura della controversia e della questione trattata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, e compensa le spese.
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