Corte di Cassazione sentenza n. 42489 del 31 ottobre 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO CON UNA PRESSA DELLA MACCHINA PER LA TRANCIATURA – MANCANZA DI DPI – RESPONSABILITA’
massima
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Vi è la responsabilità del datore di lavoro per avere cagionato l’infortunio sul lavoro di un dipendente che, lavorando alla pressa della macchina per la tranciatura senza dispositivo di protezione, era stato colpito dall’abbassamento della pressa sulla mano destra con conseguente trauma da schiacciamento, con malattia superiore a 40 giorni e compromissione della funzionalità dell’articolazione della mano destra.
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FATTO
Con sentenza del Tribunale di Lecce, sezione di Casarano, in data 12.6.2008, (Omissis) veniva condannato alla pena – sospesa – di mesi 3 di reclusione e mesi 4 di arresto, al risarcimento del danno in favore di (Omissis) da liquidarsi in sede civile, al pagamento alla predetta parte civile di una provvisionale di euro 30.000,00, perché ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 590 c.p., contestatogli con la seguente formulazione: per avere cagionato l’infortunio sul lavoro di (Omissis) che lavorando alla pressa della macchina per la tranciatura senza dispositivo di protezione era stato colpito dall’abbassamento della pressa sulla mano destra con conseguente trauma da schiacciamento, con malattia superiore a 40 giorni e compromissione della funzionalità dell’articolazione della mano destra (fatto avvenuto in (Omissis)). I profili di colpa addebitati all’imputato erano stati ravvisati in imprudenza, imperizia ed inosservanza di norme che disciplinano la prevenzione degli infortuni sul lavoro (Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, art. 4 comma 1, lettera e), art. 115, comma 1, lettera d), art. 389, lettera a) e c)), perché in qualità di legale rappresentate della (Omissis) s.r.l. e datore di lavoro di (Omissis), aveva omesso l’adozione del dispositivo di sicurezza che avrebbe impedito il verificarsi dell’evento, aveva omesso di esigere che il lavoratore osservasse le norme di sicurezza ed usasse i mezzi di protezione a sua disposizione. Contestualmente l’imputato veniva assolto perché il fatto non sussiste dal reato di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, art. 4, comma 2, e art. 89, contestato sub B) per non avere fornito al lavoratore (Omissis) una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute con riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni.
Proponevano rituale appello i difensori di fiducia del (Omissis), chiedendone l’assoluzione almeno ex art. 530 c.p.p., comma 2, con la sospensione dell’esecutività della condanna al pagamento della provvisionale, stante l’asserito concorso colposo del lavoratore nella commissione del fatto.
La Corte d’Appello di Lecce pronunciava declaratoria di prescrizione in ordine ai reati contravvenzionali non ravvisando elementi per un proscioglimento nel merito, eliminando conseguentemente la relativa pena di mesi quattro di arresto.
La Corte distrettuale confermava l’affermazione di colpevolezza in ordine al reato di lesioni colpose e dava conto del convincimento così espresso con argomentazioni che possono riassumersi come segue: A) la pressa, che il (Omissis) stava usando in occasione dell’infortunio – costruita ed in funzione prima del 1996 – in origine non era dotata di schermo protettivo costituito da una sorta di gabbia metallica perimetrale, chiusa solo su tre lati, che era stata aggiunta successivamente come presidio di sicurezza; B) la pressa funzionava anche senza schermo metallico di protezione e solo l’apertura dello sportellino trasparante in plexi – glass, inserito in detto schermo, poteva bloccare la pressa stessa perché solo lo sportellino era dotato di contatto: tale sistema di bloccaggio della pressa veniva annullato rimuovendo lo schermo in cui era inserito; C) la parte civile aveva sostenuto che per disposizione del (Omissis) lo schermo di protezione era sempre rimosso e poggiato per terra durante la lavorazione, così come trovato dai suoi soccorritori e testimoniato dal teste (Omissis); D) dunque, era necessario l’uso dell’intero schermo perché il meccanismo di bloccaggio della pressa era collegato allo sportello posto sul lato anteriore, tanto che la stessa normativa in vigore prevedeva che nei lavori di meccanica minuta con macchine di piccole dimensioni, nel caso di impossibilità di applicazione di dispositivi di sicurezza, sarebbe stato necessario fornire ai lavoratori, per le operazioni di collocamento e ritiro dei pezzi in lavorazione, “adatti attrezzi di lunghezza sufficiente a mantenere le mani fuori della zona di pencolo” (Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, art. 116; E) per quanto il (Omissis) fosse portatore di un interesse economico corrispondente al risarcimento del danno par l’infortunio subito essendosi costituito parte civile, l’assunto della corrispondenza della condotta dell’infortunato alle indicazioni impartitegli, negata dall’imputato, appariva credibile perché tale modalità di lavorazione, sebbene rischiosa per l’operatore, era vantaggiosa per l’imprenditore sotto il profilo dell’abbreviazione dei tempi di lavorazione sotto la pressa; F) nessun altro teste aveva potuto smentire detta circostanza; G) il fatto che altri dipendenti, come il (Omissis) non avessero udito il (Omissis) impartire la disposizione di non utilizzare lo schermo protettivo non scalfiva l’attendibilità della deposizione della parte civile; H) la versione resa dal (Omissis) risultava corroborata da quanto riferito dal teste (Omissis) e dalla ex dipendente (Omissis) (pag. 8 della sentenza); I) la responsabilità dell’imputato non poteva ritenersi esclusa dall’eventuale condotta imprudente del lavoratore, tenuto conto dei principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità in materia.
Ricorre per cassazione il (Omissis), tramite il difensore, deducendo censure, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, che possono così riassumersi: a) il macchinario utilizzato dal (Omissis) per il lavoro sarebbe stato trovato del tutto rispondente alla normativa antinfortunistica dagli ispettori della ASL intervenuti, i quali avevano poi suggerito ulteriori interventi solo per maggiore sicurezza (in proposito viene richiamata la deposizione del teste (Omissis)); b) privo di fondamento sarebbe il rilievo mosso al datore di lavoro di omessa vigilanza, posto che il (Omissis) era l’operaio più esperto ed aveva insegnato l’utilizzo della pressa agli altri dipendenti i quali saltuariamente la utilizzavano; c) l’assunto del (Omissis) – secondo cui il (Omissis) avrebbe dato disposizione di smontare la ghiera – sarebbe rimasto privo di qualsiasi riscontro, non avendo ricevuto conferma da alcuno dei testi escussi, ed avendo anzi uno dei testimoni affermato di essere rimasto stupito dal fatto che il (Omissis) aveva rimosso la ghiera e di non comprenderne la ragione; d) non potrebbe assumere rilievo probatorio la presunzione dei giudici di merito secondo cui detta disposizione sarebbe stata impartita al solo (Omissis); e) la rimozione della ghiera era prevista solo per la sostituzione dello stampo, ed in tal caso la pressa però non funzionava; f) non si comprenderebbe quale forma di vigilanza avrebbe dovuto adottare il (Omissis), una volta assodato che il macchinario era rispondente alle norme di sicurezza, che il (Omissis) era operaio esperto nell’utilizzo del macchinario stesso e che non erano state impartite disposizioni finalizzate ad un uso improprio e pericoloso del macchinario in argomento; g) nulla poteva far prevedere l’accadimento e, soprattutto, nulla autorizzava ad ipotizzare che il (Omissis), quella mattina, avesse deciso di operare dopo aver rimosso la ghiera (condotta da lui non assunta in precedenza): nel corso della sua deposizione nel dibattimento di primo grado il (Omissis) aveva tentato di presentarsi come un operaio inesperto, evidentemente non dicendo la verità, trattandosi del più esperto di tutti nell’uso della pressa, tanto da predisporla per il tipo di lavorazione al mattino, quando sulla macchina operava anche la teste (Omissis); h) avrebbe errato la Corte di merito a riconoscere piena attendibilità alla deposizione del (Omissis) rimasta priva di qualunque supporto probatorio, contrastata dalle dichiarazioni dei testi (Omissis) e (Omissis) che la Corte stessa avrebbe sbrigativamente ritenuto inattendibili; i) al momento dell’incidente la pressa era priva di protezione solo perché evidentemente rimossa dal (Omissis) di sua iniziativa; l) conclusivamente, nel caso di specie, per tutte le considerazioni più sopra svolte e per quanto emerso in dibattimento, ci si troverebbe in presenza di una condotta del lavoratore del tutto imprevedibile ed anomala, causa esclusiva dell’evento.
È pervenuta formale dichiarazione, da parte del difensore e procuratore speciale della parte civile (Omissis), di revoca di detta costituzione in conseguenza dell’intervenuta transazione tra le parti.
DIRITTO
Ritiene il Collegio che preliminarmente – avuto riguardo al “tempus commissi delicti” ((Omissis)), al titolo del reato (lesioni personali colpose, con violazione delle norme antinfortunistiche) ed alla pena edittale per lo stesso prevista – occorre verificare se, alla data della odierna udienza, sia interamente decorso il termine massimo di prescrizione (sette anni e sei mesi).
Ciò posto, va rilevata l’intervenuta prescrizione: detta causa estintiva del reato si è invero già verificata pur tenendo conto (Sezioni Unite, imp. Cremonese, in tema di sospensione del decorso del termine di prescrizione in conseguenza di impedimento dell’imputato o del suo difensore) del periodo di sospensione del decorso del relativo termine, desumibile dagli atti (cfr. pag. 2 della sentenza della Corte d’Appello), dal 14/2/2008 al 12/6/2008. Tanto premesso, occorre adesso verificare se, in relazione ai motivi dedotti dal ricorrente in relazione alle argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello di Lecce nell’impugnata sentenza, il ricorso presenti profili di inammissibilità per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l’intervenuta prescrizione (posto che si tratterebbe di causa originaria di inammissibilità ed essendo maturata la prescrizione successivamente alla sentenza della Corte d’Appello pronunciata in data 9 giugno 2010).
Orbene, il ricorso non presenta esclusivamente connotazioni di inammissibilità (ravvisagli, queste, certamente nelle censure relative alle valutazioni probatorie, in quanto concernenti apprezzamenti di merito incensurabili in sede di legittimità): lo stesso è basato anche su doglianze (non manifestamente) infondate, quanto meno nella parte relativa alle deduzioni con le quali sono state affrontate tematiche di ordine giuridico. Deve essere pertanto rilevata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. In presenza di detta causa estintiva del reato, è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione.
Quanto poi all’eventuale applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2, il sindacato di legittimità al riguardo deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto, o dell’estraneità ad esso dell’imputato, risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetta, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, prevale l’esigenza della definizione immediata del processo. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, addirittura la sussistenza di una nullità (e pur se di ordine generale) non è rilevabile nel giudizio di cassazione, “in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva” (in tal senso, “ex plurimis”, Sez. Un. 28/11/2001, Cremonese).
Nella impugnata sentenza della Corte distrettuale non sono riscontrabili elementi di giudizio idonei a riconoscere la prova evidente dell’innocenza dei prevenuti ma sono contenute, anzi, valutazioni di segno opposto.
Esclusa dunque l’applicabilità dell’art. 129 del codice di rito, va pronunciata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Pur essendo state pronunciate dalla Corte distrettuale statuizioni civili a favore della parte civile, nella concreta fattispecie risulta superflua la valutazione (prevista dall’art. 578 c.p.p.) dei motivi di ricorso agli effetti civili, essendo stata trasmessa a questa Corte la formale dichiarazione di revoca della costituzione di parte civile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
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