CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 dicembre 2013, n. 28434
Lavoro – Indennità di malattia – Idraulico – Richiesta di indennizzo – Patologia cronica preesistente – Sforzo compiuto sul lavoro – Riacutizzarsi della malattia
Svolgimento del processo
Con sentenza del 9.12.2009, la Corte di Appello di L’Aquila accoglieva il gravame proposto dall’Inail ed, in riforma dell’impugnata decisione, rigettava la domanda di M.S. intesa ad ottenere l’indennizzo per danno biologico derivante dall’infortunio occorso al predetto il 3.10.2003, riconosciuto dal Tribunale di Chieti nella misura del 6%.
Rilevava la Corte del merito che il C.t.u., all’esito dell’accertamento espletato, aveva evidenziato che il M., idraulico, risultava affetto da discopatie multiple lombari con ernie discali che avevano reso necessari due interventi di discolisi nel 2005 e nel 2007 e che tale patologia preesisteva almeno da cinque anni con i caratteri della cronicità ed aveva aggiunto che l’esordio clinico della patologia era stato improvviso ed era coinciso con l’infortunio, consistito in un blocco lombare insorto nel tentativo di sollevare un termosifone. Il consulente officiato aveva, poi, escluso l’origine post traumatica degli esiti invalidanti in quanto le lesioni discali erano preesistenti all’evento lesivo ed aveva anche evidenziato come la riacutizzazione della malattia, accusata nel 2005, a distanza di due anni dall’evento lesivo, non poteva essere riconosciuta come ulteriore invalidità temporanea, ma fosse inquadrabile come malattia comune senza postumi permanenti.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il M. con due motivi.
Resiste, con controricorso, l’INAIL, che illustra le proprie difese nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, il M. denunzia violazione e/o erronea applicazione dell’art. 2 del D.P.R. 1124/1965, nonché di ogni altra norma e principio in tema di nesso di causalità tra attività lavorativa ed infortunio sul lavoro, ex art. 360, n. 3, c.p.c., richiamando le conclusioni delle c.t.u. di primo e secondo grado, la seconda delle quali aveva escluso l’origine post traumatica della malattia in quanto le lesioni discali erano preesistenti all’evento lesivo. Osserva che la predisposizione morbosa non esclude il nesso causale tra sforzo ed evento infortunistico in relazione anche al principio di equivalenza causale di cui all’art. 41 c.p., secondo il quale il concorso di altre cause non elide il rapporto di causalità, e che un ruolo di concausa debba attribuirsi anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia, salvo che questa sia sopravvenuta in modo del tutto indipendente dallo sforzo compiuto o dallo stress subito nell’esecuzione della prestazione lavorativa. Aggiunge il ricorrente che la patologia preesistente, anzi, può rilevare in senso contrario, in quanto può rendere più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose e giustificare il nesso tra attività lavorativa ed infortunio e che la causa violenta può consistere anche in uno sforzo che, se pure non straordinario o eccezionale, sia diretto a vincere un resistenza propria della prestazione o dell’ambiente di lavoro. Peraltro, l’INAIL aveva riconosciuto sussistente l’infortunio sul lavoro avendo liquidato la indennità per inabilità temporanea, derivante dalla stessa patologia, dal 7.10.2003 al 13.11.2003.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo, ovvero un punto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., sostenendo che la patologia preesisteva da vari anni, almeno cinque, rispetto alla relazione peritale del febbraio 2009 e non da vari anni rispetto all’epoca dell’infortunio, avvenuto nell’ottobre 2003 e che il C.t.u., pur avendo rilevato che l’esordio della malattia era coinciso con l’evento del 3.10.2003 e che la prima TC del rachide era stata eseguita nel novembre 2003, quindi dopo l’infortunio, ha ritenuto erroneamente che la patologia fosse già in atto al momento dello stesso. Non ha considerato, poi, che l’INAIL, per lo stesso infortunio, aveva riconosciuto la sussistenza di invalidità temporanea, ritenendo l’infortunio causato o, quanto meno, occasionato dall’attività lavorativa e liquidando la relativa indennità.
Il ricorso è infondato.
La sentenza di appello ha recepito nella propria motivazione la consulenza tecnica di ufficio, onde alla stessa va fatto riferimento al fine di valutare la presunta violazione dei principi in tema di nesso causale, di indennizzabilità di un infortunio e di preesistenza di condizioni di salute compromesse. Il consulente tecnico officiato in seconde cure ha evidenziato che il distretto interessato dallo sforzo presentava una importante condizione cronico-degenerativa, costituita da lesione di natura degenerativa progressiva del disco intervertebrale su base costituzionale, evidenziatasi in discopatie multiple lombari, (in relazione alle quali vi era stata una risoluzione clinica incompleta anche dopo la terapia discolitica), onde Io sforzo lavorativo compiuto dal M. in data 3.10.2003 non ha indotto ulteriori alterazioni oltre a quelle già presenti, che sono state reputate cause sufficienti al realizzarsi di ernie discali.
L’episodio denunciato (sforzo compiuto nel sollevamento di un termosifone) al massimo rappresenta un “momento rivelatore” e la riacutizzazione di una malattia già presente giustifica soltanto la rendita temporanea che al M. pure è stata riconosciuta.
In definitiva, lo sforzo posto in essere ha soltanto “slatentizzato” la patologia già in atto e non vale pertanto a sostenerne l’origine post traumatica, stante I’ ascrivibilità della condizione nosologica a malattia comune.
Dalle considerazioni e dalle conclusioni della consulenza tecnica di ufficio di secondo grado, recepite integralmente nella pronunzia oggetto della presente impugnazione, emerge, in sintesi che il presunto “sforzo” denunciato dal M. non ha costituito causa efficiente, né concausa, né causa scatenante dello stato morboso per cui è processo, avendo lo stesso al più rappresentato l’occasione per la manifestazione o “slatentizzazione” di una patologia preesistente.
Tale accertamento in fatto, compiuto con adeguata motivazione e senza violare alcuno dei canoni in tema di nesso causale, non appare soggetto a censura in sede di legittimità. Nella specie, il consulente tecnico – e quindi il giudice di merito – ha accertato che lo i sforzo denunciato dal lavoratore non è stato causa unica della malattia, né concausa, perché la preesistenza di una condizione ampiamente compromessa costituisce causa sufficiente dell’invalidità.
Deve essere disatteso anche il rilievo prospettato nel secondo motivo come vizio motivazionale, relativo al riscontro diagnostico e clinico della patologia solo a distanza di un mese dall’evento e successivamente allo stesso, posto che è stato adeguatamente chiarito come dalla TC praticata fosse emerso un quadro degenerativo ampiamente risalente per il quadro clinico riscontrato, incompatibile con conclusioni difformi da quelle adottate.
Alla stregua di tali considerazioni e valutata la diversa natura della invalidità temporanea riconosciuta dall’istituto, di indubbia valenza assistenziale, che non incide ai fini della valutazione del nesso causale, della qualificazione del fatto e della indennizzabilità delle invalidità denunciate, deve pervenirsi alla reiezione del ricorso, dovendo ritenersi correttamente applicati al caso di specie i principi che regolano la materia (cfr, per un caso simile, Cass. 24.5.2010 n. 12597).
Le spese del presente giudizio possono essere compensate integralmente tra le parti, in ragione dell’alternanza delle decisioni assunte nella fase di merito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
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