Corte di Cassazione sentenza n. 25970 del 5 dicembre 2011
PREVIDENZA – CONTRIBUTI – OMESSO O RITARDATO PAGAMENTO DI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI – DISCIPLINA SANZIONATORIA – JUS SUPERVENIENS – IRRILEVANZA – RINUNZIE E TRANSAZIONI – PATTUIZIONI INERENTI ALL’OBBLIGO DI CORRESPONSIONE DEI CONTRIBUTI ALL’INPS – ART. 2113 C.C. – APPLICABILITA’ – ESCLUSIONE
massima
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In materia di sanzioni per il ritardato o l’omesso pagamento di contributi previdenziali, resta escluso che in una controversia relativa alle sanzioni civili (somme aggiuntive) ed interessi per omesso versamento di contributi dovuti all’INPS, possa rilevare lo “ius superveniens” di cui all’art. 116, comma ottavo e seguenti, della legge n. 388/2000, contenente norme più favorevoli ai contribuenti, atteso che nessuna di tali disposizioni induce a ritenerne la retroattività, cosicché ne è esclusa l’applicabilità a violazioni accertate prima della relativa entrata in vigore.
Gli atti di disposizione, ai quali si applica la disciplina dell’art. 2113 c.c., debbono attenere alle conseguenze patrimoniali del mancato o irregolare versamento dei contributi e non già all’obbligo del datore di lavoro di corrispondere i contributi all’INPS, perché quest’obbligo non può mai venir meno per effetto di pattuizioni intercorse tra il datore di lavoro ed il lavoratore all’inizio o durante lo svolgimento del rapporto, essendo queste espressamente travolte dalla nullità ex art. 2115 c.c. ed inoperanti nei confronti dell’ente previdenziale.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata n. 197/2006 la Corte d’appello di Genova rigettava la opposizione, proposta nei confronti dell’Inps, da L.P.A. avverso l’ordinanza ingiunzione concernente le sanzioni conseguenti alla omissione contributiva relativa al dipendente G.C.
Con la successiva sentenza n. 198/2006 la medesima Corte rigettava la opposizione proposta dal L.P. avverso la cartella di pagamento per contributi omessi per lo stesso dipendente. Entrambi i procedimenti erano iniziati a seguito di verbale dell’Ispettorato del Lavoro del 20 luglio 1998 con cui era stata accertata l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato del C..
In relazione alla ordinanza ingiunzione, la Corte riteneva inapplicabile l’art. 116 comma 12 della legge 388/2000, in quanto successiva alla violazione. Nel merito, sia dell’ordinanza ingiunzione, sia della cartella di pagamento, riteneva provata l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato del C. dal luglio 1993 al dicembre 1996, non considerando credibile la tesi del L.P. per cui si sarebbe trattato della gestione autonoma del negozio e che il C. si sarebbe attribuito autonomamente il proprio compenso, perché questi aveva dichiarato agli ispettori che era stato concordato un compenso di un milione di lire al mese. Il C. invero non sopportava alcun rischio d’impresa, essendo autorizzato ad operare sul conto corrente del L.P., a cui erano intestate le licenze e che era proprietario delle scorte e dei beni strumentali, dal momento che il C. non aveva mai corrisposto alcunché. La Corte riteneva poi irrilevante che il C. avesse abbandonato il giudizio nei confronti del L.P. per l’accertamento della natura subordinata del rapporto, giacché i rapporti tra le parti erano ininfluenti nei confronti dell’ente previdenziale. Parimenti irrilevante riteneva la circostanza che in alcune occasioni il C. si fosse fatto aiutare dalla madre nell’espletamento del lavoro, a causa delle sue precarie condizioni di salute.
Avverso entrambe le sentenze il C. ha proposto due autonomi ricorsi con motivi in parte coincidenti. Resiste l’Inps con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi in quanto connessi dalla esigenza di risolvere la medesima questione e cioè l’esistenza o no di un rapporto di lavoro subordinato tra il ricorrente L.P. e G.C., perché da ciò dipende la fondatezza sia della opposizione alla ordinanza ingiunzione, sia l’opposizione alla cartella di pagamento
1. Con il primo motivo del ricorso in opposizione ad ordinanza ingiunzione si duole il ricorrente che non sia stata fatta applicazione dell’art. 116 comma 12 legge 388/2000.
Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di legittimità con cui si è affermato (tra le tante Cass. n. 8651 del 12/04/2010) che ” In materia di sanzioni per il ritardato o l’omesso pagamento di contributi previdenziali, resta escluso che in una controversia relativa alle sanzioni civili (somme aggiuntive) e interessi per omesso versamento di contributi dovuti all’INPS, possa rilevare lo “ius superveniens” di cui all’art. 116, comma otto e segg., della legge n. 388 del 2000, contenente norme più favorevoli ai contribuenti, atteso che nessuna di tali disposizioni induce a ritenerne la retroattività, cosicché ne è esclusa l’applicabilità a violazioni accertate prima della relativa entrata in vigore.”.
2. Con il secondo mezzo, corrispondente al primo mezzo del ricorso di opposizione alla cartella di pagamento, denunciando violazione degli artt. 2114 e 2115 c.c. ci si duole che non sia stato considerato che il C. aveva rinunciato al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato.
Il motivo è infondato, essendosi più volte ritenuto (tra le tante Cass. n. 6221 del 13/03/2009) che “Gli atti di disposizione, ai quali si applica la disciplina dell’art. 2113 c.c., debbono attenere alle conseguenze patrimoniali del mancato o irregolare versamento dei contributi e non già all’obbligo del datore di lavoro di corrispondere i contributi all’INPS, perché quest’obbligo non può mai venir meno per effetto di pattuizioni intercorse tra il datore di lavoro ed il lavoratore all’inizio o durante lo svolgimento del rapporto, essendo queste espressamente travolte dalla nullità ex art. 2115 c.c. ed inoperanti nei confronti dell’ente previdenziale.”.
3. Con il terzo motivo del ricorso concernente l’opposizione ad ordinanza ingiunzione (corrispondente al secondo del ricorso di opposizione a cartella) si denunzia violazione dell’art. 2094 c.c. per avere ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con il C.
Con il terzo e quarto mezzo proposti in ciascuno dei due ricorsi, si lamenta difetto di motivazione sempre in relazione alla ritenuta natura subordinata del rapporto.
Anche questi motivi sono infondati.
Quanto alla violazione dell’art. 2094 c.c. è giurisprudenza consolidata (tra le tantissime Sez. 6 – L, Ordinanza n. 9808 del 04/05/2011) “Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale.”.
Parimenti infondate sono le censure di difetto di motivazione, dal momento che la sentenza impugnata ha valutato tutte le circostanze di fatto che si invocano in ricorso (disponibilità del conto corrente del datore, rapporti con i fornitori ecc.) di talché si tratta di apprezzamenti riservati al giudice di merito, in cui non si ravvisa alcun difetto logico né giuridico, per cui le doglianze sono inammissibili.
I ricorsi riuniti vanno quindi rigettati e le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte riunisce al ricorso n. 10345/2007 il ricorso n. 10607/2007 e li rigetta.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 40,00 per esborsi oltre duemilacinquecento per onorari, con accessori di legge.
Così deciso in Roma il 13 ottobre 2011.
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