Corte di Cassazione sentenza n. 26152 del 6 dicembre 2011
PREVIDENZA – ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI – INFORTUNIO SUL LAVORO – REVISIONE DELLA RENDITA – TERMINE DECENNALE – NATURA E FUNZIONE – CONSEGUENZE
massima
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Il termine decennale di cui all’art. 83 del Testo unico 30 giugno 1965 n. 1124, entro il quale si può procedere, a domanda dell’assicurato o per disposizione dell’istituto, alla revisione della rendita da infortunio sul lavoro, non è né di prescrizione, né di decadenza, non incidendo sull’esercizio ma sull’esistenza del diritto avendo solo la funzione di delimitare l’ambito temporale di rilevanza dell’aggravamento o del miglioramento delle condizioni dell’assicurato, poiché la legge collega al trascorrere del tempo, con decorrenza della maturazione del diritto, una presunzione assoluta per effetto della quale devono ritenersi definitivamente stabilizzate le condizioni fisiche. Ne consegue che l’attivazione del procedimento di revisione e l’accertamento medico legale possono aver luogo oltre il termine decennale se relative a modifiche intercorse entro il suddetto limite temporale.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 23.11.2006 – 25.1.2007 la Corte d’Appello dell’Aquila, in adesione alle conclusioni del CTU del grado, confermative di quelle adottate dai CTU di prime cure, rigettò il gravame proposto dall’Inail nei confronti di D.C.V. avverso la pronuncia del Tribunale di Chieti, che, in relazione all’infortunio sul lavoro verificatosi il 15.4.1982, aveva riconosciuto all’assicurato, con decorrenza dal 7.5.2003, una rendita (pari ad un gradiente dì invalidità del 27%) superiore a quella (22%) riconosciuta dall’Istituto a seguito di visita collegiale del 19.12.1995 (in aumento di quella – 18% – originariamente fissata con il provvedimento di costituzione del 20.11.1989), e successivamente confermata, con parere discorde, all’esito della collegiale medica del 14.12.2000.
Avverso tale sentenza della Corte territoriale, l’Inail ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.
L’intimato D.C.V. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato fondato su un motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, siccome proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
2. Il ricorrente principale, denunciando violazione dell’art. 83 D.P.R. n. 1124/65 (primo motivo) e vizio di motivazione (secondo motivo), si duole che la Corte territoriale non abbia tenuto conto, omettendo peraltro di motivare al riguardo, dell’avvenuto decorso del cosiddetto termine di cristallizzazione della rendita per infortunio, stante l’intervenuto decorso, alla data della riconosciuta spettanza del maggior gradiente di invalidità, del decennio dalla data di costituzione della rendita stessa.
3. Il controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso principale, sul rilievo che l’eccezione di violazione del termine decennale sarebbe stata sollevata dall’Inail per la prima volta in grado d’appello.
La censura è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del controricorso per cassazione, non essendo stati riportati in tale atto i passi della memoria di costituzione di primo grado dell’Inali da cui dovrebbe desumersi, secondo l’assunto, la mancata proposizione dell’eccezione.
Anche in disparte da tale pur assorbente rilievo, deve comunque rilevarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la sopravvenienza della diminuzione di attitudine al lavoro entro il decennio fa parte della stessa fattispecie costitutiva del diritto, implicando una presunzione assoluta per effetto della quale devono ritenersi definitivamente stabilizzate le condizioni fisiche; con la conseguenza che l’osservanza dì tale termine deve essere accertata dal giudice di merito, indipendentemente da qualsiasi eccezione di parte (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 7935/1987; 11052/1992).
4.1 Come testé ricordato, la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che il termine decennale di cui all’art. 83 D.P.R. n. 1124/65, entro il quale si può procedere, a domanda dell’assicurato o per disposizione dell’istituto, alla revisione della rendita da infortunio sul lavoro, non è né di prescrizione, né di decadenza, non incidendo sull’esercizio, ma sull’esistenza del diritto, ed avendo solo la funzione di delimitare l’ambito temporale di rilevanza dell’aggravamento o dei miglioramento delle condizioni dell’assicurato, poiché la legge collega al trascorrere del tempo una presunzione assoluta per effetto della quale devono ritenersi definitivamente stabilizzate le condizioni fisiche; con la conseguenza che l’attivazione del procedimento di revisione e l’accertamento medico legale possono aver luogo oltre il termine decennale se relativi a modifiche intercorse entro il suddetto limite temporale (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 11051/1992, cit.; e, più recentemente, Cass., nn. 16270/2005; 20994/2010; 3870/2011).
Il tenore testuale del dato normativo (“Trascorso il quarto anno dalla data di costituzione della rendita, la revisione può essere richiesta o disposta solo due volte, la prima alla fine di un triennio e la seconda alla fine del successivo triennio”, art. 83, comma 7, D.P.R. n. 1124/65), che in termini specifici ed inequivoci ricollega il decorso del termine alla “data di costituzione della rendita”, rende quindi irrilevante ai fini de quibus, contrariamente all’avviso del controricorrente, l’intervenuta variazione, medio tempore, della rendita originariamente fissata.
Essendo pacifico che la rendita venne costituita con provvedimento del 20.11.1989, la decorrenza del maggior gradiente di invalidità, ritenuta dal CTU e, quindi, dalla sentenza impugnata che ha aderito alle conclusioni dell’ausiliario, dal 7.5.2003, si colloca evidentemente oltre il decennio.
Il primo motivo del ricorso principale va dunque accolto, essendo stata la pronuncia assunta in violazione di norma di legge (appunto il ridetto art. 83 D.P.R. n. 1124/65).
4.2 Il secondo motivo del ricorso principale è invece inammissibile, poiché il vizio di motivazione denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini del giudizio, ma non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 261/2003; Cass., SU, n. 21712/2004).
5. Con l’unico motivo il ricorrente incidentale denuncia violazione di norme di legge (artt. 83 e 137 D.P.R. n. 1124/65), nonché vizio di motivazione, deducendo che la Corte territoriale non aveva valutato quanto dedotto con l’appello incidentale in relazione alla circostanza che l’infezione tetanica patita dall’assicurato, pur se indotta da causa violenta, aveva determinato il cronicizzarsi dei postumi ad evoluzione peggiorativa, per cui l’infermità risultava caratterizzata da un andamento lento, i cui esiti andavano considerati come malattia professionale, con conseguente applicabilità del termine di 15 anni previsto dall’art. 137 D.P.R. n. 1124/65.
Il motivo, e con esso il ricorso incidentale che sul medesimo si fonda, è inammissibile, vertendo su questione, implicante accertamento di fatto, non esaminata nella sentenza impugnata, siccome implicitamente assorbita dal ritenuto (ancorché giuridicamente erroneo) riconoscimento del maggior gradiente invalidante quale postumo dell’infortunio sul lavoro.
6. In definitiva il ricorso principale va accolto nei limiti sopra indicati, mentre quello incidentale va dichiarato inammissibile.
La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione alla doglianza accolta, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi agli indicati principi di diritto e provvedere altresì sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il secondo motivo e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello dell’Aquila in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 17 novembre 2011.
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