Corte di Cassazione sentenza n. 5676 del 7 marzo 2013
PREVIDENZA SOCIALE – PRESTAZIONI PREVIDENZIALI – INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI – TERMINE DI PRESCRIZIONE – DECADENZA – CAUSA SOSPENSIVA
massima
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In tema di prestazioni previdenziali, relative a infortuni sul lavoro e malattie professionali, il termine di cui all’art. 112 del D.P.R. n. 1124/1965 è un termine di prescrizione e non di decadenza, rispetto al quale operano, oltre alla speciale causa sospensiva regolata dall’art. 111 del citato D.P.R., le ordinarie cause di interruzione previste dal codice civile e in particolare quella di cui all’art. 2945, comma 2, c.c., secondo il quale la prescrizione, quando è stata interrotta dalla domanda giudiziale, non corre fino al momento in cui non passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
N.S., M.L. e F.L., quali eredi di G.L., hanno chiesto che venisse riconosciuto nei confronti dell’Ipsema (Istituto di Previdenza per il settore Marittimo) il loro diritto alla rendita ai superstiti ex art. 85 D.P.R. n. 1124/65. Il Tribunale di Catania ha accolto la domanda con sentenza che è stata confermata dalla Corte d’appello della stessa città, che ha respinto le eccezioni di improponibilità della domanda e di prescrizione del diritto a rendita, osservando, quanto alla prima, che nel corso del giudizio di primo grado era stata legittimamente disposta dal Tribunale, ex art. 421 c.p.c., l’acquisizione della domanda amministrativa, trattandosi di documento senz’altro indispensabile ai fini della decisione, e quanto alla seconda, che l’atto con cui N.S. (e cioè, una delle aventi diritto) aveva interrotto la prescrizione nel novembre 1999 aveva effetto anche riguardo agli altri creditori, ex art. 1310 c.c.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’Ipsema affidandosi a due motivi di ricorso.
Le intimate non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 134, 414, 421 e 443 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto l’eccezione di improponibilità della domanda, sollevata dall’Istituto, e chiedendo a questa Corte di stabilire “se la produzione di un documento avente fondamentale efficacia onde paralizzare l’avversa eccezione di improcedibilità e/o inammissibilità del ricorso introduttivo possa essere o meno effettuata dalla parte che intende giovarsene oltre i termini di cui all’art. 414 c.p.c, in assenza di autorizzazione ad opera del giudice ed in assenza di un provvedimento di acquisizione disposto dal giudice stesso ai sensi dell’art. 421 c.p.c.”.
2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 185, 111, 112 D.P.R. n. 1124/65, 1294, 1310 c.c., 134, 414 e 421 c.p.c., chiedendo a questa Corte di stabilire se possa o meno essere riconosciuto, in assenza di presunzione di legge o di specifiche pattuizioni inter partes, effetto estensivo nei confronti degli altri creditori alla richiesta di prestazione sottoscritta solo da uno di essi”.
3.- Il primo motivo è infondato. E’ vero, infatti, che, come questa Corte ha già affermato (Cass. sez. unite n. 11353/2004), nel rito del lavoro l’esercizio dei poteri istruttori ufficiosi è discrezionale ma non arbitrario, sicché il giudice deve esplicitare le ragioni per le quali reputi di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso, e che pertanto “deve esserci sempre la specifica motivazione dell’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio, ex art. 421 c.p.c.” (Cass. n. 22305/2007, secondo cui il mancato esercizio di detti poteri va motivato, invece, solo in presenza di circostanze specifiche che rendono necessaria integrazione probatoria).
E’ altrettanto vero che, nella specie, come risulta anche dalla motivazione della sentenza impugnata, il primo giudice, nell’acquisire copia della lettera del novembre 1999 contenente la richiesta di corresponsione della rendita che forma oggetto della presente causa, non ha espressamente motivato in ordine all’esercizio di tali poteri, né ha motivato in ordine all’eccezione di improponibilità della domanda giudiziaria sollevata dall’Ipsema sul presupposto della mancata presentazione della domanda amministrativa.
4.- Con la sentenza impugnata, la Corte territoriale ha tuttavia sopperito a tali carenze – nell’ambito dell’effetto devolutivo del gravame, che conferisce al giudice del riesame il potere di (ri)decidere con gli stessi poteri dell’organo che ha emesso l’atto impugnato e attraverso una nuova verifica di tutte le questioni che questo aveva già esaminato – osservando al riguardo che “l’acquisizione del detto documento” doveva “ritenersi legittimamente disposta dal giudice di primo grado ai sensi dell’art. 421 c.p.c., in quanto trattasi di documento senz’altro indispensabile ai fini della decisione e che di fatto era ben conosciuto dalla parte contro cui veniva esibito”.
5.- Il ricorrente avrebbe dovuto pertanto rivolgere le proprie censure contro tale valutazione di merito operata dalla Corte d’appello, integralmente sostitutiva di quella gravata, non potendo limitarsi a rilevare l’assenza “di autorizzazione ad opera del giudice” o “di un provvedimento di acquisizione disposto dal giudice stesso ai sensi dell’art. 421 c.p.c.”, né a svolgere censure che, investendo solo aspetti marginali delle argomentazioni svolte sul punto nella sentenza impugnata, lasciano poi intatto il giudizio di “indispensabilità” della prova formulato dalla Corte territoriale per ritenere legittimamente acquisito il documento al processo. Il primo motivo deve essere pertanto rigettato.
6.- Il secondo motivo è fondato. La Corte territoriale ha ritenuto – correttamente – che il diritto alla rendita ai superstiti previsto dall’art. 85 D.P.R. n. 1124/65 sia soggetto al termine di prescrizione di cui all’art. 112 stesso D.P.R., che comincia a decorrere dal momento in cui l’avente titolo alla prestazione abbia la ragionevole certezza, desunta da elementi oggettivi di conoscenza, non solo dell’esistenza dello stato morboso, ma anche della sua eziologia e del raggiungimento della soglia, indennizzabile (Cass. n. 15343/2002, Cass. n. 5009/2002), e che è soggetto ad un unico periodo di sospensione della durata di centocinquanta giorni, collegata alla pendenza del procedimento amministrativo (art. 111 D.P.R. cit.).
7.- La Corte di merito ha poi ritenuto che, nel caso di specie, la prescrizione triennale sia stata interrotta dalla presentazione della domanda amministrativa del 9.11.1999 e che tale domanda, benché proposta solo dalla madre, N.S., abbia spiegato effetto interruttivo anche per le figlie, M.L. e F.L., in forza del disposto di cui all’art. 1310 c.c., secondo cui gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido, oppure uno dei creditori in solido interrompe la prescrizione contro il comune debitore, hanno effetto riguardo agli altri debitori o agli altri creditori.
8.- Tale statuizione non può essere condivisa poiché, come è già stato precisato (Cass. n. 12734/2003; cfr. anche Cass. n. 18612/2006), ai sensi dell’art. 85 D.P.R. n. 1124/65, ogni superstite è titolare di un diritto autonomo, a ciascuno spettante sulla base di detta norma, senza che ricorra ipotesi di solidarietà attiva, sicché deve escludersi che l’atto con il quale uno dei superstiti interrompe la prescrizione nei confronti dell’ente previdenziale possa estendere i suoi effetti con riguardo agli altri aventi, titolo alla prestazione di cui all’art. 85 cit., in forza di una disposizione (quella, cioè, dell’art. 1310 c.c.) che è applicabile solo in materia di obbligazioni in solido.
9.- Il secondo motivo deve essere pertanto accolto con la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa alla stessa Corte d’appello in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della questione controversa, uniformandosi al principio di diritto enunciato al precedente punto 8), e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione la motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.
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