CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 gennaio 2014, n. 2882
Reati fiscali – Omesso versamento Iva – Responsabilità del commercialista – Fattispecie
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello di L’Aquila, adita su appello del Pubblico Ministero e dell’imputato A.G., con sentenza 15.3.2013, rigettando parzialmente l’impugnazione dell’imputato e in accoglimento di quella dei Pubblico Ministero, ha riformato in parte la pronunzia del Tribunale di Chieti, escludendo la circostanza attenuante di cui all’art. 13 del D.Lvo n. 74/2000 e, concesse all’imputato le attenuanti generiche, ha rideterminato la pena in mesi quattro di reclusione. Ha applicato altresì le pene accessorie in relazione al reato di cui all’art. 10 ter, di cui l’imputato era stato ritenuto responsabile per omesso versamento IVA relativa all’anno 2005, quale legale rappresentante della L.T. srl.
Per giungere a tale conclusione la Corte di merito ha rilevato che l’IVA relativa al 2005 non fu versata nei termini e che la comunicazione dei 2009 fatta all’Erario per informarlo dell’errore sulla detrazione di un credito già utilizzato per compensare altre imposte del credito, cosi come li versamento integrativo delle somme relative ad IRES e IRAP, costituiva un escamotage per rimediare ad una situazione che avrebbe avuto risvolti penali. Secondo la Corte di merito non era affatto erronea la compensazione del credito IVA 2004 con l’IRES e IRAP 2005, ma rispose ad una scelta effettuata dai gestore della contabilità societaria, non esistendo agii atti nessuna disposizione con cui l’A. indicò ai commercialista di utilizzare li credito di imposta solo per compensare l’IVA dei 2005: di conseguenza il consulente non fece nessun errore di diritto e che si trattò di errore di fatto (nei senso che si fece ciò che in realtà non si voleva) non risultava dimostrato in alcun modo.
Ha rilevato inoltre che in mancanza di una delega formale non aveva nessun rilievo scriminante il fatto che il legale rappresentante della società si fosse rivolto ad uno studio professionale per la gestione della contabilità e delle incombenze tributarie.
Ha poi ritenuto di accogliere la richiesta di concessione dei doppi benefici di legge, formulata in subordine dall’appellante.
Esaminando l’appello del pubblico ministero, ha ritenuto che correttamente dovesse escludersi l’attenuante speciale, non risultando provato che il debito IVA 2005 e le relative sanzioni vennero pagate dalla società dell’imputato. Conseguentemente, ha disposto le pene accessorie.
2. L’A. tramite il difensore ricorre per cassazione deducendo quattro motivi.
Considerato in diritto
1. Evidenti ragioni di priorità logica inducono il Collegio a partire dall’esame dei quarto motivo di ricorso, con cui si deduce ìinosservanza degli artt. 591 e 582 cpp per omessa presentazione dell’impugnazione del Pubblico Ministero nella cancelleria del giudice (Tribunale di Chieti) che aveva emesso il provvedimento impugnato, mancando qualunque attestazione in tal senso.
Il motivo è infondato.
Certamente, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il procuratore della Repubblica, che non intenda avvalersi della possibilità – offerta a tutte le parti dall’art. 583 – di spedire l’atto di appello, proposto in materia cautelare, a mezzo telegramma o raccomandata, deve – a pena di inammissibilità – presentarlo nella cancelleria dei tribunale del luogo nel quale ha sede la corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza, perché solo le parti private ed i loro difensori hanno, ai sensi del secondo comma dell’art. 582 cod. proc. pen., la possibilità di presentare l’impugnazione anche nei luogo in cui essi si trovano (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 38504 del 13/10/2010 Cc. dep. 02/11/2010 Rv. 248917; Sez. 4, Sentenza n. 15674 dei 10/02/2004 Cc. dep. 02/04/2004 Rv. 228046; Sez. 4, Sentenza n. 3265 del 01/06/2000 Cc. dep. 10/08/2000 Rv. 217128).
Nel caso di specie, però, dagli atti del giudizio – il cui esame è senz’altro consentito in ragione della natura procedurale dei vizio dedotto – risulta che l’appello è stato depositato presso la cancelleria del giudice a quo in data 23.6.2010, come da timbro apposto sull’originale dell’atto.
L’impugnazione era, dunque, ammissibile.
2.1 Passando all’esame degli altri motivi di ricorso rileva la Corte che con il primo di essi di denunzia la nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 43 e 47 cp nonché 10 ter del D. Lvo n. 74/2000 e 2 del DPR n. 322/1998.
Afferma il ricorrente che il superamento della soglia di punibilità (per poco più di 1.000,00 euro) era stato determinato da un errore materiale dei proprio commercialista e che quindi la propria condotta non era sorretta da coscienza e volontà. Infatti, a fronte di un debito IVA di €. 51.181,00 (quindi di poco superiore alla soglia di punibilità), la società L.T. srl (di cui egli era il legale rappresentante) vantava un credito IVA di €. 16.781,00 sempre nel 2005 e che tale credito era stato utilizzato erroneamente dai commercialista per compensare l’IRES e l’IRAP nonostante la volontà della società fosse nel senso di impiegare l’importo per compensare parzialmente il debito IVA. Osserva che dopo la notifica della cartella di pagamento si era venuti a scoprire detto errore e pertanto il commercialista aveva provveduto nel 2009 a presentare una dichiarazione integrativa predisponendo ed eseguendo il pagamento degli importi delle imposte sui redditi erroneamente compensati col credito IVA .
In tal modo – prosegue il ricorrente – il debito IVA per il 2005 da versare entro il 27.12.2006 si riduceva da €. 51.181,00 a €. 34.400,00, per effetto, appunto, di compensazione parziale.
Mancando quindi l’elemento soggettivo del reato, oltre che quello oggettivo, la punibilità doveva essere esclusa ai sensi dell’art. 47 cp, anche perché sarebbe illogico ritenere che l’imputato, per appena 1.000,00 euro, abbia deciso di dare rilievo penale alla propria condotta.
2.2 Con un secondo motivo si denunzia la nullità ò della sentenza per violazione degli artt. 187, 192 e 194 cpp nonché l’omessa motivazione e/o travisamento dei fatti: la Corte d’Appello, a dire del ricorrente, avrebbe completamente tralasciato di considerare la deposizione resa dal commercialista dott. R. il quale aveva ammesso che per un errore del proprio ufficio il credito IVA di €. 16.871,00 era stato utilizzato in compensazione con il debito relativo alle imposte dirette e che l’intenzione della società era invece quella di utilizzare detto credito per compensare il debito IVA scaturente dalle liquidazioni mensili dell’anno 2005. Secondo il ricorrente, dunque, la prova dell’errore di fatto era stata fornita nel giudizio, contrariamente a quanto affermato dalia Corte di merito.
2.3 Col terzo motivo il ricorrente deduce la nullità ai sensi dell’art. 606 lett. c) cpp e la contraddittorietà della motivazione per divergenza tra dispositivo e motivazione osservando che nella parte motiva conteneva il riferimento alla concessione dei doppi benefici di legge, mentre invece nel dispositivo nulla si afferma e rileva che – trattandosi di pronuncia emessa con motivazione contestuale – non era possibile accertare la reale volontà del giudice, per cui il provvedimento doveva considerarsi assolutamente anomalo e quindi soggetto ad annullamento con rinvio.
I primi due motivi sono fondati.
II vizio della motivazione deducibile in cassazione ai sensi del testo novellato dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. può essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati, con la conseguenza che assume rilievo il travisamento della prova, da ritenersi configurato quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nei processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cfr. tra le varie, Sez. 7, Ordinanza n. 27518 del 11/05/2006 Cc. dep. 02/08/2006 Rv. 234604 ; Sez. 2, Sentenza n. 13994 del 23/03/2006 Cc. dep. 20/04/2006 Rv. 233460).
Nel caso di specie, già coi secondo motivo di appello era stato dedotto l’errore dei commercialista precisandosi che la circostanza era stata confermata in aula dal medesimo il quale aveva dichiarato che il proprio ufficio per errore aveva generato una delega in compensazione utilizzando i 16.781 euro del credito relativo all’anno precedente per pagare imposte dirette relative ai 2004, e che nella relazione a firma del dott. R. si affermava l’intenzione della società di utilizzare il credito di €. 16.781,00 indicato in dichiarazione per compensare il debito IVA scaturente dalle dichiarazioni mensili dell’anno 2005.
La circostanza era senz’altro decisiva perché analizzata ad escludere l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 10 ter del D.Lvo n. 74/2000, che è costituito dalia coscienza e volontà dell’agente di sottrarsi all’adempimento dell’obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo.
La Corte d’Appello, però, senza prendere in esame tale circostanza, ha affermato che non è stato dimostrato in alcun modo l’errore di fatto (nel senso che si fece ciò che In realtà non si voleva), incorrendo in tal modo nel vizio di travisamento della prova: la sentenza va pertanto annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia che esaminerà la prova rappresentata dalla dichiarazione del commercialista e ne valuterà la rilevanza.
Resta logicamente assorbita la trattazione del restante motivo (il terzo), anche se è opportuno chiarire in ogni caso che la regola generale secondo cui, in caso di difformità, il dispositivo prevale sulla motivazione della sentenza incontra una deroga nel caso in cui l’esame della motivazione stessa consenta di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice, sì da condurre alla conclusione che la divergenza dipende da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nei dispositivo (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 19462 dei 20/02/2013 Ud. dep. 06/05/2013 Rv. 255478; sez. 5, Sentenza n. 8363 del 17/01/2013 Ud. dep. 20/02/2013 Rv. 254820; Sez. 6, Sentenza n. 25704 dei 23/05/2003 Cc. dep. 12/06/2003 Rv. 226048).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia.
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