CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 gennaio 2014, n. 3639
Tributi – IVA – Omesso versamento – Crisi dell’azienda – Irrilevanza
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’Appello di L’Aquila con sentenza 1.10.2012 – ha confermato quella del Tribunale di Teramo che aveva riconosciuto P. D. colpevole del reato di cui all’art. 10 ter D. L.vo n. 74/2000 (omesso versamento di IVA per l’anno di imposta 2005 per un ammontare complessivo di €. 106.159,00) rilevando – per quanto ancora interessa – che l’imputata, di momento in cui era entrata in vigore la disposizione, aveva avuto il tempo sufficiente per organizzare le sue risorse e che in ogni caso sussisteva un dovere di accantonamento.
2. Il difensore ricorre per cassazione censurando il giudizio di responsabilità sotto il profilo della violazione di legge (art. 10 ter del D. L.vo n. 74/2000 e 27 cost.) e della mancanza e/o contraddittorietà della motivazione in ordine alla sostenuta congruità del termine di sei mesi per effettuare il versamento dovuto e alle riconosciute difficoltà economiche dell’impresa.
Critica, in particolare, il ragionamento della Corte d’Appello laddove la rimproverabilità della condotta è stata posta in relazione proprio al mancato accantonamento della somma quando ciò doveva essere fatto senza considerare che nel momento in cui aveva realizzato il comportamento (cioè l’omesso accantonamento) l’imputata non poteva prevedere che tale condotta presentasse un disvalore penale: in sostanza, la ricorrente afferma di non avere potuto concretamente orientare il proprio comportamento al mutato quadro normativo – sanzionatorio in quanto l’introduzione della norma penale ha seguito cronologicamente l’omesso accantonamento di quanto dovuto a titolo di IVA. Invoca la sentenza della Corte Costituzionale n. 364/88 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 cp nella parte in cui non prevede la scusabilità della ignoranza inevitabile della legge penale. Richiama altresì il principio di colpevolezza sancito dall’art. 27 comma 1 Cost.
Sotto il profilo del vizio motivazionale la ricorrente rimprovera alla Corte di avere apoditticamente sancito che il termine di sei mesi a disposizione dell’imputata dalla data di entrata in vigore della norma penale appariva sufficiente per organizzarsi alla luce del sopravvenuto quadro normativo, senza tenere in alcun conto l’entità della somma dovuta e riconoscendo comunque l’esistenza di difficoltà economiche, tanto da concedere, sulla base di tale presupposto, le attenuanti generiche.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato sotto entrambi i profili.
A norma del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, inserito con il D.L. 4 luglio del 2006, art. 35, comma 7, convertito con modificazioni nella L. 4 agosto del 2006, la sanzione prevista dall’art. 10 bis per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate si applica anche a chiunque non versi l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.
Come già chiarito in passato da questa Corte (cfr. in proposito cass. Sez. 3, Sentenza n. 38619 del 14/10/2010 Cc. dep. 03/11/2010 Rv. 248626), l’anzidetta norma ha introdotto una nuova fattispecie criminosa diretta a sanzionare l’omesso versamento dell’IVA in base alle risultanze della dichiarazione annuale A tale nuova fattispecie è stata estesa la sanzione penale prevista per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate dal precedente art. 10 bis, in forza del quale è punito “con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti,per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo d’imposta”.
Il comportamento del soggetto che non versa l’IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale è stato quindi dal legislatore assimilato, sotto il profilo sanzionatorio, a quello del sostituto che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.
Il momento consumativo del reato è individuato alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo. Tale termine è fissato dalla L. n. 405 del 1990, art. 6, comma 2, al 27 dicembre. Conseguentemente per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alla scadenze previste, ma occorre che l’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento. Nella fattispecie, al 27 dicembre del 2006 (giacché, come si è detto, l’omesso versamento si riferiva appunto all’anno di imposta 2005).
Orbene, dal fatto che la disposizione in commento è entrata in vigore il 4 luglio del 2006 e che il delitto si perfeziona alla data del 27 dicembre di ciascun anno per IVA relativa alla dichiarazione dell’anno precedente deriva che la nuova disposizione sanzionatoria troverà applicazione per tutti i reati di omesso versamento consumati entro il 27 dicembre del 2006 riguardanti l’IVA relativa all’anno 2005.
E’ opportuno ricordare che di recente, la questione della individuazione del momento consumativo del reato è stata definitivamente risolta dalle sezioni unite. Infatti, con la sentenza 28 marzo – 12 settembre 2013 n. 37424, è stato affermato che l’art. 10-ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, inserito dall’art. 35, comma 7, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, entrato in vigore il 4 luglio 2006 (il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di imposta), è applicabile anche alle omissioni dei versamenti IVA relativi all’anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale.
Le sezioni unite hanno altresì affrontato alcuni dubbi di costituzionalità della norma: con riferimento all’art. 27 cost., hanno ritenuto la relativa questione manifestamente infondata osservando che lo spazio di condotta virtuosa consentito al soggetto dall’entrata in vigore dell’art. 10-ter fino alla scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo porta senz’altro a escludere che dal principio di colpevolezza possa discendere un rilievo ostativo assoluto all’applicabilità della nuova norma penale alle omissioni di versamento relative ai debiti IVA del 2005 (cfr. S.U. 37424/2013 cit.) – A tale impostazione va data dal Collegio senz’altro continuità per completezza espositiva è il caso di aggiungere che non sussiste neppure contrasto con il principio di cui all’art. 117 (in relazione all’art. 7 CEDU).
L’art. 7 CEDU nella prima parte stabilisce che “nessuno può essere condannato per una azione od omissione che, nel momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo la legge nazionale o internazionale”. La disposizione è simile all’art. 25 comma 2 cost. secondo cui “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
Orbene, come rilevato dalle sezioni unite con la citata sentenza 37424/2013, se è vero che, al momento della scadenza del “termine fiscale” per il versamento periodico dei debiti IVA relativi all’anno 2005, il reato in discussione non era ancora stato introdotto – essendo l’entrata in vigore dell’art. 10-ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, posteriore a detta scadenza -, è altrettanto vero, però, che la condotta penalmente rilevante non è l’omissione del versamento periodico nel termine previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale nel maggiore termine stabilito per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo. Pertanto, il soggetto che aveva omesso i versamenti periodici per il 2005 nel termine previsto dalla normativa tributaria (e che vi aveva persistito nel primo semestre 2006) avrebbe avuto ancora, fino al 27 dicembre 2006, la possibilità di assumere le proprie determinazioni in ordine all’effettuazione di un versamento dei debiti che, in relazione al quantum risultante dalla dichiarazione annuale da lui stesso presentata, mantenesse l’omissione non oltre la soglia dei cinquantamila euro. La risoluzione di non provvedere a tanto, che dà luogo alla commissione del reato, si colloca, dunque, in un’epoca ampiamente successiva alla introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, alla quale non può, pertanto, attribuirsi un effetto retroattivo.
Sulla base di tali argomentazioni, le sezioni unite (cfr. S.U. 37424/2013 cit. in motivazione) hanno ritenuto la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 25, comma secondo, della Costituzione che, come si è detto, enuncia un principio simile a quello di cui all’art. 7 CEDU e pertanto in tal senso va risolta anche la questione oggi posta dal ricorrente al Collegio con riferimento all’art. 117 Cost. e 7 CEDU.
Alla stregua delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata, dunque, non solo appare corretta in diritto, ma espone del tutto logicamente il percorso argomentativo seguito nel rispondere alla censura sull’elemento soggettivo del reato, laddove, appunto, rileva che il termine di sei mesi avuto a disposizione dell’imputata era certamente sufficiente per organizzare il versamento di una somma che avrebbe dovuto comunque essere accantonata dall’imprenditrice nel corso del 2005 e che anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 10 ter sussisteva l’obbligo giuridico, sia pure non penalmente sanzionato, del versamento all’Erario, sicché una diversa scelta dell’impiego della somma, è circostanza che non può influire sull’elemento soggettivo.
Allo stesso modo, privo di smagliature logiche si rivela l’argomento utilizzato dai giudici di merito per confutare la dedotta situazione di difficoltà finanziaria che – dire dell’imputata – le aveva impedito di versare l’IVA: il mancato accantonamento di una somma sufficiente determina una situazione di difficoltà in cui il contribuente si è volontariamente calato perché l’IVA incassata deve essere versata e non può essere utilizzata per fronteggiare altre esigenze aziendali.
In conclusione, il ricorso da una parte non tiene conto (seppur comprensibilmente, ratione temporis) dei principi affermati dalle sezioni unite e dall’altra sollecita una – non consentita – rivisitazione di valutazioni riservate al giudice di merito: esso pertanto deve esser respinto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 35696 depositata il 14 dicembre 2020 - In tema di omesso versamento IVA la crisi economica in relazione al reato di cui all'art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, deve ricordarsi che il dissesto…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 36278 depositata il 21 agosto 2019 - Nel reato di omesso versamento dei contributi, l'imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della…
- Corte di Cassazione ordinanza n . 10262 depositata il 30 marzo 2022 - Le operazioni strutturate mediante conferimento d'azienda seguito dalla cessione di partecipazioni della società conferitaria non possono essere riqualificate in una cessione…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 10269 depositata il 30 marzo 2022 - Le operazioni strutturate mediante conferimento d'azienda seguito dalla cessione di partecipazioni della società conferitaria non possono essere riqualificate in una cessione…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 25537 depositata il 10 giugno 2019 - Omesso versamento all’Inps delle ritenute assistenziali e previdenziali ed applicabilità della causa di non punibilità della "particolare tenuità del fatto" - Il…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 42534 depositata il 16 ottobre 2019 - L'integrazione del reato di cui all'art. 10 ter cit., omesso versamento IVA, non è esclusa laddove l'omesso versamento dell'Iva dipenda dal mancato incasso della…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…