CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 gennaio 2014, n. 3544
Reati societari – Bancarotta fraudolenta – Commercialista – Misura interdittiva – Sospensione dallo svolgimento dell’attività – Intercettazioni telefoniche – Sussiste.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 22 marzo 2013 il Tribunale del riesame di Lecce, così modificando il provvedimento assunto dal locale giudice per le indagini preliminari, ha sottoposto G. Z. alla misura interdittiva del divieto di esercitare per due mesi la professione di dottore commercialista, quale indagato a titolo di concorso per il delitto di cui agli artt. 236, commi 1 e 2, 223, 216, comma 1, n. 2) e comma 2, 219, commi 1 e 2 della legge fallimentare.
1.1. Secondo l’accusa lo Z., incaricato di redigere la relazione attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario, di cui all’art. 161, comma terzo, della citata legge, aveva esposto dati difformi dal vero, così alterando il risultato finale della denunzia della situazione patrimoniale della società F. S. L. s.r.l. con l’attribuzione di attività inesistenti e di crediti in tutto o in parte inesistenti.
1.2. Ha ritenuto il Tribunale che dalle conversazioni intercettate fossero emersi gravi elementi indiziari a carico dell’indagato; e che, quanto alle esigenze cautelari, sussistesse il pericolo concreto di reiterazione delle condotte criminose.
2. Ha proposto ricorso per cassazione lo Z., per il tramite del difensore, affidandolo a due motivi.
2.1. Col primo, articolato, motivo il ricorrente contrasta il giudizio espresso dal Tribunale circa la propria consapevole partecipazione al programma fraudolento attribuito al coindagato, Avv. I. S..
2.2. Col secondo motivo nega che sia ravvisabile il pericolo di reiterazione del reato, di cui sostiene essere carenti i requisiti di concretezza e attualità.
3. Agli atti vi è la dichiarazione di rinuncia al ricorso, sottoscritta personalmente dallo Z..
Considerato in diritto
1. Osserva la Corte che, quand’anche non vi fosse l’espressa dichiarazione di rinuncia al ricorso, formulata personalmente dal ricorrente, dovrebbe nondimeno riconoscersi la carenza d’interesse, in capo allo Z., a coltivare ulteriormente l’impugnazione, per essersi frattanto estinta la misura cautelare adottata nei suoi confronti. Si è, infatti, trattato di una misura interdittiva di carattere temporaneo la cui durata, fissata in due mesi, si è ormai da tempo compiuta.
2. Non resta, dunque, che dichiarare inammissibile il ricorso a motivo della sopravvenuta carenza d’interesse; senza, peraltro, che ciò comporti condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria di cui all’art. 616 cod. proc. pen., non potendosi far gravare sul ricorrente le conseguenze di una circostanza sopravvenuta, cui egli non ha dato causa (v. per tutte Sez. 6, n. 44805 del 05/11/2003, Scarpelli, Rv. 227168).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
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