CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 febbraio 2014, n. 6342
Reati societari – Svendita – Condotta dissipativa – Bancarotta fraudolenta patrimoniale – Sussiste
Ritenuto in fatto
Il difensore di V.L. ricorre avverso la pronuncia emessa a carico della sua assistita dalla Corte di appello di Potenza il 22/06/2012, in forza della quale risulta confermata la sentenza del Tribunale della stessa città del 16/05/2011, recante la condanna dell’imputata alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione per delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, in ipotesi commessi relativamente alla gestione di una ditta individuale, dichiarata fallita nel marzo 2002.
Il difensore lamenta contraddittorietà ed illogicità della motivazione con riguardo alla affermazione della penale responsabilità dell’imputata:
– quanto al reato di bancarotta per distrazione, atteso che dall’istruttoria dibattimentale era emersa la prova dell’avvenuta vendita delle merci (capi di abbigliamento) non rinvenute all’atto dell’inventario, con tanto di regolari scontrini, vendita a prezzi particolarmente scontati data la vetustà dei capi in questione e la necessità di realizzare liquidità anche per far fronte alle pretese creditorie (peraltro, risultava provato che con il ricavato di poco più di 1.400,00 euro si era fatto fronte al pagamento della tassa sui rifiuti). In proposito, nel ricorso si richiama un orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui non è ravvisabile il delitto qui contestato, almeno in punto di dolo, laddove un imprenditore alieni beni al solo fine di estinguere i debiti contratti o di disporre di congrui finanziamenti onde superare un temporaneo stato di dissesto;
– quanto al reato di bancarotta documentale (vengono citati ulteriori precedenti giurisprudenziali, afferenti sia l’elemento materiale che l’elemento psicologico necessari per ravvisare il delitto de quo), rilevandosi che «non vi sono contestazioni precise, ma si accede ad un discorso a contrario, facendo rinvenire dalla precedente imputazione la presente. Invero, non vi sono elementi probanti e per di più dagli stessi elementi di prova richiamati dalla contestata sentenza vi sono palesi inadempienze della curatela, che non ha nemmeno tentato di fare verifiche sulle rimanenze e sul loro valore, nonostante l’indagata non avesse alcun obbligo di avere un registro magazzino e nonostante che dalle verifiche della Guardia di Finanza non risultassero anomalie nella contabilità che è stata consegnata in toto».
Considerato in diritto
1. Il ricorso deve qualificarsi inammissibile.
1.1 Quanto al primo motivo, va rilevato che le doglianze proposte riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame: a riguardo, è necessario precisare che il difetto di specificità del motivo – rilevante ai sensi dell’art. 581, lett. c), cod. proc. pen. – va apprezzato non solo in termini di indeterminatezza, ma anche «per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità dell’impugnazione» (Cass., Sez. II, n. 29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo).
Nel caso in esame, è appena il caso di rilevare che la difesa non coglie – e sostanzialmente non prova neppure a confutare – gli argomenti ritenuti decisivi dalla Corte territoriale, a conferma della decisione di primo grado, tenendo peraltro presente che già i giudici di appello avevano evidenziato che «le considerazioni contenute nell’atto di gravame risultano meramente ripropositive di argomenti già ampiamente valutati nella sentenza appellata». Ad esempio, nella motivazione della pronuncia oggetto di ricorso si legge che la ditta fallita aveva annotato ricavi (fra il 1999 e il 2000) per circa 190 milioni di lire, a fronte di un decremento di magazzino per quasi 900 milioni, il che avrebbe potuto spiegarsi solo ipotizzando che l’impresa avesse praticato prezzi di vendita addirittura inferiori dell’80% rispetto a quelli di acquisto: tesi che – oltre a non trovare riscontri probatori significativi, ben potendo uno scontrino per importo modesto nascondere piuttosto introiti maggiori – era sconfessata dallo stesso consulente contabile della ditta de qua, secondo cui la valutazione delle rimanenze era comunque fatta sul parametro del valore di acquisto dei beni. Analogamente, la difesa della ricorrente non tiene in alcun conto l’osservazione dei giudici lucani in base alla quale «se anche si volesse dar credito all’assunto difensivo, la condotta correlata alla vendita della merce a condizioni di realizzo integrerebbe ugualmente la fattispecie di reato contestata nell’ipotesi della dissipazione, essendosi concretizzata in una serie di operazioni sistematiche, comportamenti la perdita di beni aziendali».
1.2 II secondo motivo di ricorso, oltre ad essere parimenti generico per obiettiva astrattezza delle doglianze proposte, è a fortiori inammissibile in quanto – come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, esaminando l’atto di appello – sulla condanna concernente il reato di bancarotta documentale non era stato avanzato alcun profilo di gravame, sì da far ritenere che la sentenza di primo grado fosse in parte qua già passata in giudicato. Rilievo che il collegio non può che condividere, avuto riguardo al contenuto dell’appello che lo stesso difensore propose il 05/08/2011.
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna della L. al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla volontà della ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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