Corte di Cassazione sentenza n. 6230 del 13 marzo 2013
RISCOSSIONE – IVA – SOCIETA’ DI PERSONE – EX SOCIO PAGA IVA – TRIBUTI LOCALI – IRAP
massima
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Il Fisco può recuperare l’IVA dall’ex socio di una società in nome collettivo se il trasferimento della quota non è stato formalizzato mediante iscrizione nel Registro delle imprese. Va confermata la legittimità della cartella di pagamento notificata al contribuente, nella sua qualità di ex socio della S.n.c. accertata. Dalla documentazione allegata in atti è emerso con certezza che l’atto di cessione della quota societaria, redatto in forma di scrittura privata, non era stato iscritto nel Registro delle imprese. Il socio di società in nome collettivo che cede la sua quota, risponde nei confronti dei terzi delle obbligazioni sociali sorte sino al momento in cui la cessione non sia stata registrata presso il Registro delle imprese e fino al momento anteriore in cui il terzo sia venuto a conoscenza della cessione. Tale pubblicità, quindi, costituisce fatto impeditivo di una responsabilità, altrimenti normale, sicché essa deve essere allegata e provata dal socio che opponga la cessione delle quote, al fine di escludere la propria responsabilità per le obbligazioni sociali. Infatti, con riferimento alle società di persone, la perdita di qualità di socio, integrando modificazione dell’atto costitutivo, è soggetta a iscrizione nel Registro delle imprese, a pena di inopponibilità ai terzi, a meno che non si provi che questi ne fossero comunque a conoscenza In particolare, l’iscrizione deve essere richiesta, nel termine di trenta giorni, dall’amministratore o, in alternativa, da uno qualsiasi dei soci, il quale può anche limitarsi a chiedere la condanna dell’amministratore a eseguirla, ex artt. 2300, primo comma, e 2296 c.c.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
F.P. proponeva ricorso avverso la cartella di pagamento riconducibile a due avvisi di accertamento emessi nei confronti della N.M. s.n.c. con i quali l’Ufficio aveva accertato maggiori imposte Iva ed Irap per gli anni 1999 e 2000 e che gli era stata notificata nella sua qualità di coobbligato, siccome socio della N.M. s.n.c, nonché avverso gli avvisi di accertamento Irpef emessi sempre per la dedotta qualità.
Il contribuente deduceva di non essere più socio sin dal 23.1.1995 per avere ceduto la propria quota a terzi.
Il ricorso veniva accolto dalla C.T.P. mentre l’appello proposto avverso detta sentenza dall’Agenzia delle Entrate veniva rigettato dalla C.T.R. del Lazio con sentenza n. 21/34/07, depositata il 7.2.2007. La Commissione Tributaria Regionale, dando atto che dagli atti acquisiti (sentenza del Tribunale civile di Rieti) risultava che il F. aveva ceduto la propria quota sociale sin dall’anno 1995, argomentava la decisione rilevando che secondo il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 5, al socio che non abbia svolto alcun ruolo nella redazione dei bilanci e dei rendiconti non poteva essere imputato alcun reddito prodotto dalla società di cui aveva fatto parte ma alla quale non apparteneva più nel momento cui si riferiva il periodo fiscale. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’Agenzia delle Entrate.
F.P. ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2300 c.c.
Secondo la prospettazione difensiva il recesso dalla società in quanto non iscritto nel registro delle imprese non era opponibile all’amministrazione finanziaria.
2. Con il secondo motivo, articolato sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, si deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36. Secondo la prospettazione difensiva la C.T.R. avrebbe errato a riconoscere valore assorbente alla produzione di sentenza civile (con la quale si era accertata l’avvenuta cessione delle quote sociali da parte del F. sin dal 23.1.1995) senza tenere in alcun conto la circostanza, debitamente esposta in atto di appello, secondo cui non era stato adempiuto al preciso obbligo di comunicazione previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36, a mente del quale le società, comprese quelle in nome collettivo e in accomandita semplice e gli enti diversi dalle società soggetti all’imposta sui redditi delle persone devono inviare all’ufficio delle imposte competente per l’accertamento entro tre mesi copie dell’atto costitutivo e delle deliberazioni che lo modificano.
3. Il primo motivo è fondato.
3.1 E’ pacifico in atti che l’atto di cessione delle quote, redatto in forma di scrittura privata, non è stato iscritto al Registro delle Imprese.
3.2 In tale contesto non resta che dare seguito all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il socio di società in nome collettivo che cede la sua quota risponde nei confronti dei terzi, delle obbligazioni sociali sorte sino al momento in cui la cessione non sia stata registrata presso il registro delle imprese o fino al momento anteriore in cui il terzo sia venuto a conoscenza della cessione. L’indicata pubblicità costituisce, dunque, fatto impeditivo di una responsabilità, altrimenti normale, sicché essa deve essere allegata e provata dal socio che opponga la cessione delle quote al fine di escludere la propria responsabilità per le obbligazioni sociali. (Cass. n. 22215/2005). Orientamento di recente ribadito da questa Corte, con sentenza n. 20447/2011, secondo cui la perdita della qualità di socio nella società di persone (in conseguenza di recesso, esclusione, cessione della partecipazione) integrando modificazione dell’atto costitutivo della società (cfr. per la società in nome collettivo: art. 2295 c.c., n. 1), è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese (che deve essere richiesta, entro trenta giorni, dall’amministratore, ovvero, se quest’ultimo non provveda, da ciascun socio, il quale può anche limitarsi a chiedere la condanna dell’amministratore ad eseguirla, ex art. 2300 c.c., comma 1 e ex art. 2296 c.c.) a pena di inopponibilità ai terzi, a meno che si provi che questi ne fossero a conoscenza” (art. 2300 c.c., comma 3). Il regime di cui agli artt. 2290 e 2300 c.c., in forza del quale il socio di una società in nome collettivo che ceda la propria quota risponde, nei confronti dei terzi, delle obbligazioni sociali sorte fino al momento in cui la cessione sia stata iscritta nel registro delle imprese o fino al momento (anteriore) in cui il terzo sia venuto a conoscenza della medesima, è di generale applicazione, non riscontrandosi alcuna disposizione di legge che ne circoscriva la portata al campo delle obbligazioni di origine negoziale con esclusione di quelle che trovano la loro fonte nella legge, quale, nella specie, l’obbligazione di versamento dell’IVA (cfr. Corte Cass. 5 sez. 1.2.2006 n. 2215; id. 2.2.2001 n. 2284; id. sez. lav. 12. 4.2010 n. 8649 – con riferimento all’obbligo di fonte legale relativo al versamento di contributi previdenziali).
3.3.11 Collegio ritiene di dare continuità a detti principi dai quali la sentenza impugnata si è discostata.
4. L’accoglimento del motivo comporta l’assorbimento del secondo mezzo.
5. In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
6. L’evoluzione processuale dei gradi di merito fa ritenere equa la compensazione tra le parti delle relative spese; mentre, in ossequio al principio della soccombenza, le spese di questo grado, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico del controricorrente.
P.Q.M.
La Corte in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito.
Condanna F.P. alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate ai compensi del grado di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.500,00 oltre spese prenotate a debito.
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