CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 febbraio 2014, n. 5681
Tributi – IVA – Reati tributari – Omesso versamento – Attenuante per l’estinzione del debito – Limiti
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 20 marzo 2013 la Corte d’appello di Palermo ha rigettato l’appello proposto da C.A. avverso sentenza dell’8 maggio 2012 con cui il Tribunale di Palermo lo aveva condannato alla pena di mesi due e giorni 20 di reclusione per il reato di cui all’articolo 10 ter d.lgs. 74/2000 perché, in qualità di legale rappresentante di M. S.r.l., ometteva di versare l’iva dovuta in base alla dichiarazione annuale del 2006 entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.
2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo tre motivi. Il primo denuncia violazione di legge per applicazione retroattiva dell’articolo 10 ter d.lgs. 74/2000. Il secondo denuncia violazione ancora dell’articolo 10 ter d.lgs. 74/2000 nonché dell’articolo 192, comma 2, c.p.p. perché i giudici di merito non avrebbero considerato quanto dedotto dalla difesa sulla crisi dell’azienda, che sarebbe provata proprio dalla rateizzazione del versamento Iva, ed eliderebbe l’elemento psicologico. Il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 13 d.lgs. 74/2000, essendo stata negata l’attenuante perché il debito tributario non era estinto, laddove il debito era stato rateizzato proprio per poterlo pagare.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, sotto forma di violazione dell’articolo 10 ter d.lgs. 74/2000 nonché degli articoli 3 e 25 Cost., sostiene che l’applicazione della fattispecie criminosa di cui all’articolo 10 ter d.lgs. 74/2000 per il periodo di imposta 2005 integra illegittima retroattività della norma, come si desume, per l’analogo articolo 10 bis d.lgs. 74/2000, da un arresto di questa Suprema Corte (Cass. sez. IlI, 8 febbraio 2012 n. 18757, riguardante l’applicazione dell’articolo 10 bis al periodo d’imposta 2004). La questione, quando è stato proposto il ricorso (in data 11 aprile 2013), essendo stata effettivamente oggetto di un contrasto giurisprudenziale, era stata appena risolta da S.U. 28 marzo 2013, n. 37424, Romano (la cui motivazione è stata depositata il 12 settembre 2013, quindi ben oltre il deposito del ricorso), che ha affermato che “il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000), entrato in vigore il 4 luglio 2006, che punisce il mancato adempimento dell’obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all’anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale”. Avendo la suddetta pronuncia delle Sezioni Unite – cui occorre quindi richiamarsi, e cui si affianca, per l’articolo 10 bis d.lgs. 74/2000, S.U. 28 marzo 2013, n. 37425, Favellato – considerato integralmente il problema interpretativo, e quindi escluso anche ogni profilo di illegittimità costituzionale della interpretazione nel senso della applicabilità della norma in
questione anche al periodo di imposta 2005, con una motivazione assai ampia e analitica, il primo motivo non può che ritenersi, ormai, infondato.
Il secondo motivo adduce, come violazione di legge in rapporto alla norma incriminatrice e all’articolo 192, comma 2, c.p.p., che non sarebbero stati considerati “i rilievi sollevati in relazione alla crisi d’impresa” che avrebbe colpito la società di cui l’imputato è legale rappresentante, e che avrebbe dovuto portare, in considerazione di certa giurisprudenza di merito, a escludere il dolo. Il motivo è palesemente generico, oltre a collocarsi, con evidenza, su un piano direttamente fattuale (non a caso non è invocato neppure il vizio motivazionale), in questa sede inammissibile.
Il terzo motivo lamenta il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 13 d.lgs. 74/2000, che prevede la diminuzione fino alla metà della pena principale e la non applicazione delle pene accessorie di cui all’articolo 12 dello stesso decreto legislativo “se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti” previsti, appunto, dal d.lgs. 74/2000 “sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”. Il ricorrente ammette di non avere ancora estinto integralmente il debito tributario, ma adduce che “la ratio della rateizzazione è proprio quella di pagare il debito, iscritto a ruolo e richiesto per mezzo della cartella di pagamento, attraverso rate mensili”: tale rateizzazione, quindi, dimostrerebbe “la volontà di provvedere al pagamento integrale del debito tributario”. Il motivo è manifestamente infondato: una cosa è la volontà di provvedere al pagamento del debito tributario, un’altra – e solo questa è il presupposto della concessione dell’attenuante de qua – è l’avere effettivamente estinto l’intero debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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