Corte di Cassazione sentenza n. 6221 del 20 aprile 2012
ACCERTAMENTO – TRANSFER PRICING – NATURA ANTIELUSIVA DELLA NORMA DELL’ART. 110 TUIR 917/1986 – ABUSO DEL DIRITTO
massima
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La disciplina che regola il transfer pricing costituisce una clausola antielusiva diretta ad evitare che all’interno del gruppo di società vengano effettuati trasferimenti di utili mediante l’applicazione di prezzi inferiori al valore normale dei beni ceduti, onde sottrarli alla tassazione in Italia a favore di tassazioni estere inferiori.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 55/8/07, depositata il 21 maggio 2007, con la quale, rigettato il suo appello principale, ed accolto l’altro incidentale della società Trasporti Internazionali T. Spa contro quella di primo grado, l’impugnazione dell’avviso di accertamento per maggior reddito relativo al 1999 ai fini Irpeg, Irap, Iva ed accessori veniva ritenuta fondata. In particolare il giudice di secondo grado affermava che il recupero a tassazione dell’intero prezzo pagato dalla contribuente alla società infragruppo britannica D. Ldt per l’acquisto di quattro camion, peraltro mai prima “usciti” dal territorio nazionale, era illegittimo, dovendosi invece avere riguardo solamente alla quota di ammortamento di cui al bilancio. La T. resiste controricorso, e la ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Innanzitutto va esaminata l’eccezione di carattere pregiudiziale sollevata dalla controricorrente, secondo cui il ricorso è inammissibile per tardività, atteso che esso è stato affidato all’ufficiale giudiziario il 7 luglio 2008 per la notifica, e quindi l’ultimo giorno utile, tuttavia con l’indirizzo del domiciliatario T.B. errato, essendo stato indicato quello di (OMISSIS), e non invece il civico esatto n. (OMISSIS), sicché il relativo plico non era stato recapitato tempestivamente. Si tratta di errore imputabile al difensore della ricorrente (avvocatura di Stato), com’è dato riscontrare sul modulo allegato con l’annotazione “…Affare CT9067/08;” … ed altre voci, sicché la notificante non poteva più effettuare alcuna reiterazione di notifica, una volta avuto il plico in restituzione, stante la perentorietà del termine previsto.
L’eccezione è infondata, posto a seguito della sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale – secondo cui la notifica di un atto processuale si intende perfezionata, per il notificante, al momento della consegna del medesimo all’ufficiale giudiziario – la tempestività della proposizione del ricorso per cassazione esige che la consegna della copia del ricorso per la spedizione a mezzo posta venga effettuata nel termine perentorio di legge e che l’eventuale tardività della notifica possa essere addebitata esclusivamente a errori o all’inerzia dell’ufficiale giudiziario o dei suoi ausiliari, e non a responsabilità del notificante. Per tanto, la data di consegna all’ufficiale giudiziario non può assumere rilievo soltanto ove l’atto in questione sia “ab origine” viziato da errore nell’indicazione dell’esatto indirizzo del destinatario, poiché tale indicazione è formalità che non sfugge alla disponibilità del notificante. Nel caso in esame invece l’indirizzo esatto figura riportato nel ricorso consegnato al pubblico ufficiale, mentre l’errore di indicazione del civico si riscontra solo sull’atto di accettazione della relativa raccomandata da parte dell’ufficio postale, e probabilmente redatto dall’ufficiale giudiziario, come si desume dall’apposizione della sua sottoscrizione (Cfr. anche Sez. U, Sentenza n. 7607 del 30/03/2010; Cass. Ordinanza n. 2320 del 01/02/2011).
3. Ciò premesso, col primo motivo la ricorrente deduce violazione di norme di legge, in quanto la CTR non considerava che si trattava di operazione infragruppo tra l’acquirente T. e l’inglese D. Ltd, senza che peraltro mai i quattro camion formalmente ceduti erano stati condotti fuori dal territorio nazionale. Sicché in particolare il maggior prezzo non poteva costituire un costo da portare in deduzione, nemmeno come quota di ammortamento inerente all’anno d’imposta, senza che tale questione potesse avere alcun rilievo, dal momento che esulava dall’oggetto specifico della vertenza.
Il motivo è inammissibile. Infatti il quesito di diritto con cui la sua illustrazione si conclude recita: “se in presenza di un prezzo inferiore al valore normale praticato in uno scambio tra soggetti appartenenti al medesimo gruppo multinazionale, sia legittimo escludere l’applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, comma 5 e art. 9 motivando sulla base della contabilizzazione del bene secondo quote di ammortamento ovvero se detta circostanza, in quanto del tutto estranea alla fattispecie descritta dalle norme suddette, si debba considerare irrilevante ai fini di escludere l’applicazione delle norme stesse”. Invero esso appare del tutto inappropriato oltre che criptico, giacché è formulato “sub specie” dubitativa rispetto al giudizio del giudice di appello e non invece alternativa, ed inoltre attiene alla indeducibilità secondo l’ammortamento, per il quale la circostanza non era mai stata addotta, nemmeno col ricorso introduttivo.
4. Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione di norme di legge, giacché il giudice di appello non poteva comunque annullare l’atto impositivo, ma semmai doveva stabilire la misura delle imposte effettivamente dovuto.
La censura è fondata. Appare opportuno premettere che in tema di determinazione del reddito d’impresa, la disciplina (che regola il cd. “transfer pricing”) dettata dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 76, comma 5, secondo il quale i componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente, controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla la medesima, sono valutati in base al “valore normale” dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti, determinato, in forza del rinvio operato dal comma 2, secondo i criteri fissati dall’art. 9 dello stesso t.u.i.r. – che individua tale valore nel “prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza ed al medesimo stadio di commercializzazione” -, costituisce una clausola antielusiva diretta ad evitare che all’interno del gruppo di società vengano effettuati trasferimenti di utili mediante l’applicazione di prezzi inferiori al valore normale dei beni ceduti, onde sottrarli alla tassazione in Italia a favore di tassazioni estere inferiori.
Essa trova radici non solo nei principi comunitari in tema di abuso del diritto, ma anche immanenza in settori del diritto tributario nazionale (come nella previsione della L. 29 dicembre 1990, n. 408, art. 10), come nella specie (V, pure Cass. Sentenze n. 7343 del 31/03/2011, n. 22023 del 13/10/2006). Ciò premesso, allora il giudice di appello doveva provvedere alla determinazione della differenza di imposte dovute in relazione al criterio assunto circa la determinazione del maggior debito d’imposta in base all’ammortamento del prezzo complessivo dei veicoli, peraltro secondo lo stesso suo assunto, senza potere invece annullare “de plano” l’atto impositivo.
5. Ne discende che il ricorso va accolto, limitatamente al secondo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla CTR dell’Emilia Romagna, altra sezione, per nuovo esame, posto che occorre stabilire la misura della differenza di imposta dovuta.
6. Quanto alle spese dell’intero giudizio, se ne demanda il regolamento al giudice del rinvio stesso.
P.Q.M.
LA CORTE Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione a questo, e rinvia, anche per le spese dell’intero giudizio, alla CTR dell’Emilia Romagna, altra sezione, per nuovo esame.
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