TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO – Sentenza 12 agosto 2017, n. 15768
Successione di appalto – Licenziamento collettivo – Personale in esubero – Servizi affidati in appalto – Criteri di scelta
Osserva
Con separati ricorsi che, all’udienza dell’8 novembre 2016, sono stati riuniti tra loro (e con altri successivamente conciliati), i sig. (…), (…),(…),(…),(…) e (…) hanno impugnato sotto vari profili il licenziamento collettivo intimato con lettera del 12 febbraio 2016 da A.F. s.r.l., che li aveva assunti in data 1 novembre 2015 ai sensi dell’articolo 335 C.C.N.L. turismo nel subentrare alla precedente datrice di lavoro nell’appalto della mensa per degenti e personale dipendente infermieristico e medico della Città della Salute e della Scienza di Torino.
I ricorrenti contestano innanzitutto la sussistenza della causa legittimante il ricorso alla procedura di mobilità esposta dalla società convenuta nella comunicazione di apertura della procedura dell’11 dicembre 2015 – costituita dalla “presenza di personale in esubero rispetto a quello necessario per l’espletamento del servizio e rispetto all’organico per cui la società scrivente ha presentato la propria offerta in sede di gara” – in quanto, non essendovi state modifiche dei servizi affidati in appalto, il licenziamento integrerebbe di fatto una violazione del citato articolo 335 laddove, in tale contesto, impone l’assunzione di tutto il personale.
In secondo luogo i ricorrenti sostengono l’esistenza di varie violazioni della procedura di cui agli articoli 4 e 24 della legge 2231991 e precisamente l’incompletezza della comunicazione dell’11 dicembre 2015 di apertura della procedura ai sensi dell’articolo 4 commi 2 e 3 (quanto all’ambito degli esuberi e ai dati relativi al personale occupato nell’appalto) e di quella del 19 febbraio 2016 di chiusura della procedura ai sensi dell’articolo 4 comma 9 (relativa ad alcuni lavoratori soltanto e completamente priva di indicazioni sulle modalità di applicazione dei criteri di scelta), oltre che la tardività rispetto al termine legale di 7 giorni dalla comunicazione del licenziamento della ulteriore comunicazione del 14 marzo 2016 (peraltro relativa ad altra dipendente soltanto ).
I ricorrenti contestano altresì ad A.F. s.r.l. una plurima violazione dei criteri legali di scelta nell’applicazione degli stessi risultante da quest’ultima comunicazione e precisamente di aver illegittimamente delimitato l’ambito degli esuberi alla sola unità locale di Torino (invece che prendere in considerazione anche le altre unità locali in cui svolge la stessa attività impiegando personale con professionalità identiche e, quindi, fungibili), di aver attribuito a tutti la sola identica anzianità maturata dalla data del subentro nell’appalto (invece che quella complessiva di servizio nel medesimo), di aver applicato il criteri dei carichi di famiglia senza fornire indicazioni idonee a verificare la completezza dei dati, di aver applicato il criterio delle esigenze tecnico organizzative produttive in modo irrazionale ed apodittico, basandosi su reparti fittizi e non sulle mansioni realmente svolte dai lavoratori, di aver fatto ricorso anche ad un criterio – il sorteggio – non previsto dalla legge e peraltro attuato in modo non trasparente.
Benché siano stati assunti dalla convenuta nel vigore della nuova normativa sui licenziamenti di cui al d.lvo 23/2015, i ricorrenti invocano la tutela precedente di cui al c.d. dell’art. 18 legge 300/1970 e dell’art. 5 l. 223/1991, sostenendo che il subentro della convenuta nell’appalto ha integrato un vero e proprio trasferimento d’azienda a fronte del quale, ai sensi dell’articolo 2112 c.c., deve configurarsi la prosecuzione in capo ad A.F. s.r.l. del rapporto di lavoro in essere con la precedente appaltatrice E. s.r.l., iniziato per ciascuno di essi anteriormente all’entrata in vigore del d.lvo n. 23/2015.
Essi chiedono quindi, in via principale, l’applicazione dell’articolo 18 comma 4 l. 300/1970 o, in ordine, dell’articolo 18 comma 5 e, solo in via ulteriormente subordinata, la tutela di cui all’articolo 3 comma 1 d.lvo n. 23/2015.
La società convenuta ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’articolo 1 comma 48 l. 92/2012 in quanto la domanda ai sensi dell’articolo 18 l. 300/1970 presuppone la soluzione di una questione – l’accertamento della configurabilità di un trasferimento d’azienda – che non verte sui “medesimi fatti costitutivi” rispetto all’impugnazione del licenziamento.
Nel merito la società difende la legittimità del licenziamento sotto ciascuno dei motivi di impugnazione.
In ordine alla asserita insussistenza della causa legittimante il ricorso alla procedura di mobilità, innanzitutto, la convenuta fa valere la consolidata giurisprudenza che esclude un sindacato giurisdizionale sulle ragioni poste alla base della procedura stessa, ed in particolare sulle ragioni della decisione di ridurre il personale. Contesta poi la configurabilità di una violazione dell’articolo 335 C.C.N.L. turismo in considerazione delle previsioni dell’articolo 336 laddove, in caso di mutamenti nell’organizzazione e nelle modalità del servizio che diano adito a ripercussioni sul dato occupazionale, prevede la ricerca di soluzioni nel contraddittorio con il sindacato, sostenendo e chiedendo di provare di aver evidenziato l’eccedenza di personale sin dal momento del subentro nell’appalto e di aver ampiamente coinvolto il sindacato nel tentativo di risolverla attraverso il ricorso alla CIGS in deroga, incontrando tuttavia l’opposizione di tutte le sigle sindacali tranne Ugl.
Con riferimento ai pretesi difetti della comunicazione di avvio della procedura, nell’invocare l’onere della prova di parte ricorrente di dimostrare l’incidenza degli stessi sul potere di controllo delle organizzazioni sindacali ed il conseguente pregiudizio per i lavoratori, ha comunque valorizzato le trattative intercorse con i sindacati già in occasione del cambio appalto per dimostrare che essi erano pienamente consapevoli dell’eccedenza di personale nell’appalto. Ha inoltre sostenuto la legittimità del riferimento alla sola unità locale interessata dall’esubero e la completezza dei dati sul personale ivi contenuti.
In merito alle contestazioni relative alla comunicazione di chiusura della procedura, la convenuta valorizza il fatto che il contenuto della prima comunicazione del 19 febbraio 2016 è stato integrato dalla seconda del 14 marzo 2016, sostenendo la completezza di quest’ultima e l’assenza di ripercussioni della sua tardività sulla possibilità delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori di esercitare un controllo sulle modalità di esercizio del recesso, invocando ancora una volta l’onere dei lavoratori di offrire prova del contrario.
Quanto alle asserite violazioni dei criteri di scelta, A.F. s.r.l. invoca innanzitutto l’onere dei lavoratori di dedurre e provare in che modo l’errata applicazione dei criteri di scelta li abbia pregiudicati e dunque di indicare quali altri lavoratori avrebbero dovuto essere licenziati al loro posto.
Nello specifico, poi, difende la scelta di attribuire ai lavoratori la sola anzianità maturata dal cambio appalto alla luce delle previsioni dell’articolo 338 C.C.N.L. turismo che prevedono l’assunzione del personale ex novo, sostenendo in ogni caso non di non essere stata neanche a conoscenza della precedente anzianità dei lavoratori, e contesta di aver applicato in modo irrazionale il criterio delle esigenze tecniche organizzative e produttive rispetto alla situazione lavorativa di ciascuno dei ricorrenti.
Sostiene infine l’irrilevanza delle questioni relative al sorteggio per i ricorrenti diversi da (…), in quanto non sono stati interessati da esso, e di aver proceduto al sorteggio di (…) alla presenza di testimoni e con modalità assolutamente trasparenti.
L’eccezione pregiudiziale di parte convenuta non appare fondata e va pertanto respinta.
La questione circa la configurabilità o meno di un trasferimento d’azienda in occasione del subentro della convenuta nell’appalto di cui si discute, infatti, non è stata posta dai ricorrenti a fondamento di un’autonoma domanda, diversa ed ulteriore rispetto all’impugnativa del licenziamento, di cui si debba valutare l’ammissibilità ai sensi dell’art. 1 comma 48 e dunque va affrontata in via meramente incidentale, soltanto per gli effetti che essa ha sulla decisione dell’unica domanda posta dai ricorrenti costituita, appunto, dall’impugnativa del licenziamento.
Nel merito la domanda principale dei ricorrenti appare fondata, e va pertanto accolta.
L’esposizione della ragioni della decisione non può che seguire l’ordine logico di quest’ultima il quale a sua volta, è influenzato dal fatto che, in base all’art. 5 comma 3 della legge n. 223/1991, la tutela di cui all’articolo 18 comma 4 chiesta in via principale dai ricorrenti è applicabile soltanto per la violazione dei criteri di scelta.
L’esame dei motivi di impugnazione deve dunque partire dalle censure relative a questi ultimi.
Prima di entrare nel merito delle stesse appare opportuno riepilogare brevemente i principi che debbono essere applicati ai fini della decisione.
E’ pacifico in giurisprudenza che il sindacato giurisdizionale sul licenziamento collettivo, a differenza di quanto accade per il licenziamento individuale, non ha ad oggetto il motivo della riduzione di personale bensì soltanto la correttezza della procedura sindacale di controllo preventivo dell’operazione e l’imparzialità della scelta dei lavoratori da licenziare.
Sotto il primo profilo si tratta di verificare il rispetto delle regole procedurali stabilite dall’articolo 4 della legge n. 223/1991, mentre il secondo aspetto implica la verifica della correttezza dell’applicazione dei criteri concordati in sede sindacale o, in mancanza di accordo, dei criteri di legge previsti dall’articolo 5 e cioè “in concorso fra loro, a) carichi di famiglia; b) anzianità c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative”.
Quanto all’ambito di applicazione di detti criteri, la giurisprudenza è costante nell’affermare che “la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, ed è onere del datore provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze, e giustificare il più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata” e che dunque “non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto lavorativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative” (così Cass. 17177/2013).
Non può condurre a diversa conclusione neanche la considerazione che “il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente all’unità soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo, le cui modifiche competono esclusivamente all’imprenditore e sono sottratte al sindacato giurisdizionale” o dell’”elemento di incertezza, fonte di ulteriore squilibrio negli assetti aziendali, costituito dalla impossibilità di conoscere a priori se il lavoratore avente diritto a mantenere il posto di lavoro sarà disposto ad accettare il trasferimento in altra sede” in quanto sono “argomenti estranei alla volutitas legis, quale chiaramente desumibile dal tenore testuale dell’art. 5” e aspetti rientranti “nell’alea connessa agli effetti dell’operatività dei criteri legali sussidiari” rispetto alla gestione concordata della messa in mobilità dei lavoratori, la quale risponde proprio “all’esigenza di adattamento dei criteri di individuazione del personale in soprannumero alle condizioni concrete dei processi di ristrutturazione aziendale” (Cass. 17177/2013).
A ciò consegue che “Ogni delimitazione dell’area di scelta è perciò soggetta alla verifica giudiziale sulla ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la giustificano.
Ma queste esigenze devono essere puntualmente allegate e comprovate dal datore di lavoro” (Cass. 2535/2009).
La giurisprudenza è altresì consolidata nell’affermare che, nei casi come quello di specie in cui non vi è stato accordo con il sindacato, il fatto che i criteri di legge devono essere osservati in concorso tra loro “impone al datore di lavoro una valutazione globale dei medesimi”, pur non escludendo tuttavia “che il risultato comparativo possa essere quello di accordare prevalenza ad uno solo di detti criteri e, in particolare, alle esigenze tecniche e produttive, essendo questo il criterio più coerente con le finalità perseguite attraverso la riduzione di personale, sempre che naturalmente una scelta siffatta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto dal datore di lavoro e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie” (così Cass. n. 2188/2001).
È altrettanto pacifico che l’onere di provare di aver effettivamente compiuto la scelta dei lavoratori licenziati applicando in modo corretto i criteri di scelta – siano essi concordati o di legge – grava sul datore di lavoro e che un ruolo determinante al riguardo è rivestito dalla comunicazione di chiusura della procedura prevista dal comma 9 dell’articolo 4.
Il fatto che essa debba avere ad oggetto “l’elenco dei lavoratori licenziati, con l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’articolo 5, comma 1”, in particolare, conduce ad affermare che “A tal fine non è sufficiente la trasmissione dell’elenco dei lavoratori licenziati e la comunicazione dei criteri di scelta concordati con le organizzazioni sindacali, né la predisposizione di un meccanismo di applicazione in via successiva dei vari criteri, poiché vi è necessità di controllare se tutti i dipendenti in possesso dei requisiti previsti siano stati inseriti nella categoria da scrutinare e, in secondo luogo, nel caso in cui i dipendenti siano in numero superiore ai previsti licenziamenti, se siano stati correttamente applicati i criteri di valutazione comparativa per l’individuazione dei dipendenti da licenziare (Cass. 3603/2010), che se “il datore di lavoro comunica il criterio di selezione adottato con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta allora il lavoratore può contestare che la scelta sia stata fatta in “puntuale” applicazione di tale criterio, ma se il datore di lavoro comunica un criterio decisamente vago, il lavoratore è privato della tutela assicuratagli dalla legge predetta, perché la scelta in concreto effettuata dal datare di lavoro non è raffrontabile con alcun criterio oggettivamente predeterminato.
Si finirebbe in realtà per predicare l’assoluta discrezionalità del datore di lavoro nell’individuazione dei lavoratori da licenziare; e tale non è certo l’impianto della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5″ (Cass. 18306/2016).
L’obiettività dei criteri di scelta, insomma, costituisce una misura di tutela necessaria al fine di evitare che il datore di lavoro possa scegliere a sua discrezione quali lavoratori in concreto licenziare in occasione di una riduzione di personale e dunque ciò che conta è che non residui alcuna area di discrezionalità di scelta da parte del datore di lavoro nella quale non risulti operante operi nessuno criterio predeterminato (così Cass. n. 10424 del 2012).
Tutto ciò significa, in buona sostanza, che il datore di lavoro deve spiegare in modo chiaro ed esaustivo come ha declinato in concreto il criterio – di per sé generalissimo – delle esigenze tecnico produttive e come ha concretamente valorizzato il medesimo, l’anzianità ed i carichi di famiglia, illustrando dettagliatamente il peso attribuito a ciascuno di essi nella comparazione dei lavoratori.
Le vicende della procedura di licenziamento collettivo di cui si discute sono pacifiche e documentali.
Con la comunicazione di apertura della procedura ai sensi dell’articolo 4 comma 2 datata 11 dicembre 2015, A.F. s.r.l. ha informato i sindacati di aver individuato il numero complessivo di 67 unità eccedenti nell’ambito delle 251 in forza nell’appalto Città della Scienza e della Salute di Torino, distinguendo quindi gli esuberi in base a profilo e livello (n. 4 cuoco 3° livello, n. 9 cuoco 4° livello ecc.).
Nella medesima comunicazione l’azienda dà atto che, al momento di apertura della procedura, essa aveva complessivamente 869 dipendenti in forza su tutto il territorio nazionale, distribuiti su numerosi appalti che elenca dettagliatamente indicando le unità ivi presenti per ciascun profilo e livello.
Nella comunicazione di chiusura della procedura ai sensi dell’articolo 4 comma 9 del 19 febbraio 2016 la società convenuta si è limitata a trasmettere l’elenco dei lavoratori in esubero a cui era stato comunicato il recesso (per un totale di n. 52 lavoratori), con i rispettivi indirizzi di residenza, le qualifiche, i livelli di inquadramento, le rispettive date di nascita, carichi familiari, criteri di scelta. In tutte le schede allegate (comprese quelle dei 6 ricorrenti), nella parte dedicata al criterio di scelta adottato per individuare l’esubero, è scritto soltanto criteri di cui all’art. 5 c. 1 l. 223/91.
Con successiva lettera del 14 marzo 2016 di integrazione comunicazione ex art. 4, comma 9°, L. 223/91 del 19.02.2016, nel comunicare la cessazione dell’ulteriore dipendente (…), A.F. s.r.l. ha informato che i criteri di scelta utilizzati sono stati i seguenti a) organizzazione del lavoro b) carichi familiari c) anzianità di servizio precisando quindi che Per il criterio a) si è proceduto alla suddivisione delle singole aree di lavoro, individuando nei vari reparti le unità e/o le ore in esubero in rapporto agli orari di lavoro, livelli di mansioni. Per il criterio b) si sono attribuiti vari punteggi in rapporto alla percentuale di carico e al numero delle persone a carico (es. n. 1 familiare a carico 50% = 0,5 punti; n. 1 familiare a carico 100% = 1 punto). Per il criterio c) si è considerata la data di assunzione con la scrivente, ossia il 01.11.2015. Alla comunicazione sono allegate 14 tabelle corrispondenti ad altrettanti reparti del personale occupato presso l’unità locale interessata – nastro, mensa, carrelli, cucina, lavorazione verdure, macellaio, magazzino, lavaggio, pulizie, consegna dh, impiegati, colazioni, sgas, s,.vito – ed una intestata riepilogo che accorpa tutti i dati presenti nelle altre.
Nella prima colonna viene indicata la data di assunzione del 1 novembre 2015, uguale per tutti, quindi seguono numero (verosimilmente di matricola aziendale) cognome e nome, qualifica (contenente operaio o impiegato), livello, mansioni (contenente denominazioni analoghe a quelle di cui alla comunicazione di apertura della procedura, tra cui cuoco, add. serv. mensa, carrellista, magazziniere), reparto (contenente l’indicazione di uno tra quelli sopra indicati), % p.t. (contenente uno zero oppure un numero chiaramente indicativo della percentuale dell’eventuale part time), carichi familiari (contenente numeri variabili da zero a 3).
Nel difendersi in giudizio la società convenuta non ha offerto elementi ulteriori in merito alle modalità con cui ha fatto applicazione dei criteri di legge, limitandosi a riprodurre nella sua memoria il contenuto della dichiarazione del 14 marzo 2016 appena esposto.
Quest’ultimo esaurisce dunque gli elementi a disposizione del giudice per verificare il rispetto delle previsioni di cui all’articolo 5, così come integrate dal consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato.
Orbene, l’esame congiunto di tali elementi e di quelli presenti nella comunicazione iniziale impone di configurare una violazione dell’articolo 5 sotto vari profili.
Trattandosi di vizi equivalenti ai fini del c.d. degli artt. 18 comma 4 legge 300/1970 e 5 comma 3 legge n. 223/1991, ci si limita ad esporne due, il cui accertamento conduce di per se l’accoglimento della domanda principale di tutte i ricorrenti, rendendo così superfluo l’esame di tutte le altre censure, siano esse idonee a condurre all’accoglimento della stessa domanda principale ovvero, a maggior ragione, di quelle subordinate.
Il primo profilo di illegittimità riguarda la delimitazione della scelta dei lavoratori da licenziare al solo personale operante presso la Città della Scienza e della Salute di Torino.
Come si è visto, dalla comunicazione della stessa convenuta dell’11 dicembre 2015 risulta che, al momento di apertura della procedura di licenziamento collettivo di cui si discute, essa aveva complessivamente 869 dipendenti in forza su tutto il territorio nazionale, distribuiti su numerosi appalti.
L’esame del relativo elenco consente di accertare che in essi figurano unità con profilo e livello corrispondenti a quelli indicate in esubero nell’appalto di Torino e che ve ne sono vari sia in Piemonte sia in Lombardia.
Con riferimento a questo motivo di impugnazione del licenziamento – fatto valere dei ricorrenti sia come vizio della comunicazione di apertura della procedura sia come violazione dei criteri di scelta – A.F. s.r.l. si è limitata, sotto il primo profilo, a richiamare il restante contenuto della comunicazione dell’11 dicembre 2015 laddove delimitava l’esubero all’unità produttiva in questione e ne spiegava il motivo e, sotto il secondo profilo, ad esporre la tesi – per il vero condivisibile, ma del tutto inconferente – dell’inapplicabilità in ambito di licenziamento collettivo delle regole in materia di cd. repechage.
Manca dunque qualsiasi allegazione e offerta di prova del motivo per cui la scelta dei dipendenti da licenziare per ridurre gli esuberi esistenti presso la Città della Scienza e della Salute dovesse essere delimitata a coloro che operavano in quest’ultima e non potesse invece essere estesa anche ai dipendenti di equivalente professionalità che operavano negli altri appalti.
In tale contesto, alla luce della citata giurisprudenza che pone l’onere della prova a carico del datore di lavoro, la verifica della legittimità della delimitazione della scelta al solo personale impiegato presso la Città della Scienza e della Salute di Torino può avvalersi soltanto degli unici elementi – profilo e livello – utilizzati dalla stessa A.F. s.r.l. nella comunicazione dell’11 dicembre 2015 per identificare sia il personale in esubero sia quello complessivo aziendale.
Ebbene, basandosi sulla inevitabile presunzione di completa equivalenza e fungibilità tra gli addetti del medesimo profilo e livello che risultano operanti nei vari appalti, tale verifica non può che condurre ad escludere l’esistenza di motivi per non estendere l’ambito di scelta dei lavoratori da licenziare a tutti gli appalti (o quantomeno a quelli territorialmente limitrofi) e che esso è stato dunque arbitrariamente ed illegittimamente limitato al solo appalto della Città della Scienza e della Salute.
In linea teorica ciò risulta più che sufficiente a configurare una violazione dell’art. 5 idonea a rendere applicabile la tutela dell’art. 18 comma 4 chiesta in via principale dai ricorrenti.
L’esame dei profili e livelli presenti negli altri appalti evidenzia tuttavia che non per tutti i ricorrenti esistevano dipendenti di pari profilo e livello con cui avrebbero potuto e dovuto essere comparati. Mentre infatti ricorrono anche negli appalti piemontesi il profilo di addetto servizio mensa livello 5 (proprio della ricorrente (…)), addetto servizio mensa livello 6 (come (…)), addetto servizio mensa livello 6 super (come (…)) e cuoco livello 3 (come (…)), mancano quelli di carrellista/magazziniere 5 di (…) e di magazziniere 5 di (…), presenti soltanto nell’appalto della Città della Scienza e della Salute di Torino.
Pur in assenza di argomentazioni specifiche della convenuta sul punto, ciò induce a ritenere che i due ricorrenti (…) e (…), per la loro professionalità, non avrebbero comunque beneficiato del rivendicato e dovuto ampliamento dell’ambito di scelta e rende dunque necessario affrontare l’ulteriore profilo di illegittimità del licenziamento impugnato relativo al criterio legale dell’anzianità.
Come si è visto A.F. s.r.l. ha fatto applicazione di questo criterio attribuendo a tutti i 251 dipendenti addetti all’appalto la stessa sola anzianità maturata dalla data dell’1 novembre 2015 in cui è subentrata in esso.
Ciò ha comportato, in concreto, un vero e proprio azzeramento della operatività di questo criterio di scelta che è così risultato del tutto inidoneo a realizzare una qualunque selezione.
I ricorrenti contestano tale comportamento facendo valere ciascuno una diversa e – spesso ben – maggiore anzianità di servizio nell’appalto, sostenendo che l’azienda avrebbe dovuto tenerne conto sia in applicazione dell’articolo 2112 c.c., sia in considerazione di quanto previsto dall’articolo 7 del d.lvo 23/2015.
Come si è pure visto, la convenuta difende la sua scelta in ragione del fatto che l’articolo 338 C.C.N.L. turismo espressamente prevede che le assunzioni di personale da parte del nuovo appaltatore avvengono ex novo, sostenendo altresì di essere stata all’oscuro dell’anzianità pregressa dei ricorrenti.
Entrambe le difese non appaiono condivisibili.
Non lo è, innanzitutto, la pretesa di essere stata nell’impossibilità di conoscere l’anzianità maturata in precedenza da ciascuno dei lavoratori che stava assumendo.
Nelle buste paga emesse da A.F. s.r.l., infatti, la data di assunzione è effettivamente indicata nel 1 novembre 2015, ma è presente anche il riconoscimento ad ogni ricorrente di un numero di scatti di anzianità perfettamente corrispondente all’anzianità che essi fanno ora valere.
Nella busta paga di novembre 2015, ad esempio, alla ricorrente (…) sono stati riconosciuti 4 scatti con indicazione della data prossimo scatto al 1 aprile 2016 il che, considerato che la ricorrente allega di essere stata assunta da (…) il 16 marzo 2001 e che da quest’ultima data all’1 aprile 2016 intercorrono esattamente 15 anni (pari a 5 scatti triennali), consente di affermare che la convenuta le ha riconosciuto a livello economico l’intera anzianità dedotta in giudizio dalla stessa.
II disposto dell’articolo 338 C.C.N.L. turismo, d’altronde, non è certo idoneo a giustificare un azzeramento dell’anzianità in sede di scelta dei lavoratori da licenziare.
Se è vero, infatti, che l’articolo 338 stabilisce che i rapporti di lavoro instaurati in occasione dei cambi di gestione “si intenderanno ex novo”, lo è anche la previsione dell’articolo 339 secondo cui “ai lavoratori neo assunti di cui sopra saranno corrisposte, come trattamento di miglior favore, condizioni retributive, eventualmente proporzionate ai sensi dell’articolo 336, pari a quelle già percepite da ogni singolo lavoratore, opportunamente e legalmente documentate derivanti solo ed unicamente dall’applicazione del C.C.N.L., ivi compresi gli eventuali scatti di anzianità maturati …”
Ciò dimostra chiaramente che la scelta della novazione del rapporto di lavoro dal punto di vista formale coesiste con una chiara volontà delle parti collettive di dare, però, sostanziale piena rilevanza all’anzianità effettiva dei lavoratori acquisiti sul posto lavoro.
Ebbene, è di certo quest’ultima anzianità sostanziale – e non quella formale dall’ultima assunzione – l’anzianità che il legislatore valorizza all’articolo 5 della legge n. 223/1991 facendone un criterio di scelta dei lavoratori da licenziare di pari grado rispetto ai carichi di famiglia e alle esigenze tecnico produttive.
Benché dettato per fini diversi (ma comunque anch’essi di tutela del lavoratore in caso di licenziamento), ne dà significativa conferma il tenore dell’articolo 7 del d.lvo 23/2015 laddove, prescrivendo che in caso di licenziamento da parte dell’appaltatore subentrante nell’appalto si deve tenere conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata, valorizza anch’esso l’anzianità sostanziale nell’appalto e non quella formale dall’ultima assunzione.
Ciò consente di affermare che le previsioni del C.C.N.L. turismo sull’assunzione ex novo non autorizzano affatto il datore di lavoro a disapplicare il criterio dell’anzianità.
Esse, al contrario, gli offrono un preciso spunto nel senso della valorizzazione dell’anzianità maturata in capo ai precedenti appaltatori il quale, in sede di attuazione delle prescrizioni dell’articolo 5, viene trasformato dall’obbligo di buona fede (che deve animare anche la gestione delle vicende conclusive del rapporto) in un vero e proprio obbligo di tenerne debito conto.
Nel caso di specie, peraltro, l’esistenza di un tale obbligo deriva comunque inequivocamente dal fatto che, come si vedrà nel prosieguo, il subentro della convenuta nell’appalto in questione costituisce in realtà un trasferimento d’azienda. Ai sensi dell’art. 2112 c.c., infatti, il rapporto di lavoro interrotto dalla convenuta con il licenziamento impugnato risulta essere lo stesso che i lavoratori avevano già in corso con E. s.r.l., di cui ha dunque conservato la pregressa anzianità a tutti gli effetti, anche non previsti dall’articolo 339 del C.C.N.L. turismo.
Quanto finora esposto è anch’esso più che sufficiente a configurare una violazione dell’art. 5 idonea a condurre all’accoglimento della domanda principale.
Essendo evidente che l’inserimento di un ulteriore criterio di scelta rispetto a quelli utilizzati altera il risultato della concorsuale applicazione degli stessi, infatti, non si può che ritenere che la completa pretermissione di uno dei criteri di legge inficia in modo radicale l’operazione comparativa compiuta dalla società convenuta.
La completa assenza in atti di elementi che consentano di ritenere che la scelta, in occasione della loro comparazione con i colleghi di analogo profilo e livello, sarebbe caduta comunque sui ricorrenti anche ove fosse stata loro riconosciuta l’esatta anzianità di cui erano titolari, rende d’altronde pienamente efficace tale vizio in relazione a tutti i ricorrenti.
Ciò vale, in particolare, anche per (…) e (…) entrambi in possesso di profilo e livello appartenenti anche ad altri dipendenti presenti nel medesimo appalto.
Come si è già accennato, i ricorrenti chiedono in via principale la tutela di cui all’art. 18 comma 4 sostenendo che, nel caso di specie, il subentro della società convenuta nell’appalto di cui si discute ha realizzato un trasferimento di azienda a cui deve applicarsi l’articolo 2112 c.c.
A fondamento di tale pretesa essi affermano di aver tutti continuato ad operare negli stessi locali, utilizzando i medesimi strumenti di lavoro e con le medesime modalità organizzative ed operative ed invocano l’applicazione a tale contesto del consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia Europea in merito ai requisiti di configurabilità del trasferimento d’azienda.
La società convenuta si difende invocando innanzitutto l’operatività dell’articolo 29 comma 3 del d.lvo. 276/2003 nel testo applicabile ratione temporis secondo il quale “L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”.
La società sostiene poi, in fatto, di aver trasferito nell’appalto, su richiesta della committenza, 4 propri dipendenti con funzione di gestione, coordinamento, controllo, direzione del personale impiegato e con il compito di fungere da referente presso la committente, di aver introdotto nuove ricette e nuovi menù, di essersi avvalsi di propri fornitori per lo più diversi da quelli precedenti, di aver impiegato nell’appalto anche beni materiali di sua esclusiva proprietà, di aver sottoscritto contratti di assicurazione nuovi e di aver richiesto nuove autorizzazioni amministrative per l’esercizio dell’appalto.
Alla luce degli istruttori in atti e delle previsioni normative applicabili, così come interpretate dalla consolidata giurisprudenza nazionale ed europea, la pretesa di parte ricorrente di configurare come trasferimento d’azienda il subentro della convenuta nella titolarità dell’appalto dei servizi di ristorazione presso la Città della Scienza e della Salute di Torino appare fondata.
Tale configurabilità, innanzitutto, non è affatto impedita dall’articolo 29 comma 3 del d.lvo. 276/2003.
Appare del tutto condivisibile al riguardo quanto affermato dalla Suprema Corte nella recente sentenza n. 24972/2016 e cioè che “La norma va intesa nel senso che la mera assunzione, da parte del subentrante nell’appalto, non integra di per sé trasferimento d’azienda ove non si accompagni alla cessione dell’azienda o di un suo ramo autonomo intesi nei sensi di cui sopra e che dunque se in un determinato appalto di servizi un imprenditore subentra ad un altro e nel contempo ne acquisisce il personale e i beni strumentali organizzati (cioè l’azienda), la fattispecie non può che essere disciplinata dall’art. 2112 c.c. (pena un’ingiustificata aporia nell’ordinamento)”.
Il fatto che la società convenuta sia succeduta alla precedente datrice di lavoro dei ricorrenti nella titolarità dell’appalto, dunque, non costituisce affatto un ostacolo rispetto alla verifica della sussistenza in concreto, nel caso di specie, dei requisiti per ravvisare un trasferimento d’azienda.
La giurisprudenza è costante nell’affermare al riguardo che “ai fini del trasferimento d’azienda, la disciplina di cui all’art. 2112 c.c. postula che il complesso organizzato dei beni dell’impresa – nella sua identità obiettiva – sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione” e che “Il trasferimento d’azienda è pertanto configurabile anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa” (così tra le tante Cass. n. 11918/2013).
Ciò è del tutto in linea con quanto prescrive l’art. 1 n. 1 della direttiva dell’Unione Europea n. 2001/23, secondo cui “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”, e con il contenuto dell’articolo 2112 c.c., laddove stabilisce al comma 5 che “Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda”.
In tal modo la Suprema Corte dà piena continuità alla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea che, partendo dalla definizione di azienda in termini di “complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata a perseguire un determinato obiettivo”, afferma che “per poter determinare se sussistano le caratteristiche di un trasferimento di un’entità economica organizzata, dev’essere preso in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano in particolare il tipo di impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno di elementi materiali, quali gli edifici e i beni mobili, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di un’eventuale sospensione di tali attività”, che “Tali elementi costituiscono soltanto aspetti parziali della valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere considerati isolatamente”, che “Ai fini dell’applicazione della direttiva 77/187 non è pertanto necessaria l’esistenza di rapporti contrattuali diretti tra il cedente e il cessionario, atteso che la cessione può essere effettuata per effetto dell’intermediazione di un terzo, quale il proprietario o il locatore” e che “Il fatto che gli elementi materiali rilevati dal nuovo imprenditore non appartengano al suo predecessore ma siano stati messi a disposizione dal committente non può pertanto indurre ad escludere l’esistenza di un trasferimento d’impresa ai sensi della direttiva 77/187” (così la sentenza del 20 novembre 2013 nella causa C-340/01 Abler e altri richiamata da parte ricorrente e relativa proprio ad una vicenda di successione nell’appalto avente ad oggetto la gestione della mensa dell’ospedale).
L’applicazione di tali regole agli elementi in atti consente senza incertezze di ritenere che, nel caso di specie, sussistono tutti presupposti di un trasferimento d’azienda.
La lettura del capitolato speciale d’appalto (depositato per intero in data 18 aprile 2017 ) e dei relativi allegati consente infatti di accertare che la stessa, nell’acquisire la gestione del servizio di ristorazione per degenti e dipendenti della Città della Scienza e della Salute di Torino, è subentrata nella piena disponibilità di numerosi locali adibiti ad usi diversi (produzione dei pasti, mensa, lavanderia) e situati presso i vari presidi ospedalieri interessati dall’appalto e precisamente Molinette- San Lazzaro, San Vito, San Giovanni Antica Sede, Istituto per il riposo della vecchiaia in via San Marino 10 a Torino, OIRM Sant’Anna.
Tra di essi spiccano per importanza i locali appartenenti al presidio Molinette-San Lazzaro, della superficie complessiva di 5025 m quadri (tra cui 1367 mq al piano seminterrato e 1846 mq al piano terra adibiti all’impianto di cucina, 1671 mq al primo piano adibiti ristorante dipendenti), e i locali del presidio OIRM Sant’Anna, della superficie complessiva di 1095 mq ad uso mensa.
Tali locali sono oggetto di apposito contratto di comodato gratuito accessorio al contratto di appalto (all. A al capitolato speciale depositato in data 3 maggio 2017) e comprendono impianti, macchine, attrezzature e arredi indicati nell’allegato R (“elenco provvisorio dei beni che verranno ceduti in comodato d’uso presso tutti i Siti di consumo attivati e l’area produttiva” pure depositato in data 3 maggio 2017) e di cui il capitolato speciale prevede la descrizione in apposito verbale di consegna ad inizio servizio.
Scorrendo l’allegato R si rinvengono, tra l’altro, un abbattitore termico, affettatrici, armadi di vario tipo, bilance, caldaie, cappe, carrelli, una cella frigorifera, cucine, forni, frigoriferi, lavastoviglie e lavelli, pentole, scaffali, tavoli.
Il capitolato speciale prevede altresì che la ditta aggiudicataria ha l’onere di rilevare le attrezzature ancora in fase di ammortamento, acquistate dal gestore del precedente contratto secondo le modalità ivi stabilite.
Si tratta delle attrezzature previste nell’allegato R2 (acquisito all’udienza del 19 aprile 2017) in merito alle quali il legale rappresentante della società ha chiarito trattarsi di “beni mobili che sono stati acquistati intorno al 2011-2012 dall’appaltatore dell’epoca, d’accordo con la committente, impostando una procedura di ammortamento pluriennale al termine della quale essi sarebbero diventati di proprietà della Città della Salute, per effetto del pagamento da parte della stessa del relativo prezzo di acquisto in quote annuali di ammortamento definite in proporzione al valore dei pasti spiegando che In pratica A.F., nel subentrare nell’appalto, ha rimborsato alla E. la parte di prezzo che ancora non era stata ammortizzata con le modalità che ho indicato sopra ed è subentrata nella procedura di ammortamento al suo posto.” La lettura dell’articolo 25 del capitolato speciale e dell’allegato R2 consente di accertare che il costo storico di acquisto di tali attrezzature è di € 1.546.195,23 e che il valore residuo al 31 luglio 2015 era di € 576.095,23.
Il capitolato speciale stabilisce infine che la ditta aggiudicataria deve fornire “in uso a suo onere e spese attrezzature e programmi informatici per le prenotazioni dei pasti e relative variazioni ad onere di AOU, Helpdesk, sistema informatico di accessi alle mense e contenitori vari, stovigliame, materiali di consumo a perdere e quant’altro descritto in Allegato D. Tali materiali rimarranno di proprietà della Ditta aggiudicataria ad esclusione delle attrezzature di cui all’Allegato R2 che diventeranno di proprietà dell’AOU alla fine del periodo dell’ammortamento”.
La lettura dell’allegato D consente di chiarire che, oltre al sistema informatico (da utilizzare con palmari forniti però dall’azienda ospedaliera), si tratta di carrelli e contenitori per il trasporto di derrate e vassoi, vassoi in buona parte monouso, etichette identificative della dieta; posate, tazze, bicchieri per i degenti; posate in acciaio, piatti e ciotole, bicchieri in vetro o monouso per le mense aziendali, piatti in porcellana per i degenti, tovagliette e tovaglioli monouso.
Ebbene, a fronte di quanto sinora esposto, non possono essere dubbi nel ritenere che, nel caso di specie, vi sia stato quel “passaggio di beni di non trascurabile entità” in presenza del quale la citata costante giurisprudenza ravvisa un trasferimento d’azienda anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio.
L’entità dei beni mobili ed immobili che sono passati dalla precedente appaltatrice alla società convenuta, infatti, non può certo definirsi trascurabile, rappresentando in realtà la quasi totalità dei beni che servono per gestire il servizio di ristorazione di cui si discute.
Ad essere di trascurabile entità sono piuttosto i beni che la società ha dovuto fornire essa stessa, trattandosi in buona parte di beni di consumo e comunque afferenti sostanzialmente alla sola parte del servizio relativa a trasporto e fornitura delle stoviglie.
Non è certo idoneo ad escludere la rilevanza di tale aspetto il fatto che, in massima parte, i beni mobili ed immobili passati da un appaltatore all’altro siano di proprietà della committente.
Come si è visto, infatti, la giurisprudenza nazionale ed europea è assolutamente pacifica nel ritenere irrilevante la sussistenza o meno di un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione e, in particolare, il fatto che “gli elementi materiali rilevati dal nuovo imprenditore non appartengano al suo predecessore ma siano stati messi a disposizione dal committente”.
Nel caso di specie, peraltro, si è verificato anche un rapporto contrattuale diretto tra A.F. ed E. laddove la prima ha rilevato dalla seconda le attrezzature in fase di ammortamento corrispondendole il relativo valore.
La fortissima analogia tra la presente vicenda e quella esaminata dalla sentenza del 20 novembre 2013 nella causa C-340/01 (Abler e altri) già citata – in cui, pure, l’appaltatrice subentrante aveva rilevato “i locali, l’acqua, l’energia elettrica e le piccole e grandi attrezzature (in particolare i materiali fissi necessari per confezionare i pasti e le lavatrici)” e la situazione era “caratterizzata dall’obbligo, esplicito ed essenziale, di preparare i pasti nella cucina dell’ospedale e quindi di rilevare tali elementi materiali” – fornisce ampia conferma alle conclusioni sinora raggiunte.
Sono infatti perfettamente utilizzabili anche nella presente decisione le considerazioni ivi svolte dalla Corte di Giustizia in merito al fatto che “la ristorazione collettiva, richiedendo notevoli attrezzature, non può essere considerata un’attività che si fonda essenzialmente sulla mano d’opera” e “Il trasferimento dei locali e delle attrezzature messe a disposizione dall’ospedale, che risulta indispensabile alla preparazione e alla distribuzione dei pasti ai pazienti e al personale dell’ospedale, è sufficiente a caratterizzare, in queste condizioni, un trasferimento dell’entità economica.
Inoltre, risulta evidente che il nuovo appaltatore ha necessariamente ripreso la maggior parte della clientela del suo predecessore, dato che quest’ultima è vincolata”.
Non è sufficiente ad escludere il trasferimento di azienda chiaramente delineato dagli elementi sopra evidenziati il semplice fatto che la convenuta abbia inserito l’organizzazione aziendale 4 figure apicali, modificato qualche menu e introdotto qualche nuova ricetta, cambiato qualche fornitore, stipulato nuovi contratti di assicurazione o acquisito nuove autorizzazioni amministrative.
Si tratta infatti di modifiche di portata comunque estremamente ridotta e, come tali, certamente non in grado di alterare la fisionomia di quel complesso organizzato di persone e di elementi di per sé perfettamente in grado di realizzare il servizio di ristorazione appartato che la convenuta ha certamente acquisito da E.
Esse peraltro costituiscono variazioni delle concrete modalità di esercizio dell’attività di impresa che l’imprenditore (seppure limitate, in contesti come quello di cui si discute, dalle stringenti disposizioni del capitolato d’appalto) è certamente libero di porre in essere nell’assumere l’esercizio dell’azienda dopo il suo trasferimento senza che ciò possa in alcun modo mettere in discussione ex post la natura di quest’ultimo.
Per tutto quanto sinora esposto deve concludersi – seppure soltanto in via incidentale ai fini della decisione sull’impugnativa di licenziamento – che il subentro della società convenuta A.F. s.r.l. nell’appalto del servizio di ristorazione della Città della Scienza e della Salute di Torino costituisce a tutti gli effetti trasferimento d’azienda ai sensi dell’articolo 2112 c.c.
Ciò impone di retrodatare l’instaurazione del rapporto interrotto dal licenziamento impugnato alla data di decorrenza che esso aveva con il precedente appaltatore.
Per tutti i ricorrenti essa è certamente anteriore alla data del 7 marzo 2015 in cui è entrato in vigore il d.lvo n. 23/2015, con conseguente applicazione della tutela prevista dal c.d. degli artt. 18 comma 4 legge 300/1970 e 5 comma 3 legge n. 223/1991.
Ciò vale, in particolare, anche per il ricorrente (…) benché, per sua stessa ammissione contenute nel ricorso, egli sia stato addetto all’appalto di cui si discute soltanto dall’agosto 2015. In caso di trasferimento d’azienda, infatti, la decorrenza del rapporto di lavoro che continua in capo al cessionario è data dall’assunzione da parte del cedente senza alcuna rilevanza della data di adibizione al ramo d’azienda ceduto.
L’esame dei documenti dimostra d’altronde chiaramente che il (…) come egli stesso allega, venne assunto da E. s.r.l. l’1 gennaio 2013.
In applicazione dell’articolo 18 comma 4 l. 300/1970 la società convenuta va dunque condannata a reintegrare i ricorrenti nel loro posto di lavoro ed a risarcire ai medesimi il danno subito a causa dell’illegittimo licenziamento.
Non essendo stato eccepito, né provato alcun fattore che ai sensi della norma citata possa influire sulla sua liquidazione ed essendo trascorso un periodo superiore a quello massimo indennizzabile di 12 mesi previsto dalla norma, il danno va liquidato nell’importo complessivo pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto lorda mensile spettante a ciascuno, quale indicata in ricorso senza incontrare contestazioni da parte della società convenuta e precisamente di € 803,68 per (…), € 1322,20 per (…), € 1599,53 per (…), € 1913,33 per (…), 1737,43 per (…), € 1358,03 per (…).
Per espressa previsione di legge, alla condanna al pagamento di tale importo, che dovrà essere maggiorato degli accessori di cui all’art. 429 c.p.c., si aggiunge la condanna al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione.
Le spese seguono la soccombenza della società convenuta e vengono liquidate in applicazione dell’art. 4 comma 2 del D.M. 55/2014 a valori prossimi a quelli medi da esso previsti.
P.Q.M.
Visto l’art. 429 c.p.c., definitivamente pronunciando, dichiara illegittimo e, per l’effetto, annulla il licenziamento intimato ai ricorrenti (…), (…) in data 12 febbraio 2016;
ordina ad A.F. s.r.l. in persona del suo legale rappresentante di reintegrare immediatamente i ricorrenti nel loro posto di lavoro;
condanna A.F. s.r.l. in persona del suo legale rappresentante al risarcimento del danno in favore dei ricorrenti in misura pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto di € 803,68 per (…), € 1322,20 per (…), € 1599,53 per (…), € 1913,33 per (…), 1737,43 per (…), € 1358,03 per (…) oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma annualmente rivalutata dalla maturazione delle singole mensilità al saldo, nonché al versamento dei relativi contributi previdenziali ed assistenziali;
condanna infine A.F. s.r.l. in persona del suo legale rappresentante alla rifusione in favore del ricorrente delle spese di lite che liquida in complessive € 30.000 oltre rimborso forfetario 15%, Iva, Cpa ed eventuale contributo unificato versato.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 10197 depositata il 16 aprile 2024 - In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la comunicazione di avvio della procedura di mobilità, ai sensi dell'art. 4, comma 3, della legge n.…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 aprile 2021, n. 10869 - Non è consentito al datore di lavoro tornare sulle scelte compiute quanto al numero, alla collocazione aziendale ed ai profili professionali dei lavoratori in esubero, ovvero ai criteri di…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 novembre 2021, n. 33183 - La comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro dà inizio alla procedura di licenziamento collettivo deve compiutamente adempiere l'obbligo di fornire le informazioni specificate…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 09 settembre 2022, n. 26683 - In tema di licenziamento collettivo, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di allegazione dei criteri di scelta e la prova della loro piena applicazione nei confronti dei lavoratori…
- CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 2131 depositata il 24 gennaio 2023 - In tema di licenziamento collettivo, l'annullamento per violazione dei criteri di scelta ai sensi dell'art. 5 della l. n. 223 del 1991 non può essere domandato indistintamente da…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 29485 depositata il 21 ottobre 2021 - Con riferimento all’Iva, invece, la natura di prestazione di servizi dell’appalto rileva anche ai fini del momento in cui l’operazione si considera effettuata, trovando applicazione…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Imposta di registro: non va applicata sulle clauso
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 3466 depositata i…
- Le perdite su crediti derivanti da accordi transat
Le perdite su crediti derivanti da accordi transattivi sono deducibili anche se…
- L’art. 7 L. n. 604/1966 consente al datore d
L’art. 7 L. n. 604/1966 consente al datore di lavoro di comunicare il licenziame…
- Le circolari INPS sono atti interni e non possono
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 10728 depositata il 2…
- La nota di variazione IVA va emessa entro un anno
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 8984 deposi…