CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 15680 depositata il 28 luglio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – LICENZIAMENTO DISCIPLINARE – PREVENTIVA CONTESTAZIONE DELL’ADDEBITO – TEMPESTIVITA’ DELL’ADDEBITO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 23.11.2012 il Tribunale di Padova accoglieva la domanda di I. L. B. nei confronti della C. Cooperativa sociale di dichiarazione di illegittimità del licenziamento disciplinare intimato il 24.11.2009 per l’ingiustificata assenza dal lavoro nei giorni 23, 25, 30 Novembre e 2 Dicembre 2009 (quest’ultime assenze risultano menzionate diversamente negli atti difensivi delle parti ed anche nella stessa sentenza impugnata, ma le circostanze sono univocamente chiare) condannando il datore di lavoro alla reintegrazione ex art. 18 L. n. 300/70 ed al risarcimento del danno. Con sentenza del 16.8.2014 la Corte di appello di Venezia rigettava l’appello della C. Cooperativa Sociale; la Corte territoriale osservava che il CCNL prevedeva che effettivamente la recidiva (per alcune assenze precedenti a quelle già menzionate che avevano portato al licenziamento) potesse determinare la legittimità del recesso, ma solo ove la relativa sanzione fosse stata applicata non in caso di semplice contestazione delle stesse. Inoltre in relazione ad altre infrazioni della lavoratrice alcune non erano state contestate nella lettera di addebito ma solo nella comunicazione di recesso, peraltro il potere disciplinare si era già consumato con l’irrogazione di provvedimenti disciplinari sicché le dette inadempienze potevano essere contestate solo a titolo di recidiva, il che non era avvenuto. Circa invece il periodo di assenza relativo al 23, 25, 30 novembre 2009 e 2 dicembre 2009 i fatti erano stati dimostrati ed apparivano privi di giustificazione posto che la lavoratrice non aveva alcun titolo per assentarsi onde frequentare corsi di studio universitari. Tuttavia la sanzione del licenziamento appariva tardiva e sproporzionata, in quanto irrogata in violazione dell’art. 42 del CCNL oltre 20 gg. dall’addebito. Inoltre l’art. 42 prevedeva il recesso per un’assenza ingiustificata superiore ai tre giorni consecutivi e l’assenza non aveva determinato una irremediabile compromissione del vincolo fiduciario tra le parti, tale da legittimare la chiesta conversione in licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la C. Cooperativa Sociale con sei motivi; resiste controparte con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo sì allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 L. n. 604/66, degli artt. 7 e 18 L. n. 300/70, degli artt. 2104, 2105, 2118 e 2119 c.c. e dell’art. 42 del CCNL applicabile. L’assenza dal lavoro per i gg. 16,7.18 e 19 Novembre al momento in cui si era proceduto alla contestazione dei giorni 23,25,30 novembre e 2 dicembre era già avvenuta. Non serviva per aversi recidiva ‘avvenuta applicazione di una sanzione, ma solo la contestazione dei fatti.
Il motivo appare infondato. La Corte di appello ha infatti da un lato correttamente sottolineato come ai fini della considerazione della recidiva per l’applicabilità di sanzioni espulsive come quella irrogata l’art. 42 stabilisca chiaramente che si deve trattare di precedenti disciplinari che hanno portato all’irrogazione della sanzione “la recidiva in provvedimento di sospensione non prescritto può far incorrere la lavoratrice o il lavoratore nel provvedimento di cui al punto successivo”: la formulazione letterale della norma collettiva non può dare adito ad interpretazioni diverse e vincola il datore di lavoro, per la contestazione della recidiva, ad una previa irrogazione di una sanzione. Questa Corte ha affermato peraltro il principio secondo il quale ” in tema di licenziamento disciplinare, la preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore incolpato deve riguardare, a pena di nullità del licenziamento stesso, anche la recidiva (o comunque i precedenti disciplinari che la integrano), ove questa rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata” (Cass. n. 23924/2010) che chiaramente indica che per la recidiva occorra contestare i ” precedenti” disciplinari e cioè non solo i fatti, ma i provvedimenti disciplinari in concreto adottati.
Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 L. n. 604/66, degli artt. 7 e 18 L. n. 300/70, degli artt. 2104, 2105, 2118 e 2119 c.c. e dell’art. 42 del CCNL applicabile. Le prime tre infrazioni disciplinari erano state erroneamente giudicate non rilevanti perché menzionate solo nella lettera di recesso, ma non in quella di contestazione.
Il motivo appare infondato avendo correttamente la Corte di appello osservato che per le infrazioni prima ricordate si era già esercitato il potere disciplinare con l’irrogazione di sanzioni; pertanto tali comportamenti potevano essere contestate solo a titolo di recidiva, il che il datore di lavoro non ha fatto avendole richiamate solo in sede di irrogazione del recesso. Diversamente opinando si aggirerebbe il principio (prima ricordato) affermato da questa Corte secondo il quale la recidiva va sempre previamente contestata consentendo al datore di lavoro di recuperare una recidiva non previamente prospettata al lavoratore in sede sanzionatoria. Si tratta peraltro di un aspetto che rientra nel principio più ampio dell’immutabilità della contestazione che neppure parte ricorrente revoca in dubbio.
Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 L. n. 604/66, degli artt. 7 e 18 L. n. 300/70, degli artt. 2104, 2105, 2118 e 2119 c.c. e dell’art. 42 del CCNL applicabile, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti. L’elencazione delle ipotesi di recesso del contratto collettivo non era tassativa; era stato omesso qualsiasi valutazione sul “disvalore ambientale” della condotta della lavoratrice che era educatrice professionale e lavorava in una casa di riposo. I permessi erano stati negati dal datore di lavoro.
Il motivo appare infondato posto che la Corte ha valutato le assenze del 23, 25, 30 novembre e 2 dicembre ed ha giudicato la condotta non così grave da minare il rapporto fiduciario tra le parti, tenuto anche conto del fatto che la sanzione espulsiva è prevista dal CCNL per più di tre giorni consecutivi, il che concretamente non è avvenuto: pertanto la gravità del fatto è stata valutata. Non sussiste, comunque, un omesso esame di un “fatto” decisivo per la controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti alla stregua della nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. applicabile ratione temporis che non consente più di sottoporre profili di insufficiente o contraddittoria motivazione ma solo l’omissione di un ” fatto” oggetto di discussione tra le parti, con le precisazioni già offerte dalla giurisprudenza di questa Corte per cui “l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. SSUU n. 8053/2014 ). Peraltro non emergono dalla condotta obiettiva della lavoratrice elementi di particolare disfavore sociale posto che le assenze erano preordinate alla fruizione di lezioni universitarie nella prospettiva, quindi, di un miglioramento professionale e di un arricchimento personale.
Con il quarto motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 L. n. 604/66, degli artt. 7 e 18 L. n. 300/70, degli artt. 2104, 2105, 2118 e 2119 c.c. e dell’art. 42 del CCNL applicabile, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per (a controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti. L’irrogazione della sanzione non era tardiva posto che la norma contrattuale si applica al solo caso in cui il lavoratore risponda alla contestazioni nel termine fissato dei 5 gg., mentre nel caso di specie la Bianchi aveva riposto in ritardo.
Il motivo appare infondato alla luce della formulazione letterale della norma contrattuale che prevede che l’azienda debba comunicare entro i 10 giorni il provvedimento che intende adottare sia nel caso in cui ritenga ingiustificate le giustificazione offerte sia nel caso in cui siano assenti tali giustificazioni. Dallo stesso motivo emerge che il termine contrattuale per l’irrogazione della sanzione non è stato rispettato: in ogni caso anche la fondatezza del motivo non sarebbe sufficiente per l’accoglimento del ricorso posto che la sanzione, come detto, appare sproporzionata oltre che tardiva.
Con il quinto motivo si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 L. n. 604/66, degli artt. 7 e 18 L. n. 300/70, degli artt. 2104, 2105, 2118 e 2119 c.c. e dell’art. 42 del CCNL applicabile. Era stata omessa ogni pronuncia sulla conversione del licenziamento in recesso per giustificato motivo soggettivo.
Il motivo appare infondato in quanto la Corte di appello ha ritenuto a pag. 11 della sentenza impugnata non sussistenti i presupposti per la conversione del recesso in quanto non emergeva alcun rilevante inadempimento.
Con l’ultimo motivo si allega la violazione degli artt. 91, 92, 420 e 429 c.p. c. e dell’art. 31 comma quarto I. n. 183/2010. Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 L. n. 247/2012 e degli artt. 4 e 5 Decreto Ministero della Giustizia n. 55/2014, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti. La Corte di appello non aveva fornito alcun chiarimento in ordine ai criteri con cui erano state liquidate le spese per le singole fasi del processo (e sul punto della mancata accettazione della proposta conciliativa del Giudice), così come non ha fornito alcun criterio per la liquidazione dei compensi per la fase di appello.
Il motivo appare inammissibile; circa la prima doglianza già la Corte di appello ha osservato come non sia stato allegato alcun scostamento da parte del Giudice di prime cure dagli scaglioni di riferimento applicabili al caso di specie e questa specifica allegazione non viene offerta neppure in questa fase sicché parte ricorrente non dimostra di avere interesse all’accoglimento del motivo. Non è neppure chiaro se nel motivo si censuri anche la questione per cui la lavoratrice non avrebbe accettato l’offerta conciliativa del Giudice (elemento che può essere preso in considerazione dal Giudice nel liquidare le spese) ma anche su questo punto la Corte di appello ha osservato che comunque la C. era totalmente soccombente in primo grado e che pertanto non vi è stata alcuna violazione dell’art. 91 e ss. c.p.c. e dei principi in materia di regolazione delle spese. Per l’ulteriori doglianze in ordine alle spese del grado di appello va ribadito quanto prima detto: non essendo stato allegato alcun scostamento da parte del Giudice di appello e dagli scaglioni di riferimento applicabili al caso di specie parte ricorrente non dimostra di avere interesse all’accoglimento del motivo.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite- liquidate come al dispositivo- seguono la soccombenza.
La Corte ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r„n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 100,00 per esborsi oltre euro 4.000,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.
La Corte ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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