CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 settembre 2017, n. 22523
Tributi locali – TARSU – Attività alberghiera – Classificazione tariffaria – Delibera comunale
Rilevato
che il Comune di Vieste propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza n. 253/26/12, depositata il 28/12/2012, della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, che ha respinto l’appello proposto avverso la decisione di primo grado, favorevole alla P. Villaggi s.r.l., esercente l’attività alberghiera relativamente ad un villaggio – turistico, la quale aveva impugnato il diniego di rimborso della maggiore imposta versata a titolo di Tarsu per gli anni 2004/2009, e condannato l’ente locale soccombente al pagamento delle spese di giudizio;
che il Giudice di appello, in particolare, ha rilevato che il diritto al rimborso della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) si fonda sulle attestazioni di pagamento prodotte in giudizio dalla contribuente, e sulla circostanza che l’art. 68, comma 2, del D.Lgs. n. 507 del 1993, stabilisce un’unica classificazione tariffaria per i locali, aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività, convivenze ed esercizi alberghieri, così equiparandoli tutti ai fini impositivi, secondo un criterio di omogeneità, per cui va disapplicato il Regolamento comunale nella parte in cui ha distinto almeno dieci tariffe, notevolmente differenziate rispetto a quelle previste per le civili abitazioni, senza peraltro fornire una seppure minima motivazione circa le ragioni di tali scostamenti;
che l’intimata società resiste con controricorso;
Considerato
che il ricorrente Comune con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n.5, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 2033 e 2697 c.c., omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per giudizio, giacché la contribuente, nel giudizio di primo grado, non aveva depositato le attestazioni di avvenuto pagamento della TARSU, per cui la CTP non avrebbe potuto riconoscere il diritto al rimborso sulla scorta di quanto solamente asserito dalla società Sagittario e neppure la CTR avrebbe potuto confermare la decisione, respingendo il motivo di gravame sul punto, assumendo che la predetta società aveva esibito le quietanze di pagamento in entrambi i gradi del giudizio e dunque verificato le somme in tesi indebitamente versate;
che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 68, comma 2, D.Lgs. n. 507 del 1993, giacché la CTR non ha considerato che è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime, stante la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione, come pure esplicitato nella nota di diniego del rimborso richiesto dalla contribuente;
che a seconda censura, la quale va esaminata prioritariamente, è fondata e merita accoglimento;
che il Giudice di appello ha confermato il disposto annullamento dell’atto impositivo ritenendo che questo fosse stato emesso sulla base di un Regolamento comunale illegittimo e, come tale, da disapplicare, in quanto la disposizione regolamentare che ha consentito la diversificazione tariffaria, irragionevole ed assai rilevante, tra i locali ad uso abitativo e quelli destinati ad esercizi alberghieri, confligge con il disposto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68;
che la decisione della CTR non è in linea con l’orientamento di questa Corte secondo cui « In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce, infatti, un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal d.lgs. n. 22 del 1997, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore; i rapporti tra le tariffe, indicati dall’art. 69, comma 2, del dlgs. n. 507 del 1993, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno d’altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica.» (Cass. n. 16175/2016; n. 12859/2012; n. 302/2010; n. 5722/2007);
che, inoltre, quanto alla rilevata mancanza di motivazione specifica dei suddetti scostamenti, la sentenza trascura di considerare il principio secondo << In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui all’art. 65 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile “ex post”, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili. » (Cass. n. 7044/2014; n. 22804/2006);
che sulla questione oggetto della prima censura, la quale resta assorbita, è sufficiente ricordare, per compiutezza d’indagine, che l’art. 58, D.Lgs. n. 546 del 1992, consente la produzione nel giudizio di appello di qualsiasi documento, pur se già disponibile in precedenza (Cass. n. 22776/2015; n. 3661/2015), e che la CTR, in ragione delle documentazione versata in atti, e quindi sulla base di un diretto accertamento effettuato al riguardo, afferma “di aver avuto modo di appurare i puntuali versamenti delle somme versate coincidenti con quelle chieste a rimborso”;
che, conclusivamente, la sentenza impugnata va cassata e, in applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso originario della contribuente;
che l’evolversi della vicenda processuale giustifica la compensazione delle spese processuali del merito, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, sono poste a carico della intimata e liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente. Compensa integralmente le spese del giudizio di merito e condanna la intimata società al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato — Legge di stabilità 2013), dà atto della non sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
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