CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 settembre 2017, n. 21563
Titolare studio professionale di consulenza – Carattere di abitualità e prevalenza – Mancata iscrizione nel registro degli esercenti attività commerciali – Verbale ispettivo
Considerato in fatto
1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Viterbo di rigetto della domanda proposta da C.M. di accertamento dell’inesistenza del credito dell’Inps di cui al verbale ispettivo del 15/11/2004. La Corte ha riferito che era stato contestato al C., quale titolare di uno studio professionale di consulenza esercente con carattere di abitualità e prevalenza, l’omessa iscrizione in alcuna gestione ed in particolare la mancata iscrizione nel registro degli esercenti attività commerciali nel periodo luglio 1999/luglio 2002 e l’erronea iscrizione nel registro artigiani, invece che in quello dei commercianti, per il periodo successivo.
Secondo la Corte il C. non aveva fornito elementi idonei a dimostrare la sussistenza di soggetti giuridici distinti tra la ditta individuale e la società in accomandita semplice succeduta alla prima; l’espletamento di differenti attività tra i due soggetti, il diverso avvicendamento della ditta individuale e la soc in accomandita di cui il C. era socio accomandatario.
La Corte ha, inoltre, rilevato che il C. non aveva specificamente criticato la statuizione del Tribunale circa la sussistenza dei presupposti per l’iscrizione nella gestione commercianti.
2. Avverso la sentenza ricorre il C. con un motivo ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 cpc. Resiste l’Inps.
Ritenuto in diritto
1. Con un unico motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 cc nonché vizio di motivazione. Rileva che spettava all’Inps la prova della diversità tra la ditta individuale e la soc in accomandita succeduta alla prima: la ditta individuale svolgeva consulenza in campo tributario e la seconda elaborazioni di dati per conto terzi. Censura l’affermazione della Corte secondo cui non era stato adeguatamente criticato quanto affermato dal Tribunale circa l’inquadramento nel settore commerciale. Rileva che, poiché l’elaborazione dati era stata considerata attività manifatturiera, la stessa circolare dell’Inps ammetteva l’iscrizione quale artigiano, qualora sussistessero i presupposti.
Deduce che all’epoca dei fatti l’attività era svolta prevalentemente dal socio accomandatario con la conseguenza che correttamente aveva chiesto l’iscrizione negli artigiani.
2. Il motivo è infondato. Circa la diversità tra i due soggetti, la ditta individuale e la soc in accomandita, il ricorrente non espone sotto quale profilo assuma rilievo decisivo tale circostanza omettendo di esporre i fatti rilevanti in violazione dell’art. 366 cpc e formulando in sostanza un motivo privo di specificità. Riferisce che nell’atto di appello la questione era stata adeguatamente affrontata con le censure alla decisione del Tribunale, ma non riporta il contenuto del ricorso in appello, né, tantomeno, il contenuto della sentenza del Tribunale limitandosi ad affermare che doveva ritenersi del tutto infondato l’accertamento contenuto nel verbale ispettivo, anch’esso neppure riportato nei tratti salienti, e le conseguenti pretese economiche.
Quanto alla sussistenza dei presupposti per l’iscrizione nel commercio il ricorrente si limita ad una critica generica dell’affermazione della Corte d’appello secondo cui il ricorso in appello non conteneva specifiche censure alla statuizione del Tribunale che, invece secondo la Corte, aveva “puntualmente argomentato con riferimento alle risultanze istruttorie in ordine all’inquadramento nel settore terziario … ed alla conseguente corretta iscrizione nella gestione commercianti.
A riguardo il ricorrente afferma che, contrariamente a quanto affermato dal giudice d’appello ,aveva segnalato con l’impugnazione come del tutto correttamente si era iscritto nella gestione artigiani non sussistendo i presupposti per l’iscrizione a quella del commercio.
Anche sotto tale profilo il motivo è, tuttavia, del tutto generico non avendo riportato le censure che si assumono svolte avverso la sentenza del Tribunale al fine di confermare l’infondatezza delle affermazioni della Corte d’appello ; in definitiva la Corte territoriale non ha in alcun modo posto l’onere probatorio in capo al C., limitandosi ad affermare che questi non aveva adeguatamente censurato quanto a riguardo affermato dal Tribunale.
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente, soccombente, a pagare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
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