CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 novembre 2017, n. 26458
Cessione terreno edificabile – Plusvaleza – Tassazione
Fatti di causa
A.A. ed il figlio B.C. in data 18.2.1999 alienavano un terreno edificabile, ricevuto in eredità, per il corrispettivo dichiarato di lire 105.000.000, pari a lire 62.000 al mq. La contribuente A. indicava nella dichiarazione una plusvalenza tassabile di lire 9.588.000.
L’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento con il quale determinava il prezzo di cessione del terreno edificabile in lire 459.921.000, pari a lire 271.500 al mq., accertando a carico di A.A. una plusvalenza di lire 198.266.000 e determinando la maggiore Irpef dovuta. A seguito della definitività dell’accertamento per mancata impugnazione, l’Ufficio notificava in data 24.4.2005 la cartella di pagamento. La contribuente, tramite il difensore, presentava istanza di autotutela asserendo di non avere avuto conoscenza del pregresso avviso di accertamento. La cartella di pagamento diveniva definitiva per mancata impugnazione. La contribuente presentava in data 24.1.2006 una seconda istanza di autotutela alla Direzione Regionale della Agenzia delle Entrate, che la rigettava con provvedimento comunicato il 3.4.2006.
Contro il secondo diniego di autotutela la contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Ravenna che lo accoglieva con sentenza n. 150 del 2007.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale che lo rigettava con sentenza del 18.1.2010, sul rilievo della infondatezza della pretesa tributaria contenuta nell’originario atto impositivo, con condanna della Agenzia delle Entrate alla restituzione della somma indebitamente versata dalla contribuente.
Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone due motivi di ricorso per cassazione.
A.A. resiste con controricorso; chiede di dichiarare inammissibile il ricorso per intervenuta acquiescenza ai sensi dell’art. 329 cod.proc.civ., poiché, a seguito della sentenza della Commissione tributaria regionale qui impugnata, l’Agenzia delle Entrate con provvedimento del 12.6.2010 ha disposto lo sgravio della cartella di pagamento e l’agente della riscossione ha proceduto alla cancellazione dell’ipoteca. Deposita memoria.
Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
1. La preliminare eccezione di Inammissibilità del ricorso, per intervenuta acquiescenza, è infondata. Lo sgravio della somma iscritta ruolo ad opera della Agenzia delle Entrate è avvenuta in osservanza dell’art. 68 comma 2 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 che, in caso di accoglimento del ricorso del contribuente, obbliga l’ente impositore al rimborso d’ufficio del tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto stabilito nella sentenza. L’avvenuta cancellazione della ipoteca legale è conseguenza dell’annullamento del titolo esecutivo (ruolo) a sua volta derivante dalla pronuncia giudiziale di infondatezza del pregresso atto impositivo. Trattandosi di comportamenti imposti dalla legge, essi non sono indice di volontaria acquiescenza incompatibile con la volontà di avvalersi dei mezzi di impugnazione e non determinano l’improponibilità del successivo ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 329 cod.proc.civ.
2. Primo motivo di ricorso: “violazione degli artt. 18 e 21 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, in relazione all’art. 360 n.3 cod.proc.civ.”, nella parte in cui attraverso l’impugnazione del diniego di autotutela, la Commissione tributaria regionale ha consentito l’impugnazione dell’atto impositivo già divenuto definitivo perché non impugnato nei termini di legge.
Il motivo è fondato. La Commissione tributaria regionale ha affermato che, in caso di impugnazione del diniego di annullamento in autotutela di un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione, il giudice tributario è legittimato ad esaminare la sottostante pretesa impositiva, e qualora la ritenga infondata, è tenuto ad annullare in tutto o in parte il provvedimento impositivo. L’affermazione è errata in diritto. Il diniego di annullamento in autotutela comunicato il 3.4.2006, non è stato impugnato per vizi propri, ma con riferimento a pretesi vizi del sottostante atto impositivo notificato il 10.6.2004, non più proponibili per decorrenza del termine di impugnazione. Sul punto occorre ribadire che l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all’ art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo. (Sez. U, Sentenza n. 3698 del 16/02/2009, Rv. 606565 – 01).
2.Secondo motivo:”omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 cod.proc.civ.”.
Il motivo è assorbito.
Ricorrendo un’ipotesi in cui la causa non poteva essere proposta, la cassazione della sentenza impugnata deve essere disposta senza rinvio a norma dell’art. 382 ult.comma cod.proc.civ..
Spese regolate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Compensa le spese dei gradi di merito; condanna la controricorrente al rimborso, in favore della Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro tremilacinquecento, oltre eventuali spese prenotate a debito.
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