CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 dicembre 2016, n. 55078
Fallimento – Delitti – Artt. 216, comma 1 e 2, 217, 219, 220 r.d. n. 267/1942
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Varese in data 24/04/2013, con cui il M.G. era stato ritenuto colpevole e condannato a pena di giustizia in relazione ai delitti di cui: A) agli artt. 216, comma 1 e 2, 219 r.d. n. 267/1942 – perché, quale titolare dell’omonima impresa individuale, dichiarato fallito dal Tribunale di Varese in data 30/09/2009, sottraeva, prima e dopo il fallimento, la somma di euro 1.221,00, incassata dopo la dichiarazione di fallimento, le disponibilità liquide per euro 21.217,50, incassate nel 2009 prima del fallimento, una motocicletta H.S. 650 B) all’art. 217, comma 2, r.d. n. 267/1942 – per non aver tenuto le scritture contabili nei tre anni antecedenti la dichiarazione di fallimento C) all’art. 220, comma 1, r.d. n. 267/1942 – per aver omesso di presentarsi al curatore fallimentare al fine di fornire chiarimenti ed informazioni nell’interesse della procedura – riconosceva all’imputato la circostanza attenuante di cui all’art. 219, comma 3, r.d. n. 267/1942 e riduceva la pena inflitta.
2. Con ricorso depositato il 29/02/2016 il M.G., a mezzo del difensore di fiducia Avv.to M.B., ricorre per:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606 lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192, 544, 546 cod. proc. pen., 216, 219, legge fallimentare, 49 cod. pen., in quanto la somma di euro 1.221,00 non sarebbe stata trattenuta dal ricorrente, imprenditore individuale, che, dopo il fallimento, aveva ricevuto da parte di un debitore il pagamento di una fattura a saldo, avendo comunque il curatore incassato la medesima somma, per cui, sia alla luce della fungibilità del denaro che alla luce del principio di cui all’art. 2033 cod. civ., nel caso in esame non vi sarebbe stata alcuna lesione del bene protetto, ricorrendo l’ipotesi di cui all’art. 49 cod. pen., avendo in ogni caso la massa fallimentare incassato la somma equivalente a quella ricevuta dal ricorrente;
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606 lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 63 cod. proc. pen., 217 legge fallimentare, in quanto dalla motivazione della sentenza non si comprenderebbe quale sarebbe la norma extrapenale violata dal ricorrente nella tenuta delle scritture contabili, essendo basata l’affermazione di penale responsabilità unicamente sulle dichiarazioni del curatore, che non avrebbe svolto alcun accertamento sulla tenuta delle scritture contabili, e sulle dichiarazioni del ricorrente al curatore, inutilizzabili in quanto rese in violazione dell’art. 63 cod. proc. pen., essendo in ogni caso indimostrato l’elemento psicologico del reato;
2.3. violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606 lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62 bis, 175 cod. pen., avendo la Corte territoriale negato le circostanze attenuanti generiche al prevenuto pur riconoscendo che egli era privo di precedenti penali, così come nulla sarebbe stato precisato dalla Corte territoriale in ordine alla concessione del beneficio di cui all’art. 175 cod. pen.
Il ricorso è inammissibile.
Le argomentazioni poste a base dei motivi di ricorso risultano reiterative delle doglianze poste a fondamento dei motivi di gravame e, pertanto, appaiono formulate prescindendo da un concreto confronto con le motivazioni della sentenza impugnata, il cui percorso logico-giuridico viene, in tal modo, del tutto eluso dalla difesa.
1. Il primo motivo è palesemente inammissibile in quanto non tiene in alcun conto la motivazione fornita sul punto: la Corte territoriale, infatti, alla pag. 4 della sentenza impugnata, rileva che il ricorrente aveva riscosso dalla K. la somma di euro 1.221,00, trattenendola per sé e non ritenendo di doverla restituire alla procedura; solo in epoca successiva, e per una iniziativa autonoma del curatore, il debitore aveva di nuovo effettuato il pagamento. Il successivo pagamento, scaturito da un’iniziativa della curatela fallimentare del tutto estranea alla volontà del fallito, quindi, non escludeva affatto l’antigiuridicità del fatto, secondo la valutazione della Corte di merito.
Detta motivazione appare del tutto immune da censure logiche, atteso che nel caso di specie non è in alcun modo possibile configurare – come sembrerebbe adombrare la difesa – un caso di bancarotta “riparata”, che si configura quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento (Sez. 5, sentenza n. 4790 del 20/10/2015, dep. 05/02/2016, Budola, Rv. 266025), determinando il venir meno dell’elemento materiale del reato. Ed infatti non solo la vicenda ha avuto luogo in una fase successiva alla dichiarazione di fallimento, ma il pagamento della somma dovuta dalla K. era intervenuta del tutto autonomamente dalla volontà del ricorrente, che non aveva esitato ad intascare la somma corrispondente alla fattura emessa dalla K..
La sentenza citata dalla difesa a sostegno del motivo di ricorso, inoltre, non risulta affatto pertinente alla questione trattata, in quanto ha per oggetto una vicenda di ricettazione post fallimentare, essendo stato, al contrario, nel caso in esame, sottolineato dalla Corte territoriale come il pagamento da parte del debitore alla curatela fosse stato un esito del tutto estraneo ad un’iniziativa riparatrice del fallito.
2. Il secondo motivo è parimenti inammissibile, atteso che pacificamente la disciplina dell’art. 63 cod. proc. pen. non si applica alle dichiarazioni rese al curatore fallimentare, trattandosi di dichiarazioni acquisite al di fuori del procedimento penale (Sez. 5, sentenza n. 32388 del 03/03/2015, Setti, Rv. 264255; Sez. 5, sentenza n. 4164 del 06/10/2014, Cardilli, Rv. 262172).
In ogni caso la fattispecie di reato ravvisata è quella di cui all’art. 217 legge fallimentare, per integrare la quale è sufficiente la colpa, e la motivazione della Corte territoriale configura proprio la sussistenza di detto elemento soggettivo sulla base delle dichiarazioni rese dal ricorrente al curatore fallimentare, non contestate dalla difesa.
3. Quanto al terzo motivo di ricorso, va ricordato che le circostanze attenuanti generiche erano già state concesse dal primo giudice, mentre la Corte territoriale ha, in più, ravvisato la sussistenza della circostanza attenuante di cui al 219 legge fallimentare. Quanto ai benefici di legge – complessivamente considerati dalla motivazione della sentenza impugnata – entrambi sono stati ritenuti non applicabili in quanto, pur in assenza di precedenti penali, sono stati valutati sia il disinteresse dell’imputato per le ragioni creditorie della procedura fallimentare, sia l’assenza di attività riparatoria e di segnali di resipiscenza; detta motivazione, chiaramente riferibile ad entrambi i benefici di legge, appare del tutto immune da censure logiche e, come tale, insindacabile in sede di legittimità.
Dalla declaratoria di inammissibilità discende, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
La natura delle questioni trattate consente la redazione della motivazione della presente sentenza in forma semplificata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.
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