Rilevanza dei fatti ai fini della lesione del rapporto fiduciario – cassazione sentenza n. 3912 del 18 febbraio 2013
La rilevanza della sentenza pronunciata a norma dell’art. 444 c.p.p. (sentenza a seguito di richiesta di patteggiamento) – che disciplina l’applicazione della pena su richiesta dell’imputato – non è tecnicamente configurabile come una sentenza di condanna, è pur vero che nell’evoluzione dell’interpretazione della norma si è affermato tuttavia che, ove una disposizione del contratto collettivo faccia riferimento alla sentenza penale di condanna passata in giudicato come fatto idoneo a consentire il licenziamento senza preavviso, il giudice di merito può, nell’interpretare la volontà delle parti collettive espressa nella clausola contrattuale, ritenere che gli agenti contrattuali, nell’usare l’espressione «sentenza di condanna», si siano ispirati al comune sentire che a questa associa la sentenza di cd. patteggiamento, ex art. 444 c.p.p., atteso che in tal caso l’imputato non nega la propria responsabilità, ma esonera l’accusa dall’onere della relativa prova in cambio di una riduzione di pena.
Tuttavia, tale equiparazione non esonera dall’ulteriore verifica dell’idoneità dei fatti a ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia con il lavoratore, in particolare nel caso in cui il licenziamento sia intimato con riguardo ad una previsione collettiva, che fa sì riferimento ad una «condanna passata in giudicato», ma condiziona comunque l’irrogazione della massima sanzione alla circostanza che i fatti costituenti reato possano assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario, nell’ipotesi in cui la loro gravità in relazione alla natura del rapporto fiduciario, nell’ipotesi in cui la loro gravità in relazione alla natura del rapporto, alle mansioni, al grado di affidamento, sia tale da far ritenere il lavoratore professionalmente inidoneo alla prosecuzione del rapporto».
La sentenza in esame ha ad oggetto un caso di licenziamento disciplinare per giusta causa di un impiegato che aveva patteggiato la pena all’esito di una colluttazione con i vigili urbani verificatasi a seguito della violazione del codice della strada da parte del dipendente mentre era alla guida del furgone aziendale. Sia in primo grado che in appello il licenziamento veniva dichiarato illegittimo. In particolare, la Corte d’appello affermava che la sentenza di patteggiamento non potesse essere assimilata ad una sentenza di condanna, che, ai sensi dell’art. 54 del Ccnl di categoria, costituisce fatto idoneo a giustificare il licenziamento senza preavviso. In ogni caso, la stessa Corte osservava che, in base alle circostanze emerse dall’istruttoria, il comportamento aggressivo del dipendente sarebbe stato conseguenza dell’atteggiamento provocatorio dei vigili urbani.
La società proponeva ricorso in Cassazione rilevando, inter alia, vizio di motivazione della sentenza relativamente alla parte in cui la Corte aveva ritenuto di non attribuire rilevanza alla sentenza di patteggiamento ai fini dell’applicazione della sanzione del licenziamento.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso correggendo in parte la motivazione della sentenza del secondo giudice, ma confermandone le conclusioni.
La Cassazione ha infatti affermato che, nell’evoluzione interpretativa della norma collettiva, ben può una sentenza di patteggiamento essere equiparata ad una sentenza di condanna, dal momento che l’imputato non nega la propria responsabilità, ma esonera l’accusa dall’onere della relativa prova in cambio di una riduzione di pena. Tuttavia, anche alla luce della previsione collettiva l’equiparazione in questione «non esonera dall’ulteriore indagine dell’idoneità dei fatti a ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia con il lavoratore».
Nel caso di specie la Cassazione ha dunque confermato le conclusioni della sentenza d’appello ritenendo illegittimo il licenziamento in quanto i fatti, per come si erano svolti e tenuto conto delle mansioni del lavoratore e del grado di fiducia in lui riposto, non giustificavano il recesso per giusta causa.
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