CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 2872 del 3 febbraio 2017
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 69 del 26 maggio 2011 la Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria respingeva l’appello proposto dalla Miletti Fortunato & Figli s.a.s. e dai soci Fortunato, Mauro e Fabio Miletti avverso la sentenza di primo grado che aveva a sua volta respinto i ricorsi dai medesimi proposti avverso gli avvisi di accertamento ai fini IVA, IRAP ed IRPEF relativamente agli anni di imposta 2003 e 2004, per contestare la rettifica del reddito d’impresa conseguente alle varie riprese operate ai fini IVA ed IRPEF, tra cui il disconoscimento di costi non documentati per € 3.403.256,00 per l’anno 2003 e per € 5.052.027,00 per l’anno 2004, di cui agli avvisi di accertamento emessi anche nei confronti dei soci della società di persone per la quota di reddito ai medesimi imputata per trasparenza ai sensi dell’art. 5 TUIR (d.P.R. 917 del 1986) e 41 bis d.P.R. n. 600 del 1973. A fronte della violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, dedotta dagli appellanti per avere l’Agenzia delle entrate proceduto ad accertamento con metodo analitico pur in presenza dei presupposti per procedere ad accertamento induttivo, come l’inattendibilità delle scritture contabili, il giudice di appello sosteneva che spettava all’Agenzia delle entrate e non alla Commissione tributaria stabilire quale metodo di accertamento sia in concreto applicabile e che anche le ulteriori argomentazioni sostenute dalla parte appellante non potevano in quella sede trovare alcuna possibilità di accoglimento.
2. Ricorrono per cassazione i contribuenti sulla base di tre motivi cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso.
3. Il Collegio ha autorizzato la redazione della sentenza con motivazione semplificata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 1, comma 2, e 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 nonché degli artt. 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost., lamentando l’apparenza della motivazione resa dai giudici di appello, le cui affermazioni erano inidonee a rilevare le ragioni della decisione assunta sulle singole questioni poste nei motivi di ricorso, generiche le risposte fornite in ordine alla rilevata violazione di principi costituzionali e alla contestata legittimità del metodo di accertamento adottato in concreto dall’ufficio finanziario, immotivato il rinvio alla decisione di primo grado, senza esplicitazione delle ragioni di condivisione, tanto da non consentire di identificare l’iter logico seguito per giungere alle conclusioni prese.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 112 c.p.c. e 1, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, lamentando che i giudici di appello non avevano pronunciato sulla domanda di annullamento dell’avviso di accertamento in quanto basato sul metodo analitico di ricostruzione del reddito d’impresa invece di quello induttivo, di cui sussistevano i presupposti, con conseguente violazione anche dei principi di uguaglianza e capacità contributiva, e sulla domanda subordinata di operare una valutazione sostitutiva adeguata alle caratteristiche della società, operante in prevalenza nel settore dei lavori pubblici.
3. Con il terzo motivo di ricorso, con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, 3 e 53 Cost. nonché 21-octies della legge n. 241 del 1990, la ricorrente si duole della scelta del metodo di ricostruzione del reddito d’impresa operata dall’Amministrazione finanziaria, che ha fatto ricorso a quello analitico pur sussistendo le condizioni poste dall’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 per procedervi con metodo induttivo, lamentando anche i risultati irragionevoli ed incongrui restituiti dall’applicazione di quel metodo, tali da integrare anche una violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e di capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost.
3.1. A tale ultimo riguardo sostiene che l’operata rettifica del reddito d’impresa ha determinato una redditività superiore al 40%, assolutamente irragionevole nell’ambito dell’edilizia pubblica in cui operava prevalentemente la società e che la stessa Agenzia delle entrate in occasione del contraddittorio aveva indicato – per aziende similari – nella misura del 4% (pag. 60 del ricorso). A detta dei ricorrenti, percentuali ancora minori risultavano dall’Osservatorio dei lavori pubblici dell’Umbria, dai dati elaborati da una società di ricerca sui bilanci depositati presso la CCIAA di Perugia, dai parametri e studi di settore.
4. Tale ultimo motivo, che va esaminato prioritariamente risultando connotato di decisività in applicazione del principio della “ragione più liquida” (Cass. S.U. n. 9936 del 2014, n.12002 del 2014 e n. 16462 del 2016), è fondato e va accolto.
4.1. L’orientamento giurisprudenziale di legittimità in tema di accertamento delle imposte sui redditi è assolutamente consolidato nel ritenere insindacabile il potere dell’amministrazione finanziaria, se esercitato nell’ambito delle previsioni di legge, di scegliere discrezionalmente il metodo di accertamento da utilizzare nel caso concreto e, pertanto, la parte contribuente, in assenza (secondo Cass. n. 8333 del 2012), non ha titolo a dolersi della scelta operata (cfr. Cass. n. 19258 del 2005; n. 20837 del 2005; n. 13430 del 2012; n. 8333 del 2012; n. 16980 del 2015; v. anche Cass. n. 13350 del 2009). V’è però da dire che nel caso di specie, considerando il risultato restituito dall’applicazione di quel metodo (in termini di percentuale di redditività determinata considerando un utile di € 4.013.000,00 che la società avrebbe ricavato da € 10.809.461,00 di fatturato nell’anno di imposta 2003 e di circa € 5.843.323,55 che la società avrebbe ricavato da circa € 14.000.000,00 di fatturato nell’anno di imposta 2004 — v. ricorso pag. 55), non può escludersi che i contribuenti abbiano subito un concreto pregiudizio dalla scelta metodologica operata dall’amministrazione finanziaria, apparendo irragionevole ed incongrua, alla stregua dei dati riferiti dai contribuenti, l’applicazione di una percentuale di ricavi del 37% ad un’impresa operante quasi esclusivamente nel settore degli appalti pubblici.
5. Da tale ultima circostanza, confermata dal contenuto del processo verbale di constatazione (riportato per autosufficienza a pag. 11 del ricorso) in cui si afferma che i committenti della società in verifica erano e dalla quale gli stessi verificatori hanno fatto conseguire la ; dalla riscontrata sussistenza di gravi, numerose e ripetute inesattezze ed omissioni, anche formali, con duplicazione anche di talune registrazioni, rilevate nelle scritture contabili (v. ricorso, pag. 13), tali da potersi ritenere assolutamente inattendibili; dalla evidente discrasia emergente tra la percentuale di ricarico applicata nel caso di specie alla società verificata e quelle, invece, desumibile dai dati dall’Osservatorio dei lavori pubblici dell’Umbria, pubblicati nel bollettino ufficiale di quella regione, dai dati elaborati da una società di ricerca sui bilanci depositati presso la CCIAA di Perugia, dai parametri e studi di settore per imprese di medie dimensioni operanti nel settore dei lavori pubblici, ma soprattutto da quella (pari al 4%) che la stessa Agenzia delle entrate, in sede di contraddittorio, aveva ritenuto congruo per aziende similari a quella verificata; da tutte queste circostanze, dall’amministrazione finanziaria neanche contestate, deve trarsi il convincimento della assoluta incongruenza delle risultanze della verifica. Da ciò discende l’accoglimento del ricorso, che, così come questa Corte ha avuto modo di osservare (v. Cass. 23463 del 2007), non costituisce un , ma è espressione del legittimo sindacato del giudice tributario che concreta.
6. In sintesi, il terzo motivo va accolto, con conseguente assorbimento dei primi due, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, in diversa composizione, che rivaluterà la vicenda alla stregua di quanto sopra si è rilevato, provvedendo anche alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti il primo e secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale del’Umbria, in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della 5^ sezione civile in data 8 novembre 2016.
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