Tributi – Avviso di accertamento – IRPEG, IRAP e IVA – Mancata contabilizzazione di corrispettivi – Contabilizzazione di operazioni inesistenti
Svolgimento del processo
1. L’agenzia delle entrate ha notificato alla C.A.M. s.r.l. avviso di accertamento con cui è stato rettificato il reddito per l’anno di imposta 2003, con maggiori IRPEG, IRAP e IVA e sanzioni, per mancata contabilizzazione di corrispettivi per euro 4.725.980 (in relazione alla cessione di un’area alla I.R. s.r.l. con trasferimento di oneri di urbanizzazione ritenuto più che proporzionale) e per contabilizzazione di operazioni inesistenti per euro 805.230 (in relazione a fatture per realizzazione di edifici i cui permessi di costruire sono stati rilasciati posteriormente alla ricezione delle fatture medesime, con parimenti successiva rinuncia a eseguire le opere – con perdita degli acconti – operata tra soggetti giuridici diversi ma coincidenti nella persona dell’amministrazione-proprietario; – v. sentenza della commissione regionale).
La parte contribuente ha impugnato l’atto e la commissione tributaria provinciale di Milano ha accolto il ricorso.
L’agenzia ha impugnato la sentenza innanzi alla commissione tributaria regionale della Lombardia in Milano, avverso la cui decisione di accoglimento dell’appello la contribuente ricorre per cassazione su quattro motivi, cui l’agenzia resiste con controricorso.
La parte contribuente deposita memoria ex art. 378 cod. proc. civ. con cui tra l’altro fa valere un giudicato dichiarato formatosi a seguito di mancata impugnazione da parte dell’agenzia di capo di sentenza di secondo grado concernente altra annualità, avverso la quale pende ricorso per cassazione, nonché invoca l’applicazione del regime sanzionatone più favorevole disposto dal d. Igs. n. 158 del 2015.
Motivi della decisione
1. – Preliminarmente si dà atto che è stata autorizzata la redazione della sentenza in forma semplificata ai sensi del decreto del primo presidente del 14 settembre 2016.
2. – Con il primo motivo si censura, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su deduzione – proposta come motivo del ricorso originario, espressamente rigettata dalla commissione provinciale e riproposta dalla contribuente nelle controdeduzioni in sede di appello – concernente la nullità dell’avviso per mancanza di motivazione, ‘sub specie’ di “inintelligibilità” per essere “talmente confuso da rendere difficile persino la corretta individuazione delle tesi ivi sostenute”. Il motivo è inammissibile, in quanto la questione deve ritenersi preclusa da giudicato interno; invero la parte contribuente non ha dedotto di aver proposto, sulla questione oggetto di espresso rigetto in primo grado, appello incidentale, ma di aver meramente riproposto la stessa in sede di controdeduzioni, per cui va data continuità all’indirizzo (v. da ultimo ad es. sez. 5, n. 16477 del 2016 e n. 23228 del 2015) secondo cui nel processo tributario, la parte, totalmente vittoriosa nel merito, rimasta soccombente su una determinata questione, onde evitare la formazione del giudicato interno, deve necessariamente proporre impugnazione incidentale sul punto, non essendo sufficiente la mera riproposizione della questione in appello, ai sensi dell’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, poiché la dizione “non accolte” ivi utilizzata riguarda le sole domande ed eccezioni su cui il giudice non si sia espressamente pronunciato. Solo con la memoria ex art. 378 c.p.c., operando trascrizioni e addirittura allegando documentazione di merito, la s.r.l. deduce che alla p. 47 delle controdeduzioni in appello sarebbe stata chiesta la declaratoria di “nullità per carenza di motivazioni dell’avviso di accertamento”, espressione questa da reputarsi – secondo la parte – quale appello incidentale. Al riguardo, deve rilevarsi – in disparte ogni considerazione circa l’inammissibilità della deduzione in sede ex art. 378 c.p.c., destinata solo a illustrare quanto già contenuto nel ricorso – che il contenuto delle controdeduzioni in appello, quand’anche ritualmente portato a conoscenza di questa corte, comunque non potrebbe qualificarsi atto di impugnazione sul ‘thema decidendum’ di cui si tratta, essendo assenti del tutto parti volitiva e argomentativa di uno specifico motivo di gravame in riferimento alla sentenza impugnata (cfr. tra le molte ad es. sez. 3, n. 10314 del 2004, sez. 2, n. 22906 del 2005, sez. L n. 6978 del 2013, sez. un. n. 23299 del 2011).
3. – Con il secondo motivo si censura, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio – indicato nella “circostanza di fatto che con la nota compravendita la società contribuente abbia occultato ricavi in misura pari all’assunzione da parte dell’acquirente di oneri di urbanizzazione più che proporzionali, tenuto conto dell’estensione dell’area 1 ceduta, rispetto a quelli definiti nella originaria convenzione tra il cedente e il comune, investendo la censura il profilo motivazionale dell’accertamento fattuale, compiuto dalla commissione, in ordine alla concreta valutazione dell’effettivo prezzo dell’area trasferita” (pp. 65 e 66 del ricorso) – ciò “non essendo appagante l’iter logico-giuridico seguito” (p. 79 del ricorso) quanto alla decisione sul primo rilievo concernente occultamento di corrispettivi. Il motivo è inammissibile. Per consolidato orientamento di questa corte la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, sez. un. n. 24148 del 2013). Il motivo di ricorso ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. non conferisce alla corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’atro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ciò posto in generale, in relazione al caso di specie va altresì considerato che la riforma del giudizio di cassazione operata con la L. n. 40 del 2006 ha sostituito, all’art. 360 c.p.c., co. 1, n. 5, la nozione di “punto decisivo della controversia” con quello di “fatto controverso e decisivo”, per cui il motivo di ricorso con il quale si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo (cfr. sentenze n. 12990 del 2009, n. 2805 del 2011, n. 16655 del 2011, n. 13457 del 2012). Rispetto a tale parametro, deve rilevarsi che la parte ricorrente, lungi dal denunciare una totale obliterazione di fatti decisivi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero una manifesta illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune od ancora un difetto di coerenza tra le ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, si limita a far valere – con argomentazioni relative alla mera indicatività degli oneri di cui alla convenzione, alla non idoneità dei listini della camera di commercio, nonché con contestazioni di merito rispetto-ai parametri usati dalla commissione regionale – la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato dalla parte (rispetto al quale propone critiche di insufficienza e illogicità che più opportunamente avrebbero dovuto essere incentrate sullo stesso iter del giudice di merito), proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti. Tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. Sicché il motivo in esame si traduce nell’invocata revisione delle valutazioni e dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non concessa perché estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.
4. – Con il terzo motivo, parallelamente rispetto al secondo, si censura, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (indicato nella fittizietà oggettiva della cessione) “non essendo appagante l’iter logico-giuridico seguito” (p. 91 del ricorso) quanto alla decisione sul secondo rilievo concernente fatturazione di operazioni inesistenti. Anche tale motivo deve ritenersi inammissibile per le medesime ragioni esposte quanto al secondo. Anche in ordine alle questioni concernenti la contestazione di fatturazione di operazioni inesistenti, lungi dal denunciare obliterazione di fatti decisivi, manifesta illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune od ancora un difetto di coerenza interno alle valutazioni del giudice, la parte ricorrente si limita a far valere – con argomentazioni relative alla irrilevanza del rilascio postumo dei permessi per costruire e contestazioni circa i ruoli dei soggetti partecipanti alla rinuncia, anche essa postuma, alle operazioni con perdita degli acconti – la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato dalla parte, richiedendo in sostanza a questa corte una nuova pronuncia sul fatto, non concessa perché estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.
5. – In relazione al motivo dinanzi esaminato (nonché al successivo), giova a questo punto delibare la deduzione della parte ricorrente, svolta nella memoria ex art. 378 c.p.c., secondo la quale – non avendo in altro giudizio pendente innanzi a questa corte, in relazione ad altra annualità, l’agenzia, in tesi, impugnato statuizione della commissione di secondo grado che avrebbe ritenuto le operazioni sull’area ex C. quali effettive ed esistenti – sarebbe coperta da giudicato la circostanza della reale effettuazione delle operazioni sull’area stessa. La questione è infondata, per insussistenza di valido giudicato qui opponibile, per diverse ragioni: anzitutto, trattandosi di fatture relative a operazioni diverse, la natura reale delle operazioni non è elemento comune ai procedimenti che possa far emergere un effettivo giudicato; inoltre, la circostanza che il capo di sentenza di secondo grado, sul punto, sia inoppugnabile – prima dell’esame da parte di questa corte del relativo ricorso – è mera asserzione, ben essendo possibile che emerga una diversa circostanza all’esito del giudizio di legittimità; infine, resta esentata la corte dal valutare se quanto presentato come giudicato consista o meno in una valutazione giuridica, non costituente premessa logica necessaria dell’eventuale statuizione non più controversa.
6. – Con il quarto motivo si censura, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per extrapetizione, avendo in tesi la commissione regionale desunto la fittizietà delle operazioni di cui al secondo rilievo, invece che sul fatto di cui all’avviso – permessi di costruire rilasciati posteriormente alla ricezione delle fatture – su una diversa circostanza idonea a innovare il ‘thema decidendum’ e costituita dalla successiva rinuncia a eseguire le opere con perdita degli acconti, rinuncia operata tra soggetti giuridici diversi ma coincidenti nella persona dell’amministrazione-proprietario. Il motivo è infondato. Invero, risulta anzitutto dalla lettura della sentenza che i giudici di appello non hanno del tutto trascurato il dato fattuale del rilascio postumo dei permessi di costruire (debitamente riportato nello “svolgimento del processo”), ma hanno aggiunto ulteriori valutazioni (che invero dalla sentenza risultano dedotte dallo stesso ufficio – cfr. sempre “svolgimento del processo”). In secondo luogo, e a prescindere da quanto innanzi, quand’anche fossero del tutto nuove le considerazioni svolte dal giudice di appello a sostegno di una delle tesi già ampiamente dedotte in lite, valorizzando dati fattuali già acquisiti, non si potrebbe comunque essere verificata violazione dell’art. 112 c.p.c. Sul punto, infatti, va data continuità all’indirizzo giurisprudenziale (v. sez. 5, n. 22400 del 2014) per cui in tema di contenzioso tributario la decisione del giudice non è affetta da vizio di ultrapetizione qualora il giudice si ponga all’interno del perimetro tracciato dall’atto di accertamento, seppure con ulteriori argomentazioni tese a contrastare le censure mosse dal contribuente verso l’atto impositivo, che rimane fondato sui medesimi fatti costitutivi in esso esposti (v. altresì sez. 6 – 5, n. 11223 del 2016 che chiarisce come il divieto di nuove eccezioni in sede di gravame, di cui all’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, concerna le eccezioni in senso stretto, consistenti, nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili).
7. – Con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c., la parte contribuente ha invocato l’applicazione del regime sanzionatorio più favorevole, in ragione dell’entrata in vigore del d.Igs. n. 158 del 2015. Alla richiesta non deve darsi seguito. Invero, deve darsi continuità all’indirizzo interpretativo (Cfr. sez. 5, n. 20141 del 2016; cfr. per un precedente n. 9129 del 2006) secondo cui in tema di sanzioni amministrative per violazione delle norme tributarie, le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015, applicabili ai processi in corso in virtù degli artt. 3, comma 3, e 25, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, non operano in maniera generalizzata in “favor rei”, rendendo la sanzione irrogata illegale, sicché deve escludersi che la mera deduzione, in sede di legittimità, dello “ius superveniens”, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, dovendo il contribuente allegare e, se necessario, provare la sussistenza dei fatti costitutivi e/o eventualmente modificativi, ovvero estintivi, necessari per la concreta applicazione di dette norme, atteso che il giudice non può introdurre nella controversia, di sua iniziativa, elementi di fatto diversi da quelli dedotti e dimostrati dalle parti. Nel caso di specie, con la memoria, dopo aver riportato il calcolo mediante cumulo giuridico indicato nell’avviso di accertamento, la parte ricorrente ha proposto la riduzione dal 100% al 90% della maggior imposta, che per le violazioni che interessano è il portato della riforma, computando gli aumenti con cumulo giuridico come nell’avviso di liquidazione. Tale deduzione non può essere presa in considerazione. Infatti, se è vero che con il d.lgs. n. 158 del 2015, emanato in attuazione dell’art. 8, primo comma, della legge n. 23 del 2014, il sistema sanzionatorio amministrativo in materia tributaria previsto dai decreti legislativi n. 417 e n. 472 del 1997 ha subito una significativa revisione, è anche vero che il legislatore ha – tra le altre cose e senza tema di completezza – provveduto a ridurre le sanzioni previste per alcune violazioni già tipizzate (ad esempio, per le dichiarazioni infedeli, in cui si è passati dalla sanzione ricompresa tra il cento e duecento per cento della maggior imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato, a quella ricompresa tra il novanta ed il centoottanta per cento), ma anche proceduto a prevederne di nuove (introducendo, ad esempio, la maggiorazione della metà della sanzione prevista per la dichiarazione infedele, quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di fatture o altra documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente – attuale comma terzo dell’art. 1 e comma 4 bis dell’art. 5 d.lgs. n. 471 del 1997) e a confermare l’entità di alcune delle sanzioni previste per determinate violazioni (ad esempio in materia di omissione di dichiarazione, in cui è rimasta immutata la “forbice” sanzionatone fissata tra il centoventi ed il duecento – quaranta per cento dell’ammontare dei tributi dovuti). La modifica normativa in esame, quindi, non opera – a differenza di come pretende la parte – in via generalizzata in “favor rei” ma, proprio con riferimento ad alcune condotte quali quelle in rilievo nella fattispecie, avrebbe potuto operare anche in senso sfavorevole. Non potendosi dunque operare rinvio per la mera invocazione dello “ius superveniens”, in assenza di piena deduzione fattuale quale imposta dalla giurisprudenza, all’istanza non va dato seguito.
8. – Le spese del giudizio di-cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.130 per compensi, oltre spese eventualmente prenotate a debito.