IVA – Accertamento – Sanzioni – Attività commerciale e agricola – Omessa dichiarazione
Fatti di causa
V.B. impugnò, con distinti ricorsi, innanzi alla CTP di Foggia, cinque avvisi d’accertamento e sei avvisi d’irrogazione di sanzioni, in tema d’Iva, che erano seguiti ad un p.v.a. redatto dalla g.d.f, che aveva accertato lo svolgimento, da parte del B., di attività di imprenditore commerciale, oltre a quella di imprenditore agricolo, nonché alcune violazioni formali relative all’omessa dichiarazione Iva.
In particolare, l’ufficio aveva desunto lo svolgimento dell’attività imprenditoriale commerciale dal rinvenimento di alcuni quaderni nella disponibilità del contribuente.
La CTP, riuniti i ricorsi, accolse l’impugnazione, ritenendo non sufficientemente dimostrata tale attività.
L’agenzia delle entrate propose appello avverso tale sentenza, rigettato dalla CTP in ordine alla questione della prova dell’attività commerciale, ed accolto in ordine all’omissione di pronuncia afferente alle altre violazioni. contestate dall’ufficio, evidenziando altresì la sussistenza degli obblighi di cui agli artt. 28, 34 e 39 del dpr n. 633/72.
L’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, formulando due motivi.
Con il primo l’agenzia ha denunciato la violazione dell’art. 39, comma 2, del dpr n. 600/73, e 2730 c.c., in relazione all’art. 360, n.3, c.p.c., argomentando che il giudice d’appello aveva erroneamente disconosciuto l’equivalenza tra il ritrovamento di quaderni extracontabili e l’inattendibilità della contabilità, non considerando altresì che il contribuente aveva dichiarato a verbale- con valore sostanzialmente confessorio- che alcuni di tali quaderni erano stati effettivamente da lui redatti (seppure successivamente il B. avesse negato ciò, attribuendo ai figli la redazione del contenuto dei suddetti quaderni a titolo di “esercitazioni scolastiche”).
Con il secondo motivo, l’agenzia ha lamentato la violazione degli artt. 2699 ss., c.c., e l’omessa e insufficiente motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., circa la rilevanza indiziaria, ai fini dell’accertamento induttivo espletato, dell’attività d’accertamento compiuta dalla g.d.f.
Resiste il B., con controricorso, eccependo l’inammissibilità dei motivi, perché non ritenuti relativi a questioni di diritto, e comunque la relativa infondatezza.
Preliminarmente, il collegio delibera di redigere la sentenza nella forma semplificata.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, data la relativa connessione.
II ricorso è fondato.
La sentenza impugnata è affetta da violazione di legge nella parte in cui la CTR ha argomentato che “il semplice rinvenimento di alcuni quaderni, di dubbia attribuibilità, non potesse essere sufficiente a provare un’attività commerciale non dichiarata, in mancanza di altri riscontri esterni che potessero confermare il quadro indiziario” e che “non vi è alcun riscontro relativo ai presunti clienti dell’attività contestata al B., né altri riscontri, in particolare accertamenti bancari, i quali, al contrario, provano la sussistenza di modesti movimenti di capitali non collimanti con il volume dell’attività economica presunta”.
Al riguardo, la CTR non ha correttamente applicato la consolidata giurisprudenza della Corte secondo cui il rinvenimento di documenti extra conta bili legittima l’accertamento induttivo, determinando l’insorgenza dell’onere della prova contraria in capo al contribuente.
Peraltro, quest’ultimo ha riconosciuto, a verbale, di aver sottoscritto alcuni dei suddetti documenti (fg. 42, righe 12-24 del p.v.c., prodotto in primo grado, il cui contenuto è stato riportato nel ricorso), sebbene negando che essi riguardassero cessioni commerciali, e quantunque tale ammissione sia stata poi esclusa nelle difese espresse nel corso del giudizio, avendo il contribuente ascritto ad un figlio-studente la compilazione dei medesimi documenti per finalità di esercitazioni di ragioneria (pag. 2 dei ricorsi di primo grado, come riportato in ricorso).
Inoltre, parte ricorrente ha addotto l’esecuzione di controlli incrociati, come desumibile dal p.v.c., in cui sono annotati nomi di cedenti, acquirenti, i prodotti ceduti e i relativi importi delle cessioni, afferenti all’attività commerciale attribuita al Basso.
Al riguardo, occorre richiamare la costante giurisprudenza della Corte secondo cui in tema di IVA, il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio (ma anche di agende-calendario, block notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari), costituisce indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l’amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 54 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 (Cass., 27.3.2006, n. 6949).
Al riguardo, la S.C. ha confermato una sentenza impugnata, la quale aveva desunto l’esistenza di acquisti di merce non fatturati da annotazioni contenute in un tabulato esibito dal contribuente e contenente l’inventario di magazzino, con indicati i prezzi di vendita, le cui risultanze erano state confermate dall’esame del campionario effettuato dai verbalizzanti (Cass., 25.3.2009, n. 7184).
Nell’ambito di tale orientamento, e’ stato altresì rilevato che in tema di accertamento dell’IVA, il ricorso al metodo induttivo è ammissibile anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale autorizza l’accertamento anche in base ad “altri documenti” o “scritture contabili” (diverse da quelle previste dalla legge) o ad “altri dati e notizie” raccolti nei modi prescritti dagli articoli precedenti, potendo le conseguenti omissioni o false o inesatte indicazioni essere indirettamente desunte da tali risultanze ovvero anche in esito a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti; fermi restando, infatti, i limiti di efficacia delle scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, anche le altre scritture provenienti dall’imprenditore possono operare come prova “contra se”, non potendo tale parte invocare la non corrispondenza al vero delle proprie annotazioni cartacee (Cass., 20.6.2014, n. 14068).
Ora, il giudice d’appello non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, avendo altresì immotivatamente svilito ogni valore indiziario del contenuto della documentazione extracontabile rinvenuta, la cui riconducibilità al B. è plausibilmente predicabile, considerando sia la suddetta parziale ammissione, sia la tardiva ed inverosimile successiva negazione, con la relativa giustificazione nel corso del processo.
Pertanto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla CTR.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Rinvia alla CTR della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.