Rapporto di lavoro – Attività di elaborazione dati – Trattamento di malattia – Anticipazione da parte del datore di lavoro – Inps – Erogazione – Rifiuto
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 872/2010, depositata il 10/12/2010, la Corte di appello di Genova, in riforma della sentenza del Tribunale di Massa, respingeva la domanda, con la quale M. P. aveva chiesto la condanna della Torre C.E.D. di P. F. & C. s.a.s. al pagamento dell’importo di euro 3.744,08, somma che la società le aveva, prima, corrisposto, quale anticipazione del trattamento di malattia a carico dell’INPS, secondo le previsioni dell’art. 76 del CCNL 1/6/2001 Settore Centri Elaborazione Dati, e che, poi, nella busta paga di fine rapporto, le aveva trattenuto, una volta appreso che l’Istituto aveva rifiutato di procedere alla relativa erogazione sul rilievo della ritenuta appartenenza delle imprese esercenti attività di elaborazione dati al comparto industria e dell’applicazione della normativa contenuta nel Decreto legge luogotenenziale n. 213 del 1946, che ai lavoratori di tale comparto con qualifica impiegatizia non riconosce, a differenza degli operai, il diritto al trattamento di malattia a carico dell’INPS.
La Corte osservava a sostegno della propria decisione che la risoluzione dell’INPS non aveva formato oggetto di contestazione né da parte della lavoratrice né da parte della società e che, del resto, il CCNL per il Settore Centri Elaborazione Dati, richiamato da entrambe le parti, prevedeva (all’art. 76, comma 4°) che le indennità poste a carico del datore di lavoro – l’una, a titolo di anticipazione di quanto dovuto dall’INPS; l’altra, a titolo di integrazione della prima – non erano dovute nel caso in cui l’Istituto non avesse corrisposto “per qualsiasi motivo” l’indennità che era stata anticipata dal datore.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la P. con tre motivi; la società ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello di Genova – in presenza di un CCNL carente di qualsiasi disciplina in relazione al trattamento di malattia per gli impiegati, a motivo della classificazione, operata dall’INPS, dei centri di elaborazione dati nel settore industria – omesso di fare applicazione dell’art. 2110 c.c. (a differenza del primo giudice che aveva correttamente richiamato la norma in via sussidiaria), con l’effetto, contrario anche agli artt. 32 e 38 della Costituzione, di privare il lavoratore di ogni tutela.
Con il secondo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 n. 3, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale offerto della disposizione di cui all’art. 76, comma 4°, CCNL per il Settore Centri Elaborazione Dati un’interpretazione erronea,
tale da comportare – mediante l’inserimento tra i motivi di rifiuto dell’Istituto ad erogare l’indennità a proprio carico anche della richiamata disciplina legislativa per il comparto industria – la radicale esclusione dei dipendenti di tali centri con qualifica di impiegato dal diritto a tutela in caso di malattia e così da porsi in insanabile contrasto con l’art. 2110 c.c. e con gli artt. 32 e 38 della Costituzione.
Con il terzo motivo, deducendo ancora il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia dato dell’art. 76 CCNL Settore Centri Elaborazione Dati una lettura contraria a norme inderogabili e addirittura di rango costituzionale, mentre una corretta applicazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c. avrebbe dovuto condurla a ritenere che la disposizione del comma 4° di detto articolo, non potendo comportare la negazione di quanto immediatamente affermato poco prima (e cioè il diritto di qualsiasi lavoratore del settore a percepire l’indennità di malattia: art. 76, comma 1°), non poteva che riferirsi ad ipotesi totalmente diverse, quali la decadenza dal diritto all’indennità di malattia nel caso di assenza del lavoratore alla visita di controllo ovvero il mancato tempestivo avvio della certificazione.
E’ fondato, e deve essere accolto, il primo motivo di ricorso.
L’art. 2110 c.c. prevede, infatti, per il caso in cui ricorra una delle ipotesi di sospensione del rapporto previste al primo comma (infortunio, malattia, gravidanza e puerperio), che sia “dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità”, ove la legge o le norme corporative (da intendersi ora sostituite con le norme elaborate dall’autonomia collettiva) non stabiliscano “forme equivalenti di previdenza o di assistenza”.
Ne consegue che, nell’ipotesi in cui non vi siano, come nella specie, disposizioni di legge o di fonte collettiva che consentano al lavoratore di fruire di un trattamento economico nel caso di malattia (trattamento che risulta escluso, per la ricorrente, assunta con la qualifica di impiegata, dal Decreto legge luogotenenziale n. 213/196, che non riconosce agli impiegati del settore Industria l’indennità di malattia, e dalla classificazione operata dall’INPS delle imprese esercenti attività di elaborazione dati in tale settore; ed altresì escluso dal CCNL di riferimento in forza della norma di cui all’art. 76, quarto comma, la quale prevede che “le indennità a carico del datore di lavoro non sono dovute se l’INPS non corrisponde per qualsiasi motivo l’indennità” a proprio carico), il trattamento in questione resta a carico del datore di lavoro, nella misura e per il tempo determinati o determinabili alla stregua dell’applicazione dei criteri di cui alla seconda parte dell’art. 2110, comma primo.
Né a diversa conclusione potrebbe pervenirsi sul rilievo che una norma collettiva esiste comunque, nel caso di specie, ed essa è stata correttamente applicata dalla società, posto che l’art. 2110, comma 1°, delinea un sistema di fonti regolatrici, che se risulta caratterizzato dall’assenza di specificazioni sul piano dei contenuti del trattamento (in sostanza, rivelandosi come un’architettura relazionale tra fonti diverse), nondimeno muove da un presupposto comune, e cioè dalla necessità che il lavoratore possa, in ogni
caso, disporre di una protezione nel caso di eventi che ne alterino lo stato di salute o ne inducano l’incapacità totale o parziale di attendere allo svolgimento dell’attività di lavoro, determinando la sospensione del rapporto e delle conseguenti obbligazioni: come è reso manifesto dall’espressa previsione che è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità, nel caso in cui la legge o la contrattazione collettiva non gli apprestino forme equivalenti di previdenza o di assistenza, e come, anche al di là di una pur esplicita formulazione normativa, sarebbe da intendersi nella sede di un’interpretazione orientata ai valori della legalità costituzionale in materia (art. 38, commi 1° e 2°)).
Gli altri motivi restano assorbiti.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Genova in diversa composizione, la quale provvederà, in applicazione dell’art. 2110, comma 1°, c.c., a determinare il trattamento economico spettante alla ricorrente, secondo i criteri desumibili dalle fonti indicate dalla stessa norma, previa identificazione di quale di essa risulti applicabile nel caso concreto e tenuto conto di eventuali somme già erogate.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.