La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4785 del 24 febbraio 2017 intervenendo in tema di accertamento ha stabilito nelle fattispecie di presentazione della dichiarazione con ritardo superiore a novanta giorni, per cui si è in presenza della ipotesi equiparata all’omessa dichiarazione, il reddito d’impresa può essere determinato induttivamente, anche avvalendosi di presunzioni c.d. supersemplici (cioè prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza) che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.
La vicenda ha riguardato una società i cui liquidatori avevano presentato in ritardo, oltre i 90 giorni dalla scadenza del termine previsto per la presentazione, e l’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento con cui aveva proceduto ha quantificato il maggior reddito con un ricarico del 15 per cento. La società, in liquidazione, avverso tale atto impositivo procedeva al deposiodel ricorso in Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici lo ha ritenuto carente sotto l’aspetto motivazionale, ma ritenendo equa una percentuale di redditività media pari al 9%. L’Amministrazione finanziaria ricorreva avverso la decisione con ricorso alla Commissione Tributaria Regionale che ha annullato la ripresa fiscale sul rilievo che l’atto non “tiene conto dei dati esposti nella Dichiarazione IVA” e che “la ricostruzione dell’Ufficio nell’avviso di accertamento impugnato appare fortemente viziata non essendo supportata da elementi probatori certi” e senza alcun riferimento a dati oggettivi.
L’Agenzia delle Entrate impugnava la decisione della CTR con ricorso in cassazione basato su due motivi.
Gli Ermellini hanno accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate limitatamente al primo motivo. Infatti, i giudici di legittimità hanno ritenuto la decisione della CTR fondata su di un errore di diritto, in quanto nel caso di specie l’accertamento del quantum della pretesa fiscale poteva essere fondato su presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. La normativa di cui all’articolo 2 del D.P.R. n. 322 del 1988 prevede che “le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni si considerano omesse”, pur costituendo “titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta”.
Nella fattispecie esaminata dalla Corte, in ragione dell’equiparazione tra dichiarazione fuori termine e omessa dichiarazione, trova applicazione l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, “nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la Legge abilita l’Ufficio delle imposte a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al comma 3 dell’art. 38 D.P.R. n. 600 del 1973, sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti, di tal che, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’Ufficio, incombe sul contribuente l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa” (cfr., tra le altre, Cass., Sez. Trib., 03/10/2007, n. 20708).
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