CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 marzo 2017, n. 7263
Tributi – Accertamento – Donazione – Utilizzo di somme di provenienza familiare – Fattispecie
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 115 del 20.6.2012 la Commissione Tributaria Regionale di Milano rigettava l’appello proposto da E.G.R. avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto dal medesimo, avverso un avviso di accertamento relativo ad IRPEF 2005 con il quale l’Amministrazione finanziaria, sulla scorta delle risultanze di indagini fiscali, dalle quali emergeva l’acquisto di due immobili (uno del valore di 50.000 Euro, l’altro del valore di 800.000 Euro acquistato per 1/4) e la costituzione di una società semplice (con capitale interamente versato di Euro 2.500.000, di cui Euro 400.000 versati dal contribuente), nonché la titolarità di fondi comuni di investimento, in applicazione del redditometro (art. 38 IV comma del DPR n. 600/73) determinava il reddito complessivo di Euro 220.367,86 per l’annualità in esame.
1.1. Sostenevano i giudici di appello che il ricorso del contribuente, secondo il quale gli acquisti e la costituzione di società erano stati effettuati con denari donati dai genitori, non poteva essere accolto poiché venivano condivise le ragioni che avevano portato al rigetto del ricorso la Commissione Provinciale (inidoneità della semplice affermazione della provenienza donativa della provvista per dimostrare l’inesistenza di redditi); né tale giudizio poteva mutare a seguito della produzione in appello, con memoria integrativa del ricorso, di un atto di donazione notarile datato 21.2.2012 con la quale i genitori del ricorrente avevano ricostruito le donazioni effettuate a favore del figlio.
2. Avverso tale statuizione ricorre per cassazione il contribuente sulla base di nove motivi, cui l’intimata replica con controricorso.
3. Con memoria ex art. 378 cod.proc.civ. e nota di deposito documenti sopravvenuti, depositate il 13.12.2016, parte ricorrente ha addotto l’intervenuta formazione di giudicato esterno in relazione alla analoga controversia sorta con l’Agenzia delle Entrate rispetto agli avvisi di accertamento per gli anni 2006 e 2007, fondati sul medesimo presupposto in fatto (gli acquisti immobiliari e le disponibilità finanziarie sopra indicate), decisa con sentenza del 28.1.2015 e passata in giudicato (cfr. annotazione di cancelleria del 12.12.2016).
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 769, 782, 783 e 809 cod.civ. in quanto le donazioni effettuate dai genitori verso il figlio, pur non avendo assunto la veste formale dell’atto pubblico, tuttavia restano valide come donazioni indirette, per le quali è richiesta la sola osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità (nella specie, la contestazione di conti o di fondi di investimento bancari).
2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 38 del D.P.R. 600/1973 poiché i giudici dell’appello, nel richiedere necessariamente la forma dell’atto pubblico a fine probatorio delle donazioni, hanno introdotto una limitazione alle tipologie di prove ammesse da parte del contribuente, o il requisito della validità civilistica degli atti, in realtà non richiesto.
3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui qualifica la prova contraria fornita dal contribuente (dichiarazione bancaria e atto notarile) dapprima come “affermazione” e poi come “documentazione prodotta in giudizio”.
4. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 38 del D.P.R. 600/1973 e dell’art. 2697 cod.civ. nella parte in cui i giudici di appello hanno affermato che la dichiarazione bancaria, secondo la quale i fondi comuni di investimento sono stati “elargiti dai genitori”, non integra la prova contraria di cui all’art. 38 richiamato, che invece lascia ampia libertà di prova al riguardo.
La stessa Agenzia delle Entrate, con Circolare n. 49/E del 9.8.2007, nel disciplinare le argomentazioni che gli uffici accertatori dovranno considerare, espressamente menziona la documentazione attestante l’utilizzo di somme di provenienza familiare.
5. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2700 cod.civ., per avere la sentenza di appello negato valore probatorio all’atto pubblico di donazione del 21.2.2012.
6. Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2720 cod.civ., posto che, quand’anche non si volesse riconoscere al citato atto pubblico la fede privilegiata che gli compete, quanto meno dovrebbe essere considerato come atto ricognitivo.
7. Con il settimo motivo di ricorso il ricorrente deduce la omessa o insufficiente motivazione nella parte in cui si riconduce l’atto notarile predetto nei concetti di nuova domanda, nuova eccezione o nuova prova di cui ai divieti contenuti negli artt. 57 e 58 del D.Lgs. 546/1992; difettano infatti argomenti a fondamento della affermazione in parola e, comunque, l’art. 58 citato, al secondo comma, consente esplicitamente la produzione di nuovi documenti in appello.
8. Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 57 del D.Lgs. 546/1992, posto che la produzione del nuovo documento in parola non viola in alcun modo la norma richiamata.
9. Con il nono motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 58 del D.Lgs. 546/1992, posto che la produzione del nuovo documento in parola non viola in alcun modo la norma richiamata che, anzi, al secondo comma, espressamente autorizza la produzione di nuovi documenti.
10. L’Amministrazione fiscale, in ordine al primo motivo, eccepisce la novità della questione relativa alla qualificazione degli atti di liberalità quali donazioni indirette; in relazione alla dichiarazione bancaria circa la provenienza delle quote di fondi di investimento si afferma che l’esorbitare delle relative somme rispetto al valore degli acquisti e delle spese effettuate dimostra l’esistenza di ulteriori disponibilità in capo al ricorrente; quanto al contenuto della prova contraria, l’art. 38 in esame richiede non solo la dimostrazione della disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, ma anche la prova che le spese per incrementi patrimoniali siano state sostenute proprio con quei redditi esenti o già tassati.
11. La sentenza impugnata afferma che il ricorrente non ha dimostrato con specifiche deduzioni e/o allegazioni la modalità tramite la quale siano stati pagati gli acquisti immobiliari e la sottoscrizione di quote societarie, con la conseguenza che è rimasta ignota la provenienza della provvista concretamente utilizzata.
12. Rispetto a tale situazione è tuttavia sopravvenuta la formazione del giudicato esterno rispetto al medesimo accertamento operato anche per le annualità 2006 e 2007.
Invero, la sentenza della stessa CTR lombarda del 28.1.2015, passata in giudicato, ha accertato che, sulla base della più completa produzione documentale eseguita dalla parte ricorrente in quel giudizio, è stata fornita dimostrazione adeguata che gli incrementi patrimoniali e le disponibilità accertate in capo al ricorrente hanno trovato la loro fonte in donazioni indirette da parte dei genitori.
13. Secondo la condivisa giurisprudenza di legittimità, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta (Sez. U, n. 13916 del 16/06/2006, Rv. 589696 – 01).
14. In definitiva, alla luce del sopravvenuto giudicato esterno, la sentenza impugnata va cassata e, giudicando nel merito, accolto il ricorso del contribuente.
15. Le spese dell’intero giudizio vanno compensate sussistendo giusti motivi relativi alla incertezza della questione e alla natura processuale delle ragioni sottese alla decisione.
P.Q.M.
Provvedendo sul ricorso rileva il giudicato esterno, cassa la sentenza impugnata e, giudicando nel merito, accoglie il ricorso del contribuente. Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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